Come ho conservato il regalo

 

immagine di copertina
Ognuno e ognuna di noi ha iniziato il suo percorso buddista per motivazioni personali e diverse e, nella maggior parte dei casi, dando credito e fiducia a chi gli ha fatto conoscere la teoria e la pratica buddista.
Nel mio caso la motivazione, almeno apparentemente, è stata la fascinazione che la filosofia buddista ha esercitato su di me dopo essermene innamorato leggendo i romanzi degli autori della beat generation. Non occorre, quindi, fare molti calcoli per capire che ho iniziato a praticare questo Buddismo molti anni fa: ero giovane, venivo dalla lotta politica dei movimenti studenteschi del ’77 e, come tantissimi, ero però finito nella rete vischiosa delle droghe pesanti.
Iniziando a praticare la Legge meravigliosa, ognuno e ognuna di noi ha vissuto e goduto dei suoi primi benefici con la stessa meraviglia di un bambino che si esalta del fascino dell’eccezionale e dell’inatteso che porta con sé un sentimento piacevole, improvviso e intenso. Per me, dopo pochissimi giorni dal mio primo Daimoku, l’eccezionale e l’inatteso ha significato scaricare la “scimmia sulla schiena” senza alcun problema, senza nessuna fatica, senza rimpianto.
Se iniziare a praticare questo Buddismo è stato per me affascinante e piuttosto semplice, e se i primi fantastici risultati li potrei definire “psicomagici” per il loro effetto immediato di aver invertito il corso della mia vita e la mia visione del mondo, per “entrare nella Via” mi trovavo, invece, completamente impreparato perché avrei dovuto fare riferimento e appello alla “fede”.
Ovviamente assegnavo a questo termine il significato che conoscevo, quello che ne danno le religioni rivelate, mentre ho sempre preferito uno sguardo laico alla vita e temi come diritti, etica, filosofia, politica, scienza. Insomma, in me c’era una parte che resisteva e non riteneva “sano” legarsi a dogmi che devono essere accolti per veri e giusti rinunciando così alla propria indipendenza intellettuale.
Ma mi sono fidato di quelle ragazze e di quei ragazzi dalla faccia pulita e dalle belle e genuine intenzioni che, nel seguirmi già dai primi giorni e anche dopo, mi spiegavano e mi assicuravano che, con una pratica costante e sincera, potevo sperimentarne la validità in termini di cambiamenti favorevoli e buone circostanze e, di conseguenza, costruire la mia fede con metodo empirico, dall’esperienza che ne facevo personalmente.
Nello scritto Il conseguimento della Buddità in questa esistenza si legge: «Una mente annebbiata dalle illusioni derivate dall’oscurità innata è come uno specchio appannato che, però, una volta lucidato, sicuramente diverrà limpido e rifletterà la natura essenziale dei fenomeni e il vero aspetto della realtà. Risveglia in te una profonda fede e lucida con cura il tuo specchio notte e giorno. Come dovresti lucidarlo? Solo recitando Nam-myoho-renge-kyo» (RSND, 1, 4).
Così è stato: passo dopo passo, giorno dopo giorno. Come per tanti altri, il mio percorso di fede è andato avanti lucidando “notte e giorno”, al meglio delle mie possibilità e con la migliore cura e attenzione, il mio specchio. È stato come accendere la luce in una stanza, osservare la disposizione degli oggetti, fare un piano di riordino e pulizia e continuare il lavoro. A volte, però, per stanchezza o pigrizia, è successo anche di rimandare il lavoro a un altro momento. Altre volte, nonostante avessi fatto tutto quello che andava fatto, le cose non sono andate come avevo desiderato.
Nel 2007, dopo la laurea triennale in Scienze per la cooperazione, lo sviluppo e la pace, e quella magistrale in Mediazione e trasformazione dei conflitti, conseguite nella posizione di lavoratore-studente, mi sarebbe piaciuto lavorare nel campo della mediazione sociale dei conflitti e sarei volentieri rimasto nell’ambito universitario. Non è stato possibile e mi sono concentrato in quello che era già il mio impiego.
Dal 1982 sono funzionario in una amministrazione pubblica e, sebbene per molto tempo non abbia amato il mio lavoro, grazie alla pratica buddista l’atteggiamento nei confronti dei miei compiti è profondamente cambiato arrivando ad assumere per me un’importante funzione di responsabilità anche sociale e facendomi distinguere per innovative semplificazioni nel commercio internazionale. Il naturale sbocco della mia carriera era acquisire un ruolo dirigenziale: contemporaneamente a un primo incarico temporaneo, nel 2011 ho partecipato al concorso per dirigenti. Nel 2014, dopo un periodo molto faticoso, vissuto lontano da casa fra gli impegni di direzione di un ufficio complesso e la accurata preparazione al concorso, sono risultato vincitore. Purtroppo negli anni il concorso è stato oggetto di ricorsi amministrativi, denunce penali, interpellanze parlamentari e articoli di stampa, tant’è che, nel 2020 è stato annullato. Per quelli che, come me, ne erano risultati vincitori con lealtà e onestà, si è trattato di una vera ingiustizia.
Allora perché, nonostante tutto, ho continuato a praticare? Quando mi interrogo su questo mi baso su quanto leggo nel Gosho Gli otto venti: «L’uomo saggio merita di essere chiamato tale perché non si lascia sviare dagli otto venti: prosperità, declino, onore, disonore, lode, biasimo, sofferenza e piacere. Non si esalterà nella prosperità né si lamenterà nel declino» (RSND, 1, 705).
Per me, in fondo, il vero beneficio è di sentirmi equanime rispetto a quello che mi accade, di restare in piedi nonostante tutto, di essere saldamente al “volante” della mia esistenza, di riconoscere che le mie reazioni risultano sempre più adeguate alle circostanze e sempre più provenienti da una parte profonda di me.
Sin dal primo Daimoku il mondo non lo si vede più nello stesso modo e, a poco a poco, si scopre sé stessi. Continuando, poi, si impara che di sé stessi… ci si può anche fidare.
[ Pasquale Dioguardi ]

buddismoesocieta.org