Ho preso per mano la mia malattia

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Avevo appena un anno e mezzo quando mi fu diagnosticato il diabete. Grazie al dolore fisico causato da questa patologia misi alla prova, già all’età di sei anni, il funzionamento di Nam-myoho-renge-kyo: solo la recitazione del Daimoku era in grado di calmare profondamente sia il mio corpo sia il mio cuore.
Ho vissuto l’adolescenza sotto lo scacco della malattia, che prosciugava tutta la mia energia vitale e comprometteva il sano funzionamento del mio corpo. Si consolidava dentro di me la convinzione che non sarei mai riuscita a fronteggiare questa situazione, perché non credevo di esserne all’altezza. Come conseguenza entrai in una profonda depressione che peggiorò le mie condizioni: avevo dolori costanti, difficoltà respiratorie e importanti problemi di digestione. Vivere con l’idea che la mia vita fosse una continua sofferenza fisica mi privava di tutte le energie. Anche praticare il Buddismo mi risultava molto difficile. Non ero costante, perché non avevo le forze per esserlo: ero convinta di essere totalmente incapace di vivere.
Tutto è cambiato quando iniziai a conoscere la vita del maestro Daisaku Ikeda. Comprendere che anche lui aveva fronteggiato in giovane età sfide apparentemente insuperabili, con la decisione assoluta di vincere per la felicità di tutto il genere umano, fece nascere in me un profondo senso di gratitudine nei confronti del suo grande cuore. Iniziai a percepire che il mio destino poteva essere ribaltato, al di là delle mie capacità e di quello che le difficoltà mi facevano credere, e che se anche quella fosse stata la sfida della mia vita, mi sarei dedicata a ripagare questo profondo debito di gratitudine.
Cominciai a recitare Daimoku con il pensiero costante che myo significa “tornare a vivere”. Volevo ridare vita a ogni mia cellula, approfondendo la visione del Sutra del Loto secondo cui possiamo trasformare il karma nella nostra missione e il veleno in medicina.
La mia malattia è ancora definita “incurabile” ma, proprio perché secondo il Buddismo anche il karma “immutabile” può essere trasformato, ho iniziato a sentire che con la preghiera avrei potuto guarire la causa profonda di questa mia sofferenza karmica.
Così ho tirato fuori il coraggio di decidere di guarire dal diabete, col desiderio di contribuire con la mia esperienza a testimoniare i percorsi di guarigione delle malattie incurabili.
Da quando ho preso questa decisione, nella mia vita è iniziato il vero processo di guarigione.
Daisaku Ikeda scrive: «Il Buddismo insegna il principio di “trasformare il veleno in medicina”. La fede buddista ci insegna che è possibile trasformare la sfortuna in felicità. Come l’aquilone, che è in grado di volare alto nel cielo solo se sorretto dal vento, è possibile dischiudere il nostro stato vitale e danzare nell’immenso cielo della felicità solo passando attraverso difficoltà e traversie. Una trasformazione tanto radicale riflette il dinamismo del Buddismo di Nichiren Daishonin» (NRU, 30, 501).
Negli anni ho continuato a soffrire di disturbi legati alla malattia, aggravati da altri problemi di salute che i medici non riuscivano a curare. Ma invece di ricadere nella convinzione che la mia vita sarebbe stata solo un inferno, ho sempre deciso di guarire attraverso la fede.
In questo modo, ogni volta che sono riuscita a riprendermi da una nuova difficoltà ho anche curato un atteggiamento distruttivo nei miei confronti che prima non vedevo, trasformandolo in profondo rispetto per la mia vita. Ho finalmente consolidato la consapevolezza che dentro di me esiste il potere assoluto della Buddità, che ha in sé il potere dell’autoguarigione. Senza questo impegno costante di trasformazione sono certa che avrei sofferto per tutta la vita. In questo modo ho sperimentato in prima persona il principio dell’alleggerimento della retribuzione karmica.
Posso felicemente affermare che la malattia ha rappresentato per me la via diretta per conoscere così intensamente una felicità che non dipende dalle circostanze esterne, ma che deriva dalla decisione profonda di percepire lo stato di Buddità nella mia esistenza. Grazie alle difficoltà derivate dal mio karma, ho scoperto una fonte infinita di creatività che adesso è diventata la mia più grande peculiarità caratteriale.
Questa continua lotta mi ha permesso di costruire una carriera che non è mai stata toccata dai limiti della mia salute, anzi è sbocciata con tanti riconoscimenti e soddisfazioni. Sono una doppiatrice e spesso le persone mi dicono che quando sentono la mia voce si sentono felici e rassicurate!
L’allenamento profondo a sperimentare la guarigione mi ha portato anche a desiderare di sviluppare per il futuro nuovi progetti e interessi legati all’arte e alla sua funzione terapeutica, facendo rete nel mondo, insieme a tutti coloro che vivono la mia stessa difficoltà, per condividere un futuro di vittorie comuni.
Ora vedo il palcoscenico della mia missione sempre più ampio, con la fiducia di poter realizzare sogni che prima non riuscivo nemmeno a immaginare.
(Erica Yoko Necci)

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