«S'i fosse acqua, i' l'annegherei [il mondo]», così recitava Cecco Angiolieri da poeta che amava la vita e malediceva le convenzioni.
Se io fossi acqua è, forse per amore di contraddizione, il titolo di un film-documentario dove si narra il senso profondo e il valore dell'«umana compagnia», come direbbe un altro poeta (Giacomo Leopardi).
Il film racconta dell'alluvione del 25 ottobre 2011 in Val di Vara attraverso la ricerca dell'essenza della comunità umana di Pignone, situata in una piccola valle dell'Appennino ligure che, dopo un dramma collettivo, ha reagito solidale riaffermando la propria coscienza di luogo.
Attraverso l'intreccio delle voci narranti si sviluppa la testimonianza di una comunità che reagisce: ricomincia a lavorare la propria terra, rimettendola in produzione senza "saltare" la stagione della semina. Si producono gli ortaggi tra cui la famosa "patata di Pignone" e ci si prepara alla rinascita della Festa degli orti del 25 agosto 2012.
Il racconto non è fine a se stesso, non è uno sguardo solo su un evento, ma un interscambio emotivo tra gli autori, le persone e il territorio esplorato.
Questo il film: nato dalla volontà di tre autori di dare voce a una tragedia e diventato esso stesso veicolo e portatore sano di speranza per una intera comunità.
I tre autori sono Luigi Martella, biologo urbanista; Massimo Bondielli, regista; Marco Matera, chimico e coacher.
Se fosse una barzelletta buddista potremmo definirli: il praticante, il principiante, il simpatizzante. E a conoscerli di persona hanno del terzetto comico: Gino che parla un impasto appassionato di dialetto ligure salentino, Massimo, contenuto nelle parole ma dovizioso di sguardi sconsolati quando ripensa all'impresa tecnica che è riuscita nonostante i due imbranati assistenti; Marco, finto napoletano, che incanta con le parole proprio come un autentico partenopeo.
La loro vicenda è anche la storia di un'amicizia nata a ridosso di una crisi che, nutrita del percorso buddista, si è trasformata in opportunità.
Luigi: io praticavo da un anno, mi sono reso conto che stavo liberando più energia, la mia proverbiale determinazione non si bloccava più di fronte ai miei limiti. La nebbiolina che mi oscurava ogni volta che emergevano, ora si diradava e mi apriva a nuovi orizzonti: nascevano incontri bellissimi. Il primo è stato con Marco e con Massimo con cui è nata l'idea del film.
Massimo: la nostra è stata una storia di affidamento al Gohonzon e di affidamento l'uno all'altro: dove non arrivo io, arrivi tu. Molti aspetti li ho capiti quando raccontavo la mia esperienza al gruppo buddista, mi dicevano: guarda che il tuo coraggio di voler essere filmaker al cento per cento è il coraggio del re leone.
Marco: io per certi versi mi sono sentito il più buddista. L'essere gruppo, comunità, vissuto in modo concreto, nell'azienda. Ero abituato alla meditazione a occhi chiusi: prendevo energia, ma non la davo. Recitare aprendo gli occhi ha significato guardare il mondo con il cuore fermo. Gli ostacoli, i casini che abbiamo incontrato li abbiamo accolti a occhi aperti: con gratitudine e fiducia nella vita.
La stessa gratitudine che noi abbiamo coltivato verso la comunità di Pignone è ritornata a se stessa, che nel film ha trovato le parole per raccontarsi, e a noi, anche nella forma di energia per andare avanti.
Non siamo arretrati di fronte a nessuna sfida e così è arrivata la selezione al Cinemambiente di Torino, l'Arena Slow Food Italia di Caffeina, il Clorofilla Film Festival, l'Ischia Film Festival, ecc. Diciassette appuntamenti per un film autoprodotto nato dalla follia di tre persone che hanno scommesso sulla «forza dell'umana vita».
Parafrasando Daisaku Ikeda: hanno destato il poeta che ognuno ha in cuore e dell'umana natura hanno svelato l'essenza e il fiore.
(Giovanna Gobattoni)