proposta di Daisaku Ikeda

proposta di Daisaku Ikeda

Era l’8 settembre 1957, esattamente cinquantadue anni fa, quando Josei Toda si rivolse a un pubblico di circa cinquantamila giovani e dichiarò che l’obiettivo di eliminare tutte le armi nucleari dalla faccia della terra costituiva la principale indicazione per i suoi successori. È su questa storica dichiarazione che si fonda l’impegno per la pace e il disarmo della Soka Gakkai.
Per Toda le armi nucleari, che minacciano il diritto dell’umanità alla sopravvivenza, erano un “male assoluto”. Era determinato a «strappare gli artigli celati nelle estreme profondità di simili ordigni», deciso a eliminare ogni concetto di sicurezza fondato sulla sofferenza e il sacrificio dei cittadini comuni.
Ma nonostante l’esistenza ininterrotta di questa minaccia – l’ombra della morte violenta gettata in ugual misura sull’intera umanità – raramente essa è stata avvertita come una realtà concreta, perché è in gran parte invisibile, relegata in una sfera inconscia. In ogni sua iniziativa per l’abolizione del nucleare la Soka Gakkai ha considerato come priorità assoluta infrangere questa barriera di inconsapevole elusione.
Dopo aver istituito nel 2006 il Decennio dei popoli per l’abolizione del nucleare, in questa Proposta Daisaku Ikeda – tra le altre iniziative e suggerimenti ai governi e alle Nazioni Unite – si fa promotore di un movimento per la stesura di una “dichiarazione per l’abolizione del nucleare da parte della popolazione mondiale” da sottoporre all’Assemblea Generale dell’ONU entro l’anno 2015: raccogliere collaborazione e sostegno per questa dichiarazione sarà un compito essenziale per i membri della Soka Gakkai Internazionale, determinati a lavorare con il più vasto numero di persone e organizzazioni allo scopo di costruire una solidarietà popolare volta all’eliminazione completa e definitiva delle armi nucleari dalla faccia della terra.

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Un mondo nuovo per il disarmo

Costruire una solidarietà globale per l'abolizione del nucleare

1955 Il Manifesto Russell-Einstein, sottoscritto da Bertrand Russell, Albert Einstein, Max Born, Joseph Rotblat, Linus Pauling e altri sei eminenti scienziati, mette in guardia dai pericoli delle armi nucleari e invita i leader mondiali a trovare soluzioni pacifiche alle tensioni internazionali.

1958 L'americano Linus Pauling, chimico e attivista per la pace, presenta alle Nazioni Unite una petizione firmata da 9.235 scienziati, tra i quali 37 premi Nobel, che richiede un accordo internazionale per fermare i test delle armi nucleari.

1979 Helen Caldicott, medico australiano, organizza un incontro di esperti sul tema "Le conseguenze mediche della guerra nucleare", che riscuote una grande partecipazione nelle principali città degli Stati Uniti.

1981 Viene costituito il Greenham Common Women's Peace Camp, un Campo di donne per la pace costituito in segno di protesta contro le armi nucleari in corso di installazione presso la base aerea della RAF di Grenham Common, nel Berkshire, in Inghilterra. Il Campo ha inizio dopo che un gruppo di donne gallesi, chiamato Women for Life on Earth, arriva a Greenham per protestare contro la decisione del governo britannico di consentire l'installazione dei missili Cruise. Il 1 aprile 1983 decine di migliaia di manifestanti formano una catena umana lunga quasi venti chilometri da Greenham fino alla centrale nucleare di Aldermaston e alla fabbrica di pezzi di artiglieria di Burghfield. Gli ultimi missili lasciano la base nel 1991, ma il Campo delle donne per la pace rimane sul luogo fino al 2000, quando le sue promotrici ottengono il diritto di erigervi un monumento commemorativo.

1985 Viene conferito il premio Nobel per la pace all'International Physicians for the Prevention of Nuclear War, una federazione di organizzazioni nazionali fondata nel 1980 da un piccolo gruppo di medici americani e sovietici per sensibilizzare i medici e spingerli a far pesare la loro influenza contro la minaccia rappresentata dalle armi nucleari.

1995 Nel cinquantesimo anniversario del lancio della bomba atomica le città di Hiroshima e Nagasaki lanciano un appello per la messa al bando e l'eliminazione delle armi nucleari. Più di sessantadue milioni di giapponesi firmano l'appello.

2005 L'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) e l'allora direttore Mohamed ElBaradei ricevono il premio Nobel per la pace.

2006 I partecipanti al settimo Summit mondiale dei Nobel per la pace riuniti a Roma fanno una forte dichiarazione sul disarmo nucleare e sulla non proliferazione.

2007 A sessant'anni dalla comparsa sulla copertina del Bulletin of the Atomic Scientists', le lancette dell'Orologio dell'Apocalisse (Doomsday Clock), che segnano il tempo che manca a una guerra nucleare globale, vengono ancora spostate in avanti. Ora mancano cinque minuti a mezzanotte (vedi: http://www.thebulletin.org).

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La società civile per la pace e il disarmo

Di trattati che possiamo definire volti, a vario titolo, a effettuare una qualche azione di disarmo nucleare, se ne contano circa una ventina. Tra essi il Non Proliferation Treaty (NPT) è senz'altro il più importante e il più attuale.
Il più attuale perché nel 2010 è programmata dal 3 al 28 maggio a New York la conferenza per la sua prossima revisione quinquennale prevista ai sensi dell'art VIII comma 3 del trattato stesso. Inoltre, benché concepito negli anni '60 ed entrato in vigore nel 1970, esso non ha perso nessuna delle sue ragioni d'essere e anzi la sua totale attuazione s'impone come prerequisito per una effettiva e duratura sicurezza nelle relazioni internazionali nella odierna situazione geopolitica. Per rendersene conto basta leggere il testo del Trattato, reperibile in vari siti, ma anche sulle apposite pagine di un sito delle Nazioni Unite creato in occasione della revisione del 2005: http://www.un.org/events/npt2005/npttreaty.htm.
Ma quella del maggio prossimo non sarà una revisione puramente formale, come purtroppo ce ne sono state nel passato. Infatti dalle relazioni ufficiali dei lavori preparatori PREPCOM 2007 (cfr. http://www.un.org/NPT2010/), PREPCOM 2008 (cfr. http://www.un.org/NPT2010/SecondSession/documents.html) e PREPCOM 2009 (cfr. http://www.un.org/disarmament/WMD/Nuclear/NPT2010Prepcom/PrepCom2009/), che si sono già svolti, per la prima volta nella storia delle armi nucleari si intravede una chiara volontà politica volta alla loro effettiva eliminazione totale.
Esso è senz'altro il trattato più importante perché è un trattato multilaterale al quale hanno aderito quasi tutte le nazioni (189 a oggi) e non un semplice accordo fra due stati.
Esso inoltre prevede non solo la non proliferazione, ma anche - esplicitamente e inequivocabilmente - la totale e irreversibile eliminazione di tutte le armi nucleari. Senza "se" e senza "ma".
La terza ragione è che il NPT è nato e si svolge ufficialmente nell'ambito delle Nazioni Unite.
Per chi volesse una rapida ma precisa visione d'insieme raccomandiamo il sito http://www.nti.org/h_learnmore/npttutorial/index.html ma anche http://wapedia.mobi/en/Nuclear_Non-Proliferation_Treaty da cui partire per tutti gli argomenti correlati al disarmo nucleare. Quest'ultimo estremamente preciso, accurato e chiaro.
Infine segnaliamo il seguente sito http://www.reachingcriticalwill.org/ fondato e gestito dal Women's International League for Peace and Freedom http://www.wilpf.int.ch/.
(R.A.)

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Il trattato di non proliferazione: vicini a una svolta?

in prima persona

in prima persona

di Ayako Kokuza, Giappone

Il 6 agosto 2005, sessantesimo anniversario del primo bombardamento atomico, mi sono recata da Kyoto a Hiroshima per prendere parte a una cerimonia commemorativa per le vittime della bomba e per i morti di guerra. Pregando per le vittime ho rinnovato la mia promessa di adoperarmi per l'abolizione del nucleare.
Al termine delle celebrazioni ho parlato con gli studenti del luogo condividendo con loro le mie memorie di quel giorno di sessant'anni prima.
Sono nata ad Hiroshima. Mia madre mi ha cresciuto da sola dopo la morte di mio padre, avvenuta quando ero ancora piccola. Al momento del lancio della bomba mi trovavo a tre chilometri dall'epicentro, avevo sedici anni e lavoravo come assistente amministrativa negli uffici direzionali della marina. Avevamo appena concluso la nostra riunione del mattino.
Ci fu un lampo e mi sentii scaraventare nella stanza. Quando rinvenni vidi i miei colleghi che giacevano a terra intorno a me, l'intero orizzonte divampava in fiamme. Miracolosamente non ero ferita, e cercai disperatamente di aiutare le persone ferite.
Una giovane madre mi venne incontro chiedendo aiuto. Aveva tutto il corpo bruciato e sulla sua schiena teneva un bambino senza testa. Quando si chinò e mi prese la mano la pelle le si sfilò dalle mani come un guanto. Ero talmente terrorizzata che non smettevo di tremare.
Impiegai tre giorni per tornare a casa, facendomi strada attraverso un paesaggio in fiamme. L'inferno che ho visto non lascerà mai la mia mente.
Tra le macerie di ciò che un tempo era la nostra casa trovai mia madre, completamente sconvolta. Sollevata di vedermi, pianse e corse in giardino per cercare qualcosa per me. Mi ci volle un po' per realizzare che gli oggetti che mi aveva messo in mano erano pomodori. Erano diventati neri a causa della pioggia radioattiva. Li divorai avidamente, furono il mio primo pasto dopo tre giorni.
Raccontando la mia storia a quei ragazzi, dicendo loro, tra le lacrime, quanto sia preziosa la pace, pensai ai miei lunghi anni di silenzio.

La vergogna

Molti sopravvissuti alla bomba atomica tengono l'esperienza di quel dramma per sé, temendo il pregiudizio e la discriminazione. Io ero una di loro. Quando mi sposai nel 1947 non riuscii a dire alla famiglia di mio marito che ero una hibakusha1 sopravvissuta della bomba atomica. Mia madre morì poco dopo. Aveva solo 43 anni, le radiazioni le avevano distrutto la salute. Io stessa soffrivo degli effetti collaterali; il numero dei miei globuli bianchi era la metà del livello normale. La paura della morte non mi abbandonava.
Anche il pensiero di avere dei figli mi terrorizzava, non sapendo quali effetti avrebbero ereditato. E invece divenni madre di un maschio e tre femmine. Nel 1958 un amico mi introdusse al Buddismo di Nichiren Daishonin. Pregai con un tale fervore per vedere crescere i miei figli che la paura, gradualmente, lasciò la strada a una ferrea determinazione di vivere.
Un anno dopo il numero dei miei globuli bianchi era normale. La mia vita e le mie condizioni finanziarie iniziarono a migliorare.
Tuttavia il 6 agosto mi trovava ogni anno in lacrime, ossessionata da ricordi terrificanti. «Mamma, perché piangi?» mi chiedevano i miei figli con sguardo perplesso. Ma io non riuscivo a rispondere. Non volevo che fossero discriminati qualora si fossero sposati o avessero cercato lavoro.
Un punto di svolta venne nel 1965, quando accettai una posizione di responsabilità del nostro movimento buddista nel capitolo della mia zona. Il caso ha voluto che fosse proprio il giorno del ventesimo anniversario del rilascio della bomba su Hiroshima.
Riflettendo su quanto la mia vita si fosse rigenerata attraverso la pratica buddista, mi sentii traboccante di gratitudine e presi una nuova decisione. Avrei vissuto, mi dissi, per la pace e per la felicità altrui.
Non passò molto tempo e, per la prima volta, raccontai la mia esperienza da sopravvissuta alla bomba-A. Accadde a un incontro della Divisione giovani della Soka Gakkai di zona. Rompendo i miei vent'anni di silenzio descrissi le atrocità delle armi nucleari vissute sulla mia pelle e parlai della sacralità della vita.
Temevo la reazione dei miei figli, dopo la scoperta di ciò che avevo taciuto fino ad allora. Loro invece mi dissero: «Mamma, per favore racconta la tua storia alle persone e non preoccuparti di noi, perché stiamo bene e in salute».
Fu allora che iniziai la mia attività di volontariato, che spaziava dal raccontare la mia esperienza alla protezione ambientale, alle letture ai bambini di libri sulla pace. Ricevetti persino la carica di presidente dell'Unione delle casalinghe di Kyoto, e nel 1980 andai in Cina con la loro delegazione.
Oggi io e i miei quattro figli lavoriamo tutti attivamente per la causa della pace. Ognuno di loro ha costruito una famiglia felice. Mia figlia, che era preoccupata degli effetti genetici della bomba-A, ha partorito un figlio sano che ora è cresciuto e lavora. Io ho otto nipoti e due pronipoti, cosa che non avrei mai immaginato possibile.
Sono profondamente grata di essere sopravvissuta, di essere viva oggi, e continuerò a lottare per la pace. Non dobbiamo permettere che la tragedia di Hiroshima si ripeta di nuovo.

(pubblicato su SGI Quarterly del luglio 2007, tradotto da Petra Biral)

1) hibakusha - i sopravvissuti al bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki - sono le sole persone della storia ad aver sperimentato direttamente l'orrore della bomba atomica. Tra loro si contano non solo giapponesi ma anche coreani, cinesi e persone di altri paesi che si trovavano in quel momento in quelle città.

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Rompere il silenzio

Cancellare l'opzione "annientamento dell'altro", concentrare gli sforzi per eliminare questa mentalità. Enza Pellecchia, giurista ed esperta di diritti umani, ci parla in questa intervista del profondo cambiamento di coscienza che la nuova mostra per il disarmo nucleare della SGI si propone di suscitare nelle persone che la visiteranno. Docente di Diritto privato presso la facoltà di Giurisprudenza di Pisa, recentemente è stata chiamata a far parte del comitato che allestirà in Italia la mostra, che sarà l'asse portante delle attività per la pace della Soka Gakkai Internazionale nei prossimi dieci anni



La Soka Gakkai Internazionale sta dando un nuovo impulso alle sue attività per il disarmo nucleare. Al centro c'è la Proposta sul disarmo del presidente Ikeda e una nuova mostra dal titolo Da una cultura di violenza a una cultura di pace: trasformare lo spirito umano. Tu fai parte del comitato che ha il compito di allestire questa mostra in Italia. Come pensi di dare, con le tue competenze di giurista ed esperta di diritti umani, il tuo contributo a quest'impresa? 
La partecipazione al gruppo che sta muovendo i primi passi per l'allestimento in Italia della mostra Da una cultura di violenza a una cultura di pace: trasformare lo spirito umano è per me una grande opportunità: alterno momenti di euforia (per la straordinaria esperienza umana che sto facendo) a momenti di preoccupazione (per il grande lavoro che c'è da fare, un impegno di almeno un anno)! Credo di essere stata chiamata a far parte di questo gruppo non tanto per le mie competenze strettamente giuridiche, quanto per l'esperienza maturata come docente del corso di laurea in Scienze per la pace dell'Università di Pisa e come direttore del Centro per i diritti umani di Pisa. L'approccio metodologico interdisciplinare del corso di laurea in Scienze per la pace - che ha finalmente avviato anche in Italia i Peace Studies (una realtà accademica già da tempo consolidata negli Stati Uniti e in altri paesi europei) - mi aiuta infatti a cogliere la molteplicità di implicazioni di un medesimo fenomeno, mentre l'attività fatta sul territorio con il Centro per i diritti umani mi permette di coniugare linguaggio divulgativo e contenuti specialistici. Il mio impegno nel comitato è essenzialmente in questa duplice direzione: visione d'insieme e linguaggio accessibile nella divulgazione, senza però sacrificare la scientificità dei contenuti.



Puoi descriverci la mostra in breve, e indicarci le sue finalità? 
La mostra - nella sua versione originaria - è articolata in trentasei pannelli, con immagini evocative e testi esplicativi. 
L'idea-guida è esemplificata, in apertura, da una metaforica piramide, al cui vertice si collocano le armi nucleari ma alla cui base si colloca l'indifferenza verso le sofferenze altrui e, in senso ampio, l'oblio riguardo all'appartenenza alla "comune famiglia umana". Le armi nucleari sono la concretizzazione di un modo di pensare che occorre sradicare dalle coscienze: l'idea cioè che ci sia spazio - come modo per risolvere i conflitti - per l'opzione "annientamento totale dell'altro". 
La mostra è in realtà un tassello di un progetto più ampio, formulato dal presidente Ikeda con lungimiranza, se si considera che nel 2010 l'ONU proclamerà - fino al 2020 - il decennio per il disarmo nucleare. 
Questo progetto più ampio è scandito da alcuni passaggi fondamentali: nel 2006 Ikeda ha promosso una campagna - People's Decade of Action for Nuclear Abolition - per la collaborazione con i movimenti mondiali antinucleari; nel 2007 ha presentato la proposta di pace in cui - cinquant'anni dopo la dichiarazione di Toda - si insiste molto sul tema del disarmo; nello stesso anno è stata inaugurata la mostra; nel 2009 ha proposto il piano per la solidarietà globale per la denuclearizzazione, un piano in cinque parti, con obiettivi precisi per ogni singolo punto e un termine di tempo: il 2015.



A chi è diretta la mostra? 
La mostra si rivolge a tutti. Come sempre, un'attenzione particolare sarà dedicata agli studenti, per fornire spunti di riflessione che potranno poi essere approfonditi nel contesto di varie discipline: la fisica e la storia, prima di tutto, ma anche la letteratura, la biologia, l'educazione ambientale, solo per fare qualche esempio. 
Ripeto, la mostra è uno strumento per diffondere conoscenza, attivare riflessioni critiche, incoraggiare iniziative concrete dal basso, promuovere reti con altre organizzazioni della società civile: sarà molto interessante vedere, fino al 2015, quali iniziative concrete la mostra sarà stata in grado di stimolare, quanta creatività avrà messo in moto!



Cosa pensi che possa suscitare in chi la visiterà? 
Spero che generi consapevolezza. La storia della bomba atomica viene riduttivamente fatta coincidere con l'olocausto nucleare che si consumò a Hiroshima e Nagasaki e quella tragedia è presentata come una tragedia "necessaria", per porre fine alla seconda guerra mondiale: la realtà è molto più complessa e pochissimo si sa - tra le persone comuni - di come si arrivò a quella decisione. La mostra sollecita riflessioni su grandi temi come la responsabilità della scienza, la pericolosità dei test nucleari (per le ricadute ambientali e sulla salute delle persone), l'inaccettabilità delle "piccole bombe atomiche" per colpire obiettivi sotterranei circoscritti. Vorrei, soprattutto, che la mostra arrivasse alle giovani menti, quelle dei bambini e dei ragazzi: giovani menti troppo spesso assuefatte a considerare il lancio di bombe come una delle strategie di combattimento dei videogiochi ed esposte al rischio che attraverso giochi di guerra - non innocenti! - si radichi a poco a poco nei loro cuori la tendenza a considerare il lancio di una bomba, anche nucleare, come un'eventualità possibile. Vorrei, anche, non sentire più frasi del tipo: «Ci vorrebbe una bella bomba atomica per risolvere il problema», frasi pronunciate spesso da tanti adulti a proposito di conflitti che durano da troppo tempo o che minacciano di esplodere. La mostra - che non a caso si intitola Da una cultura di violenza a una cultura di pace: trasformare lo spirito umano - cerca di promuovere questo cambiamento senza ricorrere a immagini catastrofiche, ma sollecitando l'attivazione di un percorso individuale di riflessione.



In Italia ci saranno novità rispetto all'originale? 
L'impianto originale della mostra sarà rispettato, ma anche noi stiamo attivando la nostra creatività...



Sono previste attività collegate alla mostra? 
È appunto uno degli ambiti in cui vorremmo manifestare la nostra creatività, ma al momento siamo ancora alla fase iniziale.



Quali paesi ha già toccato e quando verrà inaugurata in Italia? 
La mostra è stata inaugurata l'8 settembre 2007 a New York ed è stata allestita in altre città degli Stati Uniti, in Canada, in Nuova Zelanda, in Malesia, a Singapore, a Taiwan, in Nepal, nella Repubblica Dominicana, in Argentina, in Costa Rica, in Nepal, in Serbia, in Macedonia, nonché a Ginevra e a Oslo. Sarebbe bello poterla inaugurare in Italia nell'autunno del 2010, magari il 18 novembre, in occasione dell'ottantesimo anniversario della fondazione della Soka Gakkai.



Come possiamo contribuire e prepararci a questa attività? 
Studiando con attenzione la proposta di pace 2007 e la Proposta sul disarmo nucleare: uno studio mirato, per essere preparati e protagonisti in prima persona della campagna People's Decade of Action for Nuclear Abolition, tenendo ben presente che succede sempre qualcosa di straordinario quando le persone comuni si svegliano dal torpore e dall'indifferenza e diventano protagoniste del cambiamento.



Cosa ti ha ispirato la lettura della Proposta del presidente Ikeda sul disarmo? 
Mi ha aiutato a mettere a fuoco tante cose che già sapevo ma che non andavano al di là di una generica avversione rispetto alle armi nucleari. Considerare le armi nucleari come la manifestazione estrema di un tipo di ragionamento per la soluzione dei conflitti - cioè l'opzione "annientamento totale dell'altro" - e concentrare gli sforzi per sradicare prima di tutto quel tipo di mentalità, fa sentire la questione molto meno astratta e molto più vicina. Personalmente, sento che condividere in senso profondo gli obiettivi e la strategia della proposta sul disarmo mi darà più slancio e più forza, perché so che "l'onda" di cui sarò parte avrà un impatto che sarà molto maggiore della somma aritmetica dei singoli sforzi individuali.



ATTIVITÀ DELLA SGI PER L'ABOLIZIONE DEL NUCLEARE 
(a cura della redazione)



L'8 settembre 1957 Josei Toda, secondo presidente della Soka Gakkai, lancia un appello per la completa abolizione delle armi nucleari, affidando ai giovani la realizzazione di un mondo libero dalla minaccia atomica. Questa dichiarazione è divenuta la base di tutte le attività per la pace della SGI (cfr. La rivoluzione umana, Esperia, vol. 12, p. 95).



Raccolta di firme e campagne



Nel 1975 i giovani della Soka Gakkai giapponese presentano al Segretario Generale delle Nazioni Unite dieci milioni di firme per chiedere l'abolizione delle armi nucleari e l'eliminazione della guerra.



Nel 1997 i membri della SGI raccolgono più di tredici milioni di firme per la petizione Abolition 2000, presentate nel 1998 al Comitato preparatorio del Trattato per la non proliferazione delle armi nucleari (NPT PrepCom) e alle Nazioni Unite.



Nel 2006 l'SGI lancia l'iniziativa People's decade of Action for Nuclear Abolition (Decennio dedicato al sostegno di azioni per l'abolizione del nucleare), per sensibilizzare l'opinione pubblica sulle questioni riguardanti le armi nucleari. Il sito www.peoplesdecade.org mette a disposizione informazioni e strumenti educativi con lo scopo di costruire una rete mondiale di persone impegnate per la costruzione di una cultura di pace.



Pubblicazioni



Tra il 1974 e il 1985 i giovani della Soka Gakkai giapponese raccolgono e pubblicano più di tremila esperienze di vittime della bomba atomica.



Le donne del Comitato per la pace della SGI giapponese realizzano e pubblicano un lavoro in venti volumi di esperienze di donne durante la guerra. Nel 2005 il Comitato produce anche un DVD didattico contenente i resoconti di trentuno donne sopravvissute alla bomba atomica.



Mostre



1982: Armi nucleari: minaccia al nostro mondo, organizzata dalla SGI insieme al dipartimento di informazione pubblica delle nazioni Unite e le città di Hiroshima e Nagasaki. Inaugurata presso la sede delle Nazioni Unite ed è stata visitata da un milione e duecentomila persone in venticinque città e sedici paesi.



1996: Armi nucleari: minaccia all'umanità - una versione aggiornata della precedente - visitata da mezzo milione di persone in otto paesi dell'America latina.



1998: Linus Pauling e il ventesimo secolo, la storia di un instancabile attivista per la pace e l'abolizione del nucleare. Presentata in sette città degli Stati Uniti e in cinque città giapponesi, nel 2003 è stata allestita nella sede dell'UNESCO a Parigi e visitata da più di un milione di persone. Nel giugno dello stesso anno è stata allestita a Torino nell'ambito del XXI Congresso nazionale della Società chimica italiana.



2007: Da una cultura di violenza a una cultura di pace: trasformare lo spirito umano, l'8 settembre a New York in occasione del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione di Josei Toda per l'abolizione delle armi nucleari.



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Una mostra per cambiare

Incontro con Riccardo Antonini

Incontro con Riccardo Antonini

a cura di Alessandra Spila e Marina Marrazzi

Una grande passione per la scienza fin da bambino, le letture di Bertrand Russell da ragazzo, l'incontro con il Buddismo da grande. Riccardo Antonini, scienziato da anni impegnato per la pace e per il disarmo nucleare totale, è stato professore di Intelligenza Artificiale, ha diretto progetti per "una tecnologia più orientata alle reali esigenze delle persone" e per dieci anni una scuola internazionale di design partecipativo. Fa parte di Archivio Disarmo e del Movimento Pugwash. Ha incontrato e collaborato con intellettuali del calibro di Joseph Rotblat, il fisico Premio Nobel per la pace per la sua attività nella promozione del disarmo e della soluzione pacifica di ogni controversia internazionale. In questa intervista ci parla di sé, del suo essere uno scienziato che legge la vita e la scienza attraverso un'ottica particolare, quella buddista. Di quanto sia fondamentale l'educazione per la pace, di come ognuno di noi possa esercitare un'influenza positiva sull'ambiente oltre le proprie aspettative. E del valore dell'impegno del presidente Ikeda per un mondo totalmente libero da armi nucleari

Riccardo, come ti sei appassionato alla scienza?
Potrei riassumerla semplicemente così: da bambino amavo giocare con i fili elettrici e le provette e non ho più smesso. Molto presto ho avuto la fortuna di leggere Bertrand Russell, che mi ha aperto le porte della cultura e allo stesso tempo dell'impegno sociale. Grazie a questo esempio ho deciso di usare la conoscenza per contribuire a creare un mondo migliore, così come hanno fatto molti altri. In effetti, come sosteneva Joseph Rotblat, «la conoscenza è uno degli scopi della scienza. Ma non è l'unico». Purtroppo non è facile crederci, visto che l'oscurità fondamentale non ci consente di riconoscere la sacralità della vita e porla al di sopra di ogni altro interesse.

Quindi per te il mestiere di scienziato significa essere al servizio delle persone comuni?
Sì, ne sono assolutamente convinto. Il presidente Ikeda ci insegna che «coloro che hanno ricevuto un'istruzione superiore dovrebbero dedicarsi con tutto il cuore a utilizzare le proprie conoscenze per il bene e la prosperità degli altri» e che «non dovrebbero mai far pesare la loro cultura» (Il Nuovo Rinascimento n. 429, p. 8).
Dovremmo sempre ricordare che, come sostiene Ikeda, «le università esistono per essere al servizio di coloro che non hanno avuto l'opportunità di frequentarle» e che quelli che hanno goduto della possibilità di accedervi dovrebbero diventare «persone che proteggono altre persone» (Ibidem).

Come hai conosciuto Joseph Rotblat?
Ho incontrato Rotblat in occasione di un'intervista che ebbi modo di fargli per la rivista di ricerche per la pace Giano (http://giano.problemiglobali.it/) in occasione della mia traduzione, sempre per lo stesso giornale, del suo storico articolo Un mondo senza armi nucleari è fattibile? È auspicabile? che costituisce a tutt'oggi la base teorica e pratica del disarmo nucleare totale - ribadisco, totale. L'occasione fu un incontro mondiale di scienziati impegnati nel disarmo nucleare al quale accettarono di partecipare anche alcuni fra i più importanti strateghi, civili e militari, di ambedue le parti in cui allora si divideva il mondo. Questo genere di attività appartiene a quella che oggi si definisce "diplomazia parallela", che riguarda l'opera di scienziati ma anche "semplicemente" quella di persone di buona volontà. Non quindi solo l'attività di scrivere e parlare della necessità della pace, ma anche il fare azioni concrete, che spesso sono volutamente "invisibili". Il presidente Ikeda incarna perfettamente questo spirito: ha sempre avuto come obiettivo non un ritorno di immagine personale, ma la creazione di ponti al di là di qualsiasi barriera. Un dialogo da vita a vita.

Nel Buddismo si dice che le persone che vivono nel mondo di Studio e Illuminazione parziale sono quelle che hanno più difficoltà ad accedere alla Buddità. Tu come ti sei avvicinato al Buddismo?
In effetti, come parecchie persone della mia formazione, ero molto scettico circa la possibilità, da parte di una religione, qualunque essa fosse, di mostrarmi "il vero aspetto di tutti i fenomeni" che è poi, in definitiva, quello che tutti gli scienziati onesti cercano, più o meno consapevolmente. Le ragioni che mi allontanavano dalla fede erano analoghe a quelle spiegate da Russell nel libro Perché non sono cristiano. Ero poi convinto della possibilità di un'etica anche in ambito totalmente laico, idea molto popolare ancor oggi, soprattutto tra gli intellettuali del mondo anglosassone. Ecco perché, pur avendo incontrato il Buddismo nell''86, ho cominciato a praticare solo dodici anni dopo, in un momento in cui mi sentivo sopraffatto da una grande sofferenza personale. A quel punto le mie resistenze hanno ceduto, non ero altro che una persona che cercava nella religione una soluzione al proprio dolore.

Da scienziato e da buddista che cosa pensi del documento del presidente Ikeda sul disarmo nucleare?
Ritengo che sia molto attuale e preciso, inoltre fa parte di una tradizione storica della Soka Gakkai coerente e di lunga data. A questo proposito diceva proprio Betrand Russell che la ragione (intesa come ragionevolezza, un concetto molto vicino a quello buddista di kokorozashi, cuore-mente che crede) è una cosiddetta "forza debole" dell'universo, nel senso che nel breve periodo è molto difficile percepirne gli effetti, ma spinge sempre dalla stessa parte. Anche per questo Ikeda ci invita a non indietreggiare mai. Se oggi siamo ancora vivi, se è stato scongiurato finora il rischio dell'uso effettivo di armi termo-nucleari, lo dobbiamo all'impegno di chi non ha mai indietreggiato, neanche di un passo, nel costruire la pace, pur imbattendosi in difficoltà enormi, perché aveva fede in questa forza (apparentemente) debole ma che non indietreggia mai.
Non si deve sottovalutare il fatto che, anche se la comunità internazionale ne è stata tenuta all'oscuro, più volte vi sono stati eventi che avevano attivato le prime fasi dell'effettivo lancio di armi termo-nucleari, procedure poi fortunatamente interrotte letteralmente all'ultimo minuto.1 Ma il rischio protratto diventa certezza. Inoltre oggi si corre un altro rischio: quello legato al fatto che molti degli ordigni esistenti, per lo più costruiti negli anni '70, sono obsoleti e alcuni addirittura fatiscenti. Pensiamo a come era un computer negli anni '70... È roba vecchia e rischia di essere ingovernabile. D'altronde il loro "ammodernamento" sottrarrebbe ingenti risorse che potrebbero trovare migliore impiego, e non è certo auspicabile. Il fatto positivo è che il loro mancato ammodernamento depone a favore di una volontà politica di disarmo totale, anche se vi sono ovviamente fortissime pressioni in senso contrario da parte dei gruppi d'interesse legati alla costruzione e al mantenimento di questi sistemi d'arma.
In ogni caso perfino personaggi della realpolitik come Henry Kissinger e militari come Colin Powell o Robert McNamara hanno fatto un appello all'attuale classe politica per smantellare totalmente le armi nucleari. Anche Michail Gorbaciov la pensa così: «Ogni anno che passa (con le armi nucleari), il mondo è un luogo meno sicuro».2

Chi si oppone al disarmo nucleare usa però la motivazione della deterrenza...
La deterrenza non è più una motivazione valida, come bene spiega Ikeda in questa Proposta. Aggiungerei che non va trascurato il fatto che i governi potrebbero incontrare resistenze nei confronti del disarmo nucleare totale da parte di quei settori molto importanti dell'economia legati al nucleare. Essi infatti, nel disarmo nucleare totale, vedono minacciato uno status quo molto remunerativo.

Pensi che oggi i tempi siano maturi per un dialogo? Ci sono delle figure politiche che possono realizzare il disarmo?
Penso che oggi esista una volontà politica, frutto di quanto è stato seminato nei decenni. Ma se non c'è un cambiamento interiore, un altro modo di pensare degli scienziati, ogni tentativo rimane solo una serie di belle parole. Il Progetto Manhattan, con il quale gli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale costruirono le prime tre bombe atomiche (una fu usata per un test) e posero le basi per una loro produzione su larga scala, è molto significativo in questo senso. Costò due miliardi di dollari dell'epoca, circa 22.5 miliardi di dollari di oggi, e soprattutto fu necessaria e fondamentale l'adesione di quasi tutte le menti migliori del tempo. Uno sforzo intellettuale colossale. Eppure poté essere realizzato perché moltissimi scienziati vi presero parte attivamente - in totale furono coinvolte centoventicinquemila persone. Se invece quasi nessuno, scienziato o no, si fosse prestato, oggi la bomba atomica non ci sarebbe. Dunque è il cambiamento del modo di pensare di ogni individuo la vera sfida da intraprendere.

E come potrebbe realizzarsi tale processo?
Anni fa lanciai una provocazione con un mio progetto educativo in onore di Joseph Rotblat dal titolo Potrebbe Faust dis-inventare la bomba atomica?. In effetti, la soluzione sarebbe proprio "dis-inventare" le armi nucleari, come abbiamo fatto, involontariamente, con tante altre cose. Per esempio, non sappiamo più produrre la "malta" degli antichi romani (una specie del nostro calcestruzzo ma che resiste dopo duemila anni mentre il nostro si sgretola dopo pochi decenni) o le famose ceramiche medievali arabe e moltissime altre tecnologie del passato. Coloro che sapevano "come fare" sono morti senza addestrare dei successori e senza mantenere in vita l'organizzazione (logistica, produttiva ecc.). Si badi che anche se avessimo l'elenco completo dei componenti e la procedura da seguire, non saremmo comunque in grado di riprodurre l'oggetto. Come per la ricetta della nonna, senza la nonna non è la stessa cosa. Vi è molta conoscenza "implicita" nelle abilità e competenze delle persone, molta di più di quanto si creda comunemente. Per cui se nel mondo non vi fossero più persone con le necessarie competenze, non basterebbero tutti i libri e i disegni tecnici del mondo. La situazione non è, come alcuni vorrebbero farci credere, quella di un "vaso di Pandora" che una volta aperto non si può più richiudere. È invece più simile a una produzione agricola che, se non la si coltiva attivamente, muore e non ricresce più.
Ecco perché se i politici decidessero che è venuto il momento di dis-inventare davvero la bomba atomica si potrebbe raggiungere il disarmo totale, con l'assoluta certezza che nessuno "nel garage di casa" ne possa fabbricare una per colpirci o anche solo per minacciarci.

Nel corso della tua esperienza non ti sei mai sentito impotente rispetto all'impegno che hai intrapreso?
Credo che dipenda sempre dal punto di vista con cui guardiamo alle cose. E io mi sono reso conto che il mondo è fatto in modo tale per cui quello che sembra impossibile fino a ieri può diventare possibile oggi. Per esempio, Margareth Tatcher affermò che «non ci sarebbe mai stata una Germania unita nel futuro prevedibile». E pronunciò queste parole proprio nell'anno della caduta del muro di Berlino! Questo è un esempio del fatto che i fenomeni della storia avvengono in un modo non sempre così prevedibile. La cosa meravigliosa è che le persone, di fronte a una speranza "generale", ravvivano anche la propria speranza "personale". Il Buddismo ci insegna che, se si fanno certe azioni e le si fanno in modo coerente, senza arrendersi mai, il risultato è assicurato. Lo spirito di Ikeda, come emerge in questo documento, ci porta ad affermare che "pensare contro il nucleare" non rappresenta altro che credere di poter cambiare il karma. È l'oscurità fondamentale che ci fa dire che non si può. Ma non dobbiamo perdere la speranza: proprio nell'articolo di Kissinger e di altri importanti strateghi civili e militari viene citato l'esempio del raggiungimento della cima di una montagna molto alta. «L'obiettivo di un mondo libero dalle armi nucleari è come la cima di una montagna altissima. Dal punto di vista del nostro attuale mondo turbolento non riusciamo neppure a vederla, e viene spontaneo pensare che non la raggiungeremo mai. Ma se non ci fermiamo e continuiamo ad andare avanti, alla fine riusciremo a vederla e saremo più invogliati a procedere».3 La stragrande maggioranza delle persone, purtroppo, oggi questa cima non la vede, e la ritiene quindi irraggiungibile. Noi buddisti però la vediamo. Dobbiamo essere grati a chi l'ha vista prima di noi e ci ha permesso di avere speranza. Come Ikeda, Russell, Rotblat. Come nella parabola della città fantasma del Sutra del Loto.
Chi l'avrebbe detto negli anni '50, quando Toda e Russell, che invece ci credevano, formularono e resero pubbliche le loro determinazioni, che sarebbero state avanzate proposte concrete in questo senso anche da politici come Kissinger?

Secondo te cosa possono fare le persone della società civile?
Sicuramente possono mantenere alta la pressione sulla classe politica per far capire che l'opinione pubblica sta da una certa parte. E poi un ruolo centrale spetta all'educazione. La possibilità di un'educazione che insegni concretamente strumenti per la risoluzione nonviolenta delle controversie per le generazioni future rappresenta un patrimonio inestimabile. Questi strumenti esistono già, e ovviamente possiamo lavorare per migliorarli. Bisogna uscire dalla logica del falso razionalismo per il quale l'unica via d'uscita da un grande male è un male "minore". La bomba atomica fu costruita con l'inganno del male minore, le migliori menti dell'epoca hanno creduto di costruirla per combattere Hitler, che si pensava disponesse a sua volta di armi nucleari.
Inoltre dovremmo abituarci a stigmatizzare chi trae profitto dalla costruzione di armi nucleari e di qualsiasi tipo. Dovremmo essere capaci di far sì che gli uomini, a partire dagli scienziati, che fanno carriera o addirittura si arricchiscono con la guerra, siano messi ai margini della società. Troppo spesso invece crediamo che chi guadagna molto possa farsi perdonare di essere causa della sofferenza altrui o addirittura che contribuisca alla "sicurezza".

Esiste una mancata percezione del problema del disarmo nucleare?
No, direi proprio di no. A questo proposito potrebbe tornare utile un'intervista che facemmo a persone comuni su cosa ricordassero di Hiroshima. Una signora anziana mi rispose senza incertezze: «Ma si può ammazzare tutta quella gente solo (sic!) per vincere una guerra?». Ne sono rimasto davvero colpito. Piuttosto, manca una conoscenza su come si possa realizzare questo Stranissimo sogno (il titolo di un recente documentario della televisione canadese sulla vita di Rotblat).
Spesso il nostro senso di impotenza viene indotto dai mass media. La gente non si sente realmente impotente, ma ha bisogno che le venga ricordato il potere che ha, perché non si può mai misurare davvero il proprio potenziale. E poi non dobbiamo dimenticare che "il minimo battito d'ali di una farfalla in Brasile è in grado di provocare un uragano dall'altra parte del mondo".4 Tutto è collegato. È l'oscurità fondamentale che non ci fa vedere questo collegamento.

Note

1) Vedi per esempio il sito: http://www.thebulletin.org/content/doomsday-clock/timeline.
2) Henry Kissinger e altri, "Toward a Nuclear-Free World" (Verso un mondo libero dal nucleare), The Wall Street Journal, 15 gennaio 2008.
3) Ibidem.
4) Concetto secondo il quale piccole variazioni nelle condizioni iniziali producono grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema. Venne elaborato da Edward Norton Lorenz all'inizio degli anni '70 all'interno della cosiddetta "teoria del caos" per applicazioni non solo alla meteorologia ma a molte discipline scientifiche: matematica, fisica, biologia, dinamica di popolazione, informatica, ingegneria, economia, finanza, filosofia, politica, psicologia e robotica.

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Un nuovo mondo per il disarmo

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