Regalando questa chiave ad altri esseri umani realizzò la rivoluzione più grande: la possibilità per ogni persona di liberarsi dalle catene di un’esistenza subìta, decisa da altri o da un destino ineluttabile, attraverso il “risveglio” a un sé indipendente, forte e potente, collegato a ogni altro essere. E diventare, quindi, a propria volta Budda…
Il regalo più grande
Regalando questa chiave ad altri esseri umani realizzò la rivoluzione più grande: la possibilità per ogni persona di liberarsi dalle catene di un’esistenza subìta, decisa da altri o da un destino ineluttabile, attraverso il “risveglio” a un sé indipendente, forte e potente, collegato a ogni altro essere. E diventare, quindi, a propria volta Budda…
Il regalo di Nam-myoho-renge-kyo
Ti cambia la vita.
Una volta che ne hai sperimentato le potenzialità diventa uno strumento irrinunciabile, pronto a funzionare in modo sempre nuovo e sempre incredibilmente efficace per cambiare un cattivo stato d’animo, per trovare la risposta che stai cercando, per realizzare un sogno, per fare strada alla speranza, schiacciata e offesa, che puoi cambiare le regole di questo mondo feroce. E cominciare a farlo insieme ad altri.
Ogni volta riparti da ora, ogni volta un nuovo inizio che però porta con sé tutto ciò che già sai e sei. Per questo assomiglia a un esperimento permanente, quotidiano, che dà migliori risultati se lo fai con assiduità, perseveranza, magari spirito di sfida.
È una pratica semplice, quasi elementare, ma è incredibilmente profonda: «Praticare solamente i sette caratteri di Nam-myoho-renge-kyo può apparire limitato tuttavia, poiché essi sono il maestro di tutti i Budda delle tre esistenze, la guida di tutti i bodhisattva delle dieci direzioni e l’insegnamento che permette a tutti gli esseri viventi di raggiungere la via del Budda, in realtà è profondo» (Le illusioni e i desideri sono Illuminazione, RSND, 1, 281).
Si basa su princìpi teorici antichi di millenni ma sempre vivi, come il “mutuo possesso dei dieci mondi” secondo cui, in qualsiasi condizione vitale ti trovi, puoi uscire dal nero e accendere in te la luce della Buddità. Cioè incontrare la tua parte più libera, forte, intuitiva, piena di compassione per la vita, più capace di comprendere e trovare connessioni…
Difficile definirla a parole, la Buddità. Volendo spiegare in cosa consistesse lo stato esistenziale al quale si era risvegliato, nel Sutra del Loto il Budda elenca “trentaquattro negazioni”1 per far capire quanto ineffabile fosse tale condizione, proprio come la vita.
Un regalo grande, talmente grande che non entra in alcuna definizione. Ma di un tipo che puoi portare sempre con te, e ti resiste dentro anche dopo la morte: «Recita Nam-myoho-renge-kyo con un’unica mente ed esorta gli altri a fare la stessa cosa; questo resterà il solo ricordo della tua vita presente in questo mondo umano. Nam-myoho-renge-kyo, Nam-myoho-renge-kyo (Domande e risposte riguardo all’abbracciare il Sutra del Loto, RSND, 1, 58).
La pratica di Nam-myoho-renge-kyo, con profonda semplicità, ti mette al timone e dentro la vita nella sua accezione più completa: concreta, quotidiana, condivisa, profonda, eterna. [Marina Marrazzi]
- 1. «Non è esistente né non esistente, non è causato né condizionato, non è sé né altro da sé, non è quadrato né rotondo, non è corto né lungo, non appare né scompare, non è nato né si è estinto, non è creato né emanato, non è fatto né prodotto, non è seduto né disteso, non è in cammino né fermo, non si muove né si volta, non è indolente né immobile, non avanza né si ritira, non è sicuro né in pericolo, non è giusto né sbagliato, non guadagna né perde, non è questo né quello, non va né viene, non è blu né giallo, non è rosso né bianco, non è cremisi né viola, né di nessun altro colore» (SDLPE, 5-6).
Un appuntamento quotidiano
A volte questo regalo non vogliamo neanche scartarlo. Come se avessimo ricevuto in dono una bicicletta ma non ci sappiamo andare, o un’automobile ma non abbiamo la patente. O perché pensiamo che tanto non c’è nulla da fare, che ormai è andata così e non abbiamo l’energia per reagire.
Sentimenti del genere li proviamo anche noi che pratichiamo da tempo, come una sorta di potente forza di gravità che ci attira verso l’immobilismo o l’inerzia.
Per questo una delle prime cose che impariamo, quando iniziamo a praticare, è a farlo tutti i giorni, mattina e sera. A volte ne sentiamo la necessità, o proviamo gioia nel farlo; altre ci dobbiamo sforzare.
Probabilmente non avremmo mai pensato di aggiungere un ulteriore impegno alle nostre già faticose giornate, eppure ci accorgiamo subito che il tempo si dilata.
Rispettare questo appuntamento quotidiano è forse la cosa più importante: una semplice azione che, ripetuta, ridefinisce il nostro approccio all’esistenza.
Gli stati vitali che proviamo sono molteplici, la dottrina buddista ne classifica dieci, e parla addirittura di otto diverse sofferenze. Per questo non chiede di sviluppare un semplice “pensiero positivo”, ma di attingere con coraggio e diligenza a una forza interiore, invisibile, in grado di rinnovare ogni giorno il nostro modo di stare nella vita. Con coraggio, per aprirci la strada quando la coltre della negatività ci avvolge e non vediamo vie d’uscita; con diligenza, perché grazie a un allenamento costante impariamo a guidare quella bicicletta o quell’automobile, riusciamo a scartare il regalo più grande e goderne.
Godere di cosa? Di libertà, saggezza, forza. I testi parlano di acqua fresca che calma la sete e di sentirsi “felici e a proprio agio”.
Godere, e gioire, di pensieri e azioni nuove, illuminate. Che cambiano il presente e il futuro, me stessa e il mondo.
Tale è la felicità promessa dal Buddismo.
Come scrive Nichiren Daishonin: «Considera allo stesso modo sofferenza e gioia e continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo. Come potrebbe non essere questa la gioia senza limiti della Legge?» (Felicità in questo mondo, RSND, 1, 607). “Continua” è la parola chiave. In ogni circostanza.
[ Maria Lucia De Luca ]
Perché ho iniziato. Perché ho continuato
e così ho ripreso a respirare
Perché ho iniziato Ho incontrato la pratica su un treno che mi portava verso il mio "amore" di allora. Elena aveva una storia talmente simile alla mia che quando ho cominciato ad avere io problemi nella relazione ho pensato di fare come lei: sperimentare Nam-myoho-renge-kyo. E ho ripreso a respirare.
Perché ho continuato Se però dopo vent'anni continuo ancora a praticare lo devo a mio padre che ho potuto accompagnare a suon di Daimoku nel suo ultimo viaggio, a tutte le volte che la preghiera ha aiutato me e mia madre nella battaglia che ha combattuto contro l'Alzheimer, e alla certezza di poter affrontare qualunque cosa accanto a Sensei, condividendo una gioia profonda e apparentemente immotivata con le persone che incontro ogni giorno, come insegna il mio maestro. [ Ilaria Varriano ]
puoi accendere la tua fiamma e giocartela
Perché ho iniziato Prima di conoscere il Buddismo andavo spesso a dormire con un indefinito senso di malinconia. Avevo 23 anni ed ero continuamente assalito da dubbi, in particolar modo sul mio futuro. Un giorno, di ritorno dall’università, un ragazzo del mio quartiere mi parlò della pratica: era la risposta alle mie domande.
Perché ho continuato Perché si parte tutti da zero, come nel campionato di calcio. Non ci sono scuse, né privilegi. Puoi accendere la tua fiamma e giocartela, sempre, in ogni momento. Dopo tanta indecisione, ora la mia giornata è totalmente diversa da come me la immaginavo anni fa, eppure sento di stringere in pugno una scintilla che mi guida e non vedo l'ora di sapere cosa accadrà domani. [ Lorenzo Di Nardi ]
non smisi più, era il ‘92
Perché ho iniziato A 16 anni vivevo una situazione familiare difficile e faticosa e quando una persona che conosceva bene la mia storia mi parlò dell’eventualità di esser felice recitando Nam-myoho-renge-kyo mi arrabbiai moltissimo. Ciò nonostante conservai il libretto di Gongyo in una borsa per sei anni, e a 22 una grande sofferenza sentimentale mi portò a sperimentare la pratica. Oltre alla realizzazione del desiderio immediato, il vero beneficio fu sentire che con la preghiera potevo rompere la mia “ineluttabile” gabbia di infelicità, lo stupore di avere una incisività “mistica” (oltre le mie capacità) sulla mia vita. Non smisi più, era il ‘92.
Perché ho continuato Ciò che mi ha fatto perseverare senza mai “abituarmi” sono due aspetti: un legame interattivo con il mio maestro Daisaku Ikeda (io cerco, lui scrive, io metto in pratica…) ed esprimere sempre i miei dubbi, le mie critiche e i miei punti di vista con sincerità e libertà, per contribuire positivamente allo sviluppo della Soka Gakkai. [ Vanessa Donaggio ]
percepivo in loro una serenità e una felicità incondizionata
Perché ho iniziato Per lo spirito delle persone presenti alla mia prima riunione di discussione. Ne rimasi molto colpita. Si percepiva una serenità e una felicità incondizionata, nonostante le loro esperienze non fossero tutte gioiose! Ispirata da quell’atmosfera ho deciso di sperimentare la preghiera per trovare quell'armonia e quella tranquillità fino ad allora a me sconosciute.
Perché ho continuato Con il tempo ho capito che la chiave per mantenere quell’elevato stato vitale è la costanza. Perseverare nel recitare Daimoku e mettere faticosamente in pratica la fede insieme ai compagni della Soka Gakkai mi permette di affrontare le sofferenze senza lasciarmi sconfiggere, con la certezza che nessun problema rimarrà irrisolto, nessuna preghiera senza risposta. [ Priscilla Massimei ]
la possibilità di una rinascita continua
Perché ho iniziato Ero una studentessa fuori sede con pochissimi soldi e parecchi problemi. Ma soprattutto non riuscivo a intravedere il mio posto nel mondo. Dopo ripetuti inviti, nel 1983 cominciai a recitare Nam-myoho-renge-kyo, ricevendo fin dall’inizio benefici visibili, come una casa in affitto con piscina a un prezzo incredibilmente basso. Il Buddismo mi ha fatto scoprire la dignità e la ricchezza della mia vita, e questa crescente attribuzione di senso si è riverberata sulla vita quotidiana illuminandone ogni aspetto.
Perché ho continuato Soprattutto per la possibilità di una rinascita continua, ascoltando cosa mi dice la mia vita profonda e attingendone esperienze sempre nuove. Ho scoperto e fatto cose che non avrei mai pensato di fare, come trovare il coraggio (dopo una vita dedicata al giornalismo) di esporre per la prima volta i collage su cartolina che realizzo da trent’anni. Non c’è età per iniziare, continuare e… rinascere. [ Silvia Sperandio ]
di fronte al dolore più grande
Perché ho iniziatoSuperati i 30 anni, sposata, con una figlia piccola e uno zio materno – la persona a me più cara – gravemente malato, avevo sete di una filosofia di vita che mi sostenesse. Quando Mara, una compagna di studi, mi parlò della Soka Gakkai (che già conoscevo per via di mia sorella che aveva praticato dieci anni prima) pensai: «Prima di scegliere quale scuola buddista seguire dovrei approfondire la storia di tutti gli insegnamenti buddisti». Non mi sarebbe bastata una vita! «Prova, l’unica cosa che rischi è diventare felice», mi rispose lei semplicemente.
Perché ho continuato In 27 anni di pratica, il dono più grande è stato riuscire ad affrontare uno dei grandi dolori dell’essere umano: la morte. Recitando Daimoku ho potuto accompagnare nel loro momento di fine vita mio zio, mia mamma e il suo secondo marito, avendo una serenità e una forza che mai avrei pensato possibili. Anche ora, dopo la perdita del mio compagno, la fede nel Gohonzon mi sta dando la possibilità di decidere in ogni istante come riprogrammare il mio futuro e vivere ciò che la vita inevitabilmente ci pone davanti creando valore anche da una sofferenza così grande. [ Elisabetta Nepitelli Alegiani ]
pensai che fosse un caso...
Perché ho iniziato Il mio primo obiettivo di fede fu vincere la borsa di studio per andare in Erasmus, ma la mia famiglia era contraria. Avevo 19 anni. Iniziai a recitare con la determinazione che sarei partita. Di giorno andavo all'università, il pomeriggio davo lezioni private, la sera lavoravo in un ristorante. Così per mesi. Vinsi la borsa di studio (2 per l’esattezza) e partii per la Spagna, 12 mesi a Granada. I miei genitori decisero poi di aiutarmi.
Perché ho continuato Incredula all'inizio, pensai fosse un caso aver realizzato quell’obiettivo, così per curiosità ho continuato a praticare per i miei desideri: dalla tesi di laurea a Milano, alle vittorie nel mio lavoro come giornalista. Anche i rapporti con i miei familiari si sono trasformati a suon di Daimoku. Pregando ho dialogato con mio padre gli istanti prima che morisse, ho affrontato il lutto, la malattia delle persone a me più care. Attraverso la preghiera ho costruito la relazione con il mio fidanzato. Nel tempo ho capito che il caso non esiste. [ Maria Cristina Fraddosio ]
da una vita strapazzata a una vita consapevole
Perché ho iniziato Aver incontrato la pratica, ed essere stata pronta, recettiva, è stato come ricevere un grande regalo. Ricordo una cena fatta insieme ad alcuni amici, i loro sorrisi, il desiderio di parlarmi della pratica, che poi, grazie ad altri, ho abbracciato di lì a poco... Sarò per sempre riconoscente e unita alla persona che con pazienza e determinazione mi ha condotto passo passo verso una pratica corretta.
Perché ho continuato Dal momento in cui ho iniziato a partecipare alle riunioni e a recitare Daimoku, la vita ha cominciato a sorridere, da una vita strapazzata a una vita consapevole. Per me praticare il Buddismo è fare luce sugli intrecci del quotidiano e i disegni più generali dell’intero percorso dell'esistenza. Ripenso alla ragazza che ero, inconsapevole e in balia degli eventi, ora grata per ciò che sono riuscita a realizzare. Niente di straordinario, una vita comune ma in sintonia con quella che sono e gli ideali in cui credo. [ Carla Celani ]
Come ho conservato il regalo
Nel mio caso la motivazione, almeno apparentemente, è stata la fascinazione che la filosofia buddista ha esercitato su di me dopo essermene innamorato leggendo i romanzi degli autori della beat generation. Non occorre, quindi, fare molti calcoli per capire che ho iniziato a praticare questo Buddismo molti anni fa: ero giovane, venivo dalla lotta politica dei movimenti studenteschi del ’77 e, come tantissimi, ero però finito nella rete vischiosa delle droghe pesanti.
Iniziando a praticare la Legge meravigliosa, ognuno e ognuna di noi ha vissuto e goduto dei suoi primi benefici con la stessa meraviglia di un bambino che si esalta del fascino dell’eccezionale e dell’inatteso che porta con sé un sentimento piacevole, improvviso e intenso. Per me, dopo pochissimi giorni dal mio primo Daimoku, l’eccezionale e l’inatteso ha significato scaricare la “scimmia sulla schiena” senza alcun problema, senza nessuna fatica, senza rimpianto.
Se iniziare a praticare questo Buddismo è stato per me affascinante e piuttosto semplice, e se i primi fantastici risultati li potrei definire “psicomagici” per il loro effetto immediato di aver invertito il corso della mia vita e la mia visione del mondo, per “entrare nella Via” mi trovavo, invece, completamente impreparato perché avrei dovuto fare riferimento e appello alla “fede”.
Ovviamente assegnavo a questo termine il significato che conoscevo, quello che ne danno le religioni rivelate, mentre ho sempre preferito uno sguardo laico alla vita e temi come diritti, etica, filosofia, politica, scienza. Insomma, in me c’era una parte che resisteva e non riteneva “sano” legarsi a dogmi che devono essere accolti per veri e giusti rinunciando così alla propria indipendenza intellettuale.
Ma mi sono fidato di quelle ragazze e di quei ragazzi dalla faccia pulita e dalle belle e genuine intenzioni che, nel seguirmi già dai primi giorni e anche dopo, mi spiegavano e mi assicuravano che, con una pratica costante e sincera, potevo sperimentarne la validità in termini di cambiamenti favorevoli e buone circostanze e, di conseguenza, costruire la mia fede con metodo empirico, dall’esperienza che ne facevo personalmente.
Nello scritto Il conseguimento della Buddità in questa esistenza si legge: «Una mente annebbiata dalle illusioni derivate dall’oscurità innata è come uno specchio appannato che, però, una volta lucidato, sicuramente diverrà limpido e rifletterà la natura essenziale dei fenomeni e il vero aspetto della realtà. Risveglia in te una profonda fede e lucida con cura il tuo specchio notte e giorno. Come dovresti lucidarlo? Solo recitando Nam-myoho-renge-kyo» (RSND, 1, 4).
Così è stato: passo dopo passo, giorno dopo giorno. Come per tanti altri, il mio percorso di fede è andato avanti lucidando “notte e giorno”, al meglio delle mie possibilità e con la migliore cura e attenzione, il mio specchio. È stato come accendere la luce in una stanza, osservare la disposizione degli oggetti, fare un piano di riordino e pulizia e continuare il lavoro. A volte, però, per stanchezza o pigrizia, è successo anche di rimandare il lavoro a un altro momento. Altre volte, nonostante avessi fatto tutto quello che andava fatto, le cose non sono andate come avevo desiderato.
Nel 2007, dopo la laurea triennale in Scienze per la cooperazione, lo sviluppo e la pace, e quella magistrale in Mediazione e trasformazione dei conflitti, conseguite nella posizione di lavoratore-studente, mi sarebbe piaciuto lavorare nel campo della mediazione sociale dei conflitti e sarei volentieri rimasto nell’ambito universitario. Non è stato possibile e mi sono concentrato in quello che era già il mio impiego.
Dal 1982 sono funzionario in una amministrazione pubblica e, sebbene per molto tempo non abbia amato il mio lavoro, grazie alla pratica buddista l’atteggiamento nei confronti dei miei compiti è profondamente cambiato arrivando ad assumere per me un’importante funzione di responsabilità anche sociale e facendomi distinguere per innovative semplificazioni nel commercio internazionale. Il naturale sbocco della mia carriera era acquisire un ruolo dirigenziale: contemporaneamente a un primo incarico temporaneo, nel 2011 ho partecipato al concorso per dirigenti. Nel 2014, dopo un periodo molto faticoso, vissuto lontano da casa fra gli impegni di direzione di un ufficio complesso e la accurata preparazione al concorso, sono risultato vincitore. Purtroppo negli anni il concorso è stato oggetto di ricorsi amministrativi, denunce penali, interpellanze parlamentari e articoli di stampa, tant’è che, nel 2020 è stato annullato. Per quelli che, come me, ne erano risultati vincitori con lealtà e onestà, si è trattato di una vera ingiustizia.
Allora perché, nonostante tutto, ho continuato a praticare? Quando mi interrogo su questo mi baso su quanto leggo nel Gosho Gli otto venti: «L’uomo saggio merita di essere chiamato tale perché non si lascia sviare dagli otto venti: prosperità, declino, onore, disonore, lode, biasimo, sofferenza e piacere. Non si esalterà nella prosperità né si lamenterà nel declino» (RSND, 1, 705).
Per me, in fondo, il vero beneficio è di sentirmi equanime rispetto a quello che mi accade, di restare in piedi nonostante tutto, di essere saldamente al “volante” della mia esistenza, di riconoscere che le mie reazioni risultano sempre più adeguate alle circostanze e sempre più provenienti da una parte profonda di me.
Sin dal primo Daimoku il mondo non lo si vede più nello stesso modo e, a poco a poco, si scopre sé stessi. Continuando, poi, si impara che di sé stessi… ci si può anche fidare.
[ Pasquale Dioguardi ]
Ero io a dover cambiare
Conosco il Buddismo da anni grazie alla mia compagna, mi sono sempre piaciuti i princìpi ma pensavo che non facesse per me.
Circa un anno e mezzo fa mi sono ritrovato a lavorare nel cinema. Non era il mio ambito ma dovevo ripartire dopo essere uscito da una dipendenza che mi aveva portato a chiudere varie amicizie e anche il mio negozio di barbiere. Mi ero indebitato, e dopo essermi disintossicato dovevo far fronte a tutte quelle spese. Lo stipendio era minimo, lavoravo più di dieci ore al giorno, e anche se il datore di lavoro era il papà di un mio caro amico, l’atmosfera era sempre tesa e volavano parole pesanti. Dopo più di un anno in quelle condizioni sono andato in burnout e ho capito che per cambiare la mia vita dovevo fare un’azione diversa.
Ho iniziato a recitare Daimoku, e più recitavo più emergeva in me il desiderio di riaprire un negozio tutto mio. Ascoltando le esperienze dei compagni di fede ho deciso di trovare anche io il coraggio di sfidarmi e così, dando un mese di preavviso, mi sono licenziato.
Se dovevo ripartire allora volevo farlo alla grande, così ho fatto un identikit di cosa intendevo realizzare: una barberia d’epoca che doveva essere al centro di Roma, con il locale ristrutturato e un affitto consono alle mie possibilità. Ma non sapevo da dove cominciare, considerando che avevo un mutuo che mi impediva di prendere prestiti o finanziamenti.
Poi ho letto una frase di Nichiren Daishonin: «Quelli che credono nel Sutra del Loto sono come l’inverno, che si trasforma sempre in primavera». È stato un punto di svolta.
Grazie al Buddismo e agli incoraggiamenti di Daisaku Ikeda la mia percezione è cambiata: ero io a dover cambiare per far diventare il mio sogno utopico una realtà. Così, praticando per trasformarmi come essere umano, ho aperto il mio cuore a un amico che avevo trascurato, il figlio del mio ex datore di lavoro. Lui incredibilmente ha deciso di investire su di me, mettendomi a disposizione un capitale economico per cominciare la mia scalata.
Le montagne, anche quelle più alte, sono fatte per essere scalate e vedere che al di là c'è un sole raggiante. Così un giorno, passeggiando, sono passato davanti a un negozio vicino a Piazza Navona che era stato da sempre una barberia storica romana. Ho pensato: «Perfetto questo è il mio». Non sapevo nulla, costi, condizioni…. E ho scoperto che stava per essere venduto per un milione di euro.
Sul momento mi sono detto: «Ma dove vado…», e ho accantonato l’idea. Ma poi ho realizzato che ora avevo un mezzo potente per raggiungere qualsiasi cosa, ho intensificato la mia pratica quotidiana e dialogato sinceramente con i miei compagni di fede.
È successo che dopo tre mesi, in cui io ho continuato a cercare un nuovo negozio, mi è arrivata una chiamata inaspettata in cui mi si chiedeva se ero ancora interessato al locale vicino a Piazza Navona. Beh che dire… in pochi giorni ho firmato il contratto (con un affitto inferiore di 1.000 euro al budget che avevo stabilito) e il 3 giugno ho aperto la mia barberia storica.
Nel frattempo, il 2 aprile sono diventato membro della Soka Gakkai. Sono pieno di gratitudine e ho preso questa determinazione: con le mie azioni basate sulla pratica buddista aiuterò tutti i giovani e darò nuova energia e positività a uomini e donne. Questa sarà la mia rivoluzione umana per cambiare il mio ambiente e per creare pace tra gli esseri umani.
[ Giordano Cruciani ]
Non perfetti ma liberi
Trovare il nostro spazio nel mondo non è semplice, viviamo accompagnati da costanti stimoli su come dovremmo essere, comportarci, sentirci… ci confrontiamo con modelli spesso irraggiungibili, in cui le fragilità sono debolezze e le sensibilità un difetto.
Tra schermi e frenesie emerge la costante pressione di essere perfetti, perfette, e la stanchezza di dover realizzare una buona performance in ogni situazione, senza più riuscire ad ascoltare quali siano i nostri reali desideri e le nostre aspirazioni.
Iniziare a praticare il Buddismo significa prendere tutto quello considerato fino a ora importante e ribaltarlo completamente!
Recitando Nam-myoho-renge-kyo ci liberiamo dalle catene dell’idea di noi stessi che pensiamo “dovremmo essere”, perché iniziamo a conoscerci, a rispettarci così come siamo tra luci e ombre.
Il nostro stato vitale si alza e con esso anche noi ci innalziamo al di sopra del dolore che stiamo affrontando o del sogno che ancora non siamo riusciti a realizzare, per essere in questa prospettiva finalmente liberi. Non perfetti ma liberi, libere di credere che nulla è impossibile e che i limiti sono solo nella paura.
Daisaku Ikeda scrive: «Siamo nati in questo mondo non per soffrire, ma per rallegrarci. […] Affinché le persone possano condurre una vita allegra, attiva e ricca di significato nell’arida società di oggi, abbiamo bisogno di una filosofia che illumini la mente di ogni individuo come la luce del sole» (Qualunque fiore tu sia sboccerai, Piemme, p. 72).
È affrontando gli ostacoli della vita con il coraggio di alzare sempre lo stato vitale che facciamo emergere la nostra unica missione, costruiamo il nostro carattere e scriviamo la nostra storia.
In quel momento tutte le preoccupazioni esterne diventano una debole nebbia e spunta dentro di noi il sole della gioia in ogni circostanza, perché la vita può trasformarsi completamente in un singolo istante, bisogna solo decidere di mettersi le scarpe e iniziare a correre coerenti con la strada che abbiamo deciso di intraprendere.
[ Rossella Maci ]
Vivere questo tempo in modo rivoluzionario
Nella Soka Gakkai abbiamo incontrato tante persone che si stanno impegnando sinceramente per la felicità degli altri, condividendo la Legge fondamentale della vita che rende possibile trasformare qualunque sofferenza. E in particolare abbiamo incontrato una persona, Daisaku Ikeda, presidente della Soka Gakkai Internazionale e maestro buddista tuttora vivente, una delle grandi guide spirituali della storia dell’umanità. Grazie ai suoi incoraggiamenti, all’influenza positiva dei praticanti che abbiamo vicino e a chi ci ha parlato del Buddismo, abbiamo scoperto che dentro ognuno e ognuna di noi esiste un meraviglioso, straordinario potere.
Rivolgendosi ai giovani Ikeda afferma: «I tempi per voi ora sono duri e difficili, ma non cedete. Non siate mai sconfitti. Voglio che dimostriate che i grandi leader si sviluppano nelle circostanze più avverse» (NRU, 9, 157).
Siamo un gruppo di giovani che desiderano vivere questo tempo in modo rivoluzionario.
C’è una caratteristica che ci contraddistingue. In modo naturale e non pretenzioso, ma anche con coraggio, ci siamo assunti la responsabilità più grande: creare una società felice e renderla il palcoscenico in cui le persone possano realizzare la propria vita in modo libero e completo.
Ci siamo presi questa responsabilità perché proprio questo è il progetto dedicandoci al quale possiamo esprimere al massimo la nostra vita, mettendo a frutto le nostre qualità e i nostri talenti.
Come pensiamo di riuscirci? Attraverso la sincerità del nostro cuore, che rende possibile ogni trasformazione. Possiamo contare su una visione della vita che indaga le cause profonde dei fenomeni e su una pratica che permette di applicarla concretamente a ogni situazione. E desideriamo mostrare la prova concreta di un'esistenza realizzata, che non vuol dire aver già raggiunto tutti gli obiettivi di una vita. La giovinezza è il tempo della sfida e della costruzione: essere liberi e forti anche nella circostanza più dura e continuare a impegnarci per la felicità di tutte le persone, senza escludere noi stessi… non è forse questa una vita pienamente realizzata?
Ogni giorno è il tempo di questa sfida: ripartiamo sempre dalla pratica quotidiana di Daimoku e Gongyo. Ogni evento, ogni realizzazione, ogni ostacolo è lo stimolo per crescere e imparare. Ogni incontro è l’occasione per costruire la speranza: dedichiamoci all’ascolto e dialoghiamo con convinzione.
Perché un singolo individuo che trasforma la sua vita rende realtà quella società ideale che stiamo costruendo.
Il nostro obiettivo è che tante, tantissime persone, in ogni angolo d’Italia, possano unirsi a questa rivoluzione giovane e gentile che ha al centro la felicità di ognuno e ognuna di noi.
[ Mirko Lugli ]