«Quando parliamo di "creazione" ci riferiamo a quel processo che, "frugando" tra gli elementi già esistenti in natura,
consente di portare alla luce tutto ciò che ha una relazione con la vita umana, e di valutare e potenziare le relazioni così individuate tramite l'intervento umano.
La creazione, quindi, rielabora l'ordine già esistente in natura per produrne un altro particolarmente vantaggioso per l'umanità.»
(Tsunesaburo Makiguchi)

Creatività è sinonimo di libertà. Una libertà esigente e coraggiosa. È creativo chi non si ferma, chi non si arresta alla prigione di un arrivo. E va avanti, cerca, collega, osa, prova, impara.
Essere creativi significa tener fede alla propria umanità, anzi ne è la prerogativa. Perché creatività, scrive Daisaku Ikeda, è forzare la pesante porta d'ingresso della vita stessa per far fluire il nuovo dall'interno.
Creare etimologicamente significa "fare". Concretizzare il proprio pensiero, la propria visione, il proprio sogno. In un quadro, in un brano musicale, in una poesia, in un'invenzione. Ma anche nelle azioni apparentemente più semplici della vita quotidiana: trasformare un conflitto, risparmiare dei soldi, trovare la cura giusta, incoraggiare una persona, rendere l'esistenza più bella e felice.
Il potere dell'arte esemplifica questa ambizione umana, e solo umana, di perfezionare il mondo per dare alla realtà un contributo nuovo, migliore, esprimendo ciò che è ancora inespresso.
Una vita creativa, scrive Daisaku Ikeda, è sempre volta a trascendere il sé individuale e a superare i limiti di spazio e di tempo nel perseguimento del sé universale. E l'opera d'arte, espressione irrefrenabile di questa spinta creativa, con il suo potere integrante agisce sugli esseri umani perché trasporta l'esperienza personale in una forma dal significato universale che parla al cuore di tutti.
Per questo l'arte fa bene alla vita.

Nelle pagine seguenti riportiamo alcuni estratti da discorsi, saggi e dialoghi di Daisaku Ikeda sul rapporto tra l'essere umano, la creatività e l'arte.
Ikeda si rivolge a studenti e studentesse dell'università Soka, ai membri dell'Accademia francese, a esponenti del mondo della cultura, per raccontare il suo amore per l'arte nelle sue molteplici forme, avvicinarci a questa mirabile espressione dello spirito umano e stimolarci a ricercare dentro di noia artisti e non, la stessa ispirazione.

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Quel ponte fra l'io e l'universo

Nei due brani che seguono, estratti dai discorsi di apertura dell'anno accademico dell'Università Soka, il fondatore Daisaku Ikeda esorta studenti e studentesse a realizzare il compito più arduo che riserva l'esistenza: sprigionare la propria potenza creativa.
Perché aprire le porte di se stessi è più difficile che aprire le porte di tutti i misteri dell'universo, ma è ciò che rende degni del dono stesso della vita.

APRITE LA PORTA DELLA VOSTRA VITA

18 aprile 1974
Ognuno e ognuna di voi è destinato a realizzare grandi cose nel mondo del ventunesimo secolo e qui vorrei parlarvi per pochi minuti, semplicemente, come un amico.
Lo scorso anno, quando mi sono rivolto ai membri in entrata nelle nuove classi, ho chiesto loro di lottare per diventare persone creative. Ricollegandomi a quel passaggio, oggi vorrei discutere con voi di cosa intendo per "esistenza creativa", ovvero l'impulso creativo e le capacità inerenti alla vita.
Non ho intenzione di intraprendere alcuna discussione o disquisizione filosofica, o provare a offrire definizioni applicabili universalmente. Piuttosto, molto semplicemente, vorrei trasmettervi l'urgenza, mentre percorrete la lunga e preziosa strada della vita, di non diventare mai viaggiatori abbattuti, oscurati da un senso di sconfitta o fallimento. A questo proposito, e nella speranza che il vostro futuro sia pieno di onore e gloria, vorrei condividere con voi qualcosa della mia esperienza.
Le volte in cui ho sperimentato e sentito più intensamente l'intima realtà della creazione sono state quelle in cui mi sono gettato con tutto il cuore in un'impresa e ho portato fino in fondo quell'impegno. In tali circostanze ho sperimentato un senso del sé potentemente espanso. Posso ancora udire il gioioso grido di vittoria sgorgare dalle profondità del mio essere.
Il senso di soddisfazione e gioia che si prova è la cristallizzazione di tutti gli sforzi, di ogni goccia di sudore e di ogni lacrima versata per conquistare quel momento. La creatività inerente alla vita e la sua vitalità dinamica sono portate alla superficie solo attraverso l'esercizio strenuo di un'esistenza fatta di azioni coerenti.
Un simile modo di vivere incontrerà tempeste e temporali, momenti di sconfitte apparenti, ma l'essenza creativa della vita non è mai distrutta o vanificata da eventi di questo tipo. È sostenuta dalla consapevolezza che alla fine un brillante arcobaleno estenderà il suo arco luminoso nella più vasta profondità del vostro essere.
L'autoindulgenza e l'indolenza non producono nulla di creativo. Lamentele e fughe riflettono solo uno spirito codardo; corrompono e indeboliscono la naturale spinta creativa della vita. Quando la vita è priva della volontà di combattere creativamente, annega in uno stato di distruttività infernale, diretta contro tutto ciò che vive.
Non dimenticate mai, nemmeno per un momento, lo sforzo di rinnovare la vostra vita, di ricostruirvi in modo nuovo. Creatività significa spingere con forza la pesante porta d'ingresso della vita, fino ad aprirla del tutto. Questo non è un compito facile, è forse il compito più severamente impegnativo che possa esistere. Poiché aprire la porta della vostra vita è in definitiva più difficile che aprire le porte di tutti i misteri dell'universo.
Ma fare questo è rivendicare la nostra stessa esistenza di esseri umani. Non solo: è l'unico modo di vivere autenticamente sintonizzato sulle verità più intime della vita stessa; ci rende degni del dono stesso della vita.
Non esiste esistenza più povera e miserabile di quella che ignora la gioia fondamentale che sgorga dal generare e rigenerare continuamente la propria vita dall'interno. Essere umani significa molto di più del semplice fatto biologico di avere la posizione eretta ed esercitare ragione e intelligenza. Il significato pieno e autentico della vostra umanità si trova proprio nello stimolare le fonti creative della vita stessa.
Questa battaglia per creare nuova vita dall'interno è qualcosa di realmente meraviglioso. Qui si trova la brillante saggezza che dirige e guida gli sforzi della ragione; la luce interiore che compenetra i regni più lontani dell'universo; l'intrepida volontà di vedere la giustizia realizzata, che affronta e sfida ogni attacco del male; lo spirito della cura illimitata verso coloro che soffrono. Quando tutto ciò si fonde con la più profonda fonte dell'energia cosmica, un ritmo estatico sorge a far risplendere la vita di ciascuno.
Affrontando varie prove e difficoltà, lucidando in questo modo le diverse facce del gioiello che è la vita, imparerete a percorrere il supremo sentiero dell'umanità. Di questo sono certo, così come sono certo che coloro che abbracciano la naturale creatività della vita stanno ora avanzando nell'avanguardia della storia, e continueranno a farlo occupando un posto di estrema rilevanza.
Far sgorgare la creatività dentro la vita, fino alla sua piena fioritura, è il lavoro della rivoluzione umana. Portare avanti questo tipo di rivoluzione umana è la vostra missione adesso, come lo sarà per tutta la vostra esistenza.

<a href="https://www.daisakuikeda.org/main/educator/essays-on-education/ed-life-force.html" target="_blank" rel="noopener noreferrer">(https://www.daisakuikeda.org/main/educator/essays-on-education/ed-life-force.html)</a>

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CON UNA PROFONDA LIBERTÀ SPIRITUALE

9 aprile 1973

Desidero formulare la seguente richiesta: che voi combattiate costantemente per diventare individui creativi.
Il nome di questa istituzione - Università Soka - significa "università per la creazione di valore". Ciò a sua volta sta a significare che lo scopo fondamentale della nostra università è creare il tipo di valore di cui la società ha bisogno per diventare un luogo più salutare e integro. Questo è il tipo di valore che deve essere offerto, e restituito, alla società. Di conseguenza tutti gli studenti qui dovrebbero coltivare le loro abilità creative, nel tentativo di produrre una ricca visione del futuro e contribuire significativamente alla società.
La creatività, per prosperare, deve radicarsi nel suolo di una ricca spiritualità. Questo al dunque indica quanto sia importante mantenere una libertà spirituale. Il pensiero indipendente e il lavoro creativo sono impossibili quando lo spirito umano è soggetto a pressioni distorte o restrittive. Le fonti inesauribili del pensiero creativo possono zampillare solo dove lo spirito e la mente incontrano l'agio di librarsi liberamente, esplorando tutte le varie prospettive e possibilità.
Ma libertà spirituale non equivale a licenza spirituale. Non significa pensare e agire in maniera arbitraria e ostinata. Il vero sviluppo può prendere corpo solo alla presenza di una libertà espansiva, insieme a un alto grado di autodisciplina. Dal mio punto di vista questo dà la possibilità di crescere condividendo idee attraverso il dialogo, stimolandoci e incentivandoci gli uni con gli altri nella direzione di un campo di visione più ampio e, in ultima analisi, di uno sguardo profondo e inclusivo sulla natura essenziale delle cose.
Sia nell'Accademia platonica sia nell'antica università buddista di Nalanda (in India) si respirava aria di libertà; ma vi trovava luogo anche un confronto severo con la verità. Perciò poté nascervi all'interno un pensiero originale, creativo. E fu precisamente per questa ragione che l'Accademia e Nalanda poterono tramandare eredità così ricche spiritualmente alle loro rispettive sfere di civiltà.
Qual è la fonte dell'energia che mette in grado gli individui di ampliare l'ambito della loro libertà spirituale e la dimensione del proprio essere? Per rispondere a questa domanda dobbiamo ritornare inevitabilmente all'istanza più fondamentale circa la natura dell'essere umano. Dobbiamo impegnarci nella ricerca del tipo di filosofia capace di far venire alla luce, sviluppare e accrescere talenti umani latenti e risolvere le molteplici contraddizioni della condizione umana elevandole verso una sintesi più alta e più creativa.
Il libero sviluppo dell'apprendimento e una ricca fioritura culturale sono sempre sorti dal serio sforzo di approfondire la natura della vita e dell'umanità e di liberare il potenziale inerente alle persone. Qui, ne sono persuaso, si trova la chiave della creatività.
Spero che l'Università Soka cerchi sempre di dirigere lo studio e la comprensione dell'umanità verso la completezza e la perfezione. Basandosi su ciò, mi auguro che produca un'autentica fioritura di risultati accademici.
Desidero che tutti voi avanziate nei vostri studi e alla ricerca della verità, radicati sempre nello sforzo costante di costruire e sviluppare la vostra umanità, così che possiate diventare la forza trainante per la trasformazione della società. Vi esorto a essere individui creativi, degni del nome dell'Università Soka: per favore prendetelo come vostro motto, il vostro segno distintivo, la vostra personalità. Se queste disposizioni del cuore e della mente riusciranno a stabilirsi fermamente come nobile tradizione della nostra università, sono convinto che essa potrà svolgere un ruolo importante di rinvigorimento nel mondo delle università giapponesi che cerca ora, disperatamente, un senso e una direzione.
<a href="https://www.daisakuikeda.org/main/educator/essays-on-education/ed-creat-indiv.html" target="_blank" rel="noopener noreferrer">(https://www.daisakuikeda.org/main/educator/essays-on-education/ed-creat-indiv.html)</a>

(Traduzioni di Roberta Calandra e Leonardo Panetta)

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Il fiorire di una forza vitale creativa

«La creatività potrebbe essere chiamata il tratto distintivo, o la riprova, del fatto che siamo esseri umani. Gli esseri umani sono le uniche creature capaci di sforzarsi positivamente e dinamicamente, giorno dopo giorno, per creare valori nuovi e più elevati. La creatività è il grembo da cui fiorisce l'individualità» (Daisaku Ikeda, L'educazione Soka, Esperia, p. 102).
Ma come funziona il processo della creatività e cosa succede al nostro cervello quando esercitiamo questa funzione? Estanislao Bachrach, studioso di neuroscienze, nel suo libro Il cervello geniale scrive che la creatività è la capacità di connettere idee e concetti lontani tra loro e creare combinazioni inedite di elementi già noti e immagazzinati nella nostra memoria. Quando tali combinazioni emergono a livello cosciente percepiamo di aver avuto un'idea originale. Quanto più ci sforziamo di scartare le idee ovvie, che appaiono per prime alla nostra coscienza, e abbiamo il coraggio di spingerci oltre quel vuoto che a un certo punto si manifesta, quel momento in cui ci sembra che tutte le possibilità siano finite, tanto più apriamo la strada alla nostra creatività. Ed è proprio a questo punto che le connessioni tra le nostre sinapsi si modificano, che i nostri neuroni[ref]I neuroni sono le cellule del cervello, le sinapsi i collegamenti tra loro.[/ref] cambiano strada e sperimentano percorsi nuovi. Il punto è vedere la creatività come un modo particolare di utilizzare il pensiero, un modo che rompe con i modelli esistenti introducendo qualcosa di inedito.
J. P. Guilford, psicologo e iniziatore degli studi sull'intelligenza creativa, a questo proposito parla di pensiero divergente per definire la capacità di escogitare un insieme di possibili soluzioni a un dato problema noto: tanto più numerose saranno queste soluzioni, tanto più tra esse ne troveremo di originali. L'elemento essenziale nel pensiero divergente è la sospensione del giudizio della mente razionale, o pensiero convergente. Spiega ancora che, nel pensiero convergente, la mente converge, appunto, verso l'unica soluzione che ritiene accettabile, il che implica un giudizio, una valutazione, ma basata su cosa? Sull'esperienza acquisita, sui modelli comportamentali, sul sistema di valori interiorizzato che definisce i percorsi delle nostre sinapsi e li ripete sempre uguali a se stessi, portandoci sempre alle stesse soluzioni e quindi agli stessi risultati. E la vita non cambia. Pensare in modo divergente, lanciarsi nel vuoto creativo, affidarsi all'ignoto, all'inusuale, dà invece inizio all'atto creativo e sancisce il principio della trasformazione di noi stessi e della nostra realtà.
«Ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo, o facciamo una nuova esperienza, il cervello crea nuove connessioni sinaptiche per formare nuovi schemi o reti neuronali - scrive Joe Dispenza nel libro Evolvi il tuo cervello - e questo avviene a qualsiasi età. Quando utilizziamo nuovi circuiti in nuove forme modifichiamo la rete neuronale del cervello perché si attivi secondo nuove sequenze. A livello neurologico, quindi, noi veniamo cambiati un istante dopo l'altro dai pensieri che abbiamo, dalle informazioni che apprendiamo, dagli eventi che sperimentiamo, dalle reazioni che abbiamo, dalle sensazioni e dai sentimenti che creiamo, dai ricordi che elaboriamo, e persino dai sogni che abbracciamo». E la vita cambia.
Allora mi viene da pensare che la creatività nasca da un atto di fede, un atto deciso di profonda fede, diretto a quello che non so, a quello che non vedo, ma con la certezza di poterlo trovare dentro di me. Perché tuffandomi dentro me, mi tuffo nell'intero universo.
(Francesca Diodati)

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Quando i neuroni cambiano strada

Qual è la qualità intrinseca dell'arte che ne ha decretato il ruolo fondamentale nella storia dell'umanità? Nella pagina seguente Daisaku Ikeda afferma che è il suo potere di integrare, di rivelare l'intimo legame tra le cose.
Che si tratti di pittura, poesia o musica, l'arte è la modalità fondamentale attraverso la quale gli esseri umani scoprono i legami con i propri simili, con la natura e con l'universo

Parigi, 14 giugno 1989

Se penso a tutti coloro che si sono avvicendati in questa stessa sala in cui ci troviamo oggi, e che qui hanno parlato, provo trepidazione e rispetto, consapevole di cosa significhi vivere in modo creativo. [...]
L'arte è un'espressione irrefrenabile dello spirito umano.
In ognuna delle sue molteplici forme è impresso il simbolo della realtà ultima. Un'autentica opera d'arte è in sé "vita", nata dalla fusione dinamica tra il sé e l'universo.
L'arte è per lo spirito ciò che è il nutrimento per il corpo; attraverso l'arte ci uniamo a un'entità trascendente, respiriamo al suo ritmo e assimiliamo l'energia necessaria per il nostro rinnovamento spirituale. Essa assolve anche alla funzione di purificazione della nostra interiorità al fine di elevarci spiritualmente, ciò che Aristotele definì "catarsi".
Qual è questa qualità, a essa intrinseca, che ne ha decretato il ruolo fondamentale nella vita umana? Credo sia il suo potere di integrare, di rivelare l'intimo legame tra le cose. In una delle prime scene del Faust di Goethe, il protagonista afferma estatico: «Come ogni cosa si tesse col tutto e l'una cosa vive e opera nell'altra!»[ref]J.W. Goethe, Faust e Urfaust, trad. di Giovanni V. Amoretti, vol. 1, Ed. Universale Economica Feltrinelli, p. 25.[/ref]. Se prendiamo in considerazione questa straordinaria affermazione sull'interrelazione tra tutte le cose viventi, l'arte diventa la modalità fondamentale attraverso cui gli esseri umani scoprono i legami con i propri simili, con la natura e con l'universo.
Che si tratti di poesia, pittura o musica, un gioiello di espressione artistica può suscitare in noi un'ineffabile spinta che ci innalza fino all'empireo, consentendoci di condividere questa esperienza con altri, confermando in questo modo la sua realtà. La forza integrante dell'arte agisce sugli esseri umani permettendo al finito di diventare infinito e allo specifico dell'esperienza contingente di assumere un significato universale.
L'idea di integrazione è espressa nel Buddismo con il termine kechi-en (letteralmente "formare un legame"), che indica la relazione causale tra la vita e il suo ambiente. Il concetto proviene dalla teoria dell'origine dipendente, un costrutto filosofico importante nel Buddismo fin dai tempi di Shakyamuni. Secondo questa teoria nulla può esistere nel totale isolamento, tutto è interrelato, sia nello spazio che nel tempo.
Il Buddismo fa risalire l'origine dipendente di tutti i fenomeni all'idea di ku (termine a volte tradotto come "vuoto"), che nella corrente mahayana descrive una realtà che muta a ogni istante e che si identifica con il flusso della vita stessa.
Questo dinamismo che pulsa incessantemente, descritto dal concetto di ku, lo definirei "vita creativa".
Una vita creativa è sempre volta a trascendere il sé individuale e a superare i limiti di spazio e tempo nel perseguimento del sé universale. Apre nuove strade e tende all'autorinnovamento ogni giorno, sempre, in armonia con il ritmo originale dell'universo, generando così una trasformazione totale. [...]
Desidero concludere con una mia poesia, composta in onore dell'arte:

Arte,
eterna luce,
impronta immortale della civiltà umana!
Inno alla vita,
alla gioia, alla libertà, alla creazione!
Preghiera intensa,
armonia profonda con la realtà fondamentale!
Luogo di amicizia,
dove milioni di esseri
si uniscono, si salutano e si sorridono l'un l'altro.
[...] Ed ecco l'Arte,
che invita l'anima porgendole la mano
verso un bosco quieto e sereno,
verso un giardino dove l'immaginazione
infiamma il cielo;
la invita sul palcoscenico nobile della saggezza
e la guida verso il lontano orizzonte
della civiltà universale.

(cfr. "Una vita creativa", in Un nuovo umanesimo, Esperia, 2004, pp. 2-11)

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Il potere integrante dell'arte

In questo momento storico in cui il valore di una persona sembra dipendere dalle risorse economiche di cui dispone, l'arte assume un ruolo ancora più centrale. Mentre la cultura è la voce di un popolo, l'arte incarna l'imprescindibile libertà dello spirito umano. Entrambe costituiscono una chiave per aprire la strada dell'armonia e della convivenza pacifica.
Credo che l'intento degli artisti debba essere quello di mirare al cuore delle persone, puntando non alla comunicazione bensì all'essere. Chiedersi «come posso riuscire a tradurre la sensazione che ho nel cuore in una forma?», al fine così di poter offrire alle persone la possibilità di sentirsi vive. Sollevare una persona dal suo sconforto interiore, dallo stato di prostrazione in cui sente di vivere, non è qualcosa che si ottiene trattandola come una vittima, ma facendole sentire che la sua personale singolare vita è degna di essere vissuta.
Ogni individuo coltiva dentro di sé un sogno, attraverso il quale costruisce il suo rapporto con il mondo. Questi desideri intimi sono ciò che rendono vivo l'individuo e le possibilità di realizzarli sono quanto di più vicino a un bisogno primario. Il sogno è un mezzo che permette a una persona di stare nel suo tempo e di interpretarlo in maniera esclusivamente propria. Questo avviene non per manifestare una superiorità rispetto agli altri ma proprio perché seguire le proprie aspirazioni è il modo più naturale che si ha per vivere la propria vita.
L'antidoto all'indifferenza e al pessimismo che vediamo intorno a noi è costituito dal senso di opportunità, dal senso della nostra capacità di abbracciare tante cose per costruire noi stessi.
La vita si esprime nei suoi tentativi e nei suoi sforzi. Questo è ciò che ci rende pienamente umani e ciò che l'arte riporta, mettendo in scena una forma possibile di eternità nell'attimo.
Anche se non ci facciamo caso, queste situazioni hanno luogo in innumerevoli circostanze della nostra giornata. Oltre alle manifestazioni più evidenti, come un film, una canzone o il lavoro di un artigiano, anche i dialoghi che abbiamo con le persone che incontriamo sono momenti in cui la nostra interiorità si mostra in maniera creativa, donando un'ispirazione alla persona che abbiamo di fronte, così come lei la dona a noi.
In un'intervista il critico e docente universitario Harold Bloom ha affermato: «Quello che insegno non è sbagliato, alla mia età è come acciaio temperato. Insegno dal dentro al fuori, non al contrario. Parlo da dove è la poesia, dal cuore della visione»[ref]<a href="http://www.repubblica.it/venerdi/interviste/2016/03/31/news/se_non_sei_morto_non_sei_nessuno_parola_di_harold_bloom-136608401/" target="_blank" rel="noopener noreferrer">http://www.repubblica.it/venerdi/interviste/2016/03/31/news/se_non_sei_morto_non_sei_nessuno_parola_di_harold_bloom-136608401/</a>[/ref].
In un artista questa capacità di folgorare l'attimo nasce dalla sua lotta interiore, ma ognuno di noi ha la facoltà di svilupparla. In particolare emerge quando sentiamo dentro di noi un profondo desiderio di diventare persone migliori. (Lorenzo Di Nardi)

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L'attimo in cui l'interiorità prende forma

Ho tanti di quegli impegni che mi è praticamente impossibile andare ad un concerto, così devo limitarmi ad ascoltare dischi. In questi ultimi vent'anni l'ho fatto quasi sempre e, come l'assetato che cerca disperatamente un ruscello per placare la sete, così io appena trovo un momento di calma serale metto su un disco.
È un piacere tutto mio, molto particolare, e se trovo un brano che mi entusiasma, lo sento e lo risento fino a quando il disco non si consuma. Questa abitudine risale al periodo del dopoguerra, quando vivevo in una squallida stanza in affitto che mi riempiva di tristezza e desolazione. Tutto quello che facevo di giorno, tutte le ore passate a lavorare sodo, sembravano non avere alcun senso. Non si trattava tanto di desolazione spirituale, quanto di una sensazione legata alla presenza di un qualche meccanismo che divorava il mio entusiasmo giovanile e la mia energia e faceva sembrare tutto inutile e insensato. Proprio in quelle circostanze imparai a trarre conforto dal suono di un disco. In esso trovavo molto più di una semplice melodia. Era come se il brano riportasse in vita uno strumento musicale che giaceva nel mio cuore. Nel mio intimo ne traevo una gioia immensa, forse perché così sapevo di essere ancora un essere umano.
Mi ricordo ancora di quando mettevo la Quinta Sinfonia di Beethoven, con il suono che riempiva la stanzetta; sembrava che anche gli oggetti sentissero quella musica che mi roteava intorno. All'inizio del quarto movimento riuscivo a stento a non perdere i sensi e quando la musica finiva tornavo in me provando una sensazione esaltante di coraggio che mi riempiva il cuore. Il disco della Quinta di Beethoven fu presto inutilizzabile. In quei giorni ascoltavo tantissimo anche il coro Zigeunerleben di Schumann. Finiti i festeggiamenti notturni degli zingari, le voci cominciavano a descrivere il levarsi dell'alba nella foresta e io avevo la sensazione che tutte le fatiche e le preoccupazioni venissero spazzate via. Il brano mi parlava con dolcezza e con tenerezza delle semplici gioie della vita.
Sono un amante della musica, ma non so niente di teoria musicale e non ho mai letto libri sull'argomento. So che se un disco mi piace, lo ascolto e lo riascolto. È ovvio quindi che le mie selezioni non sono imparziali e, qualunque sia il giudizio altrui, devo dire che le loro opinioni non mi scuotono affatto. Quando si parla di musica ciò che più mi preme è di essere fedele alla mia natura.
Sì, la musica parla direttamente al cuore umano. Non c'è bisogno di dottrine, teorie o altre storie del genere. Quel che conta sono solo le onde sonore. Per me non esiste nemmeno musica di prima e seconda classe. Non fa alcuna differenza se ascolto una sinfonia, un concerto, musica leggera, folkloristica, o all'ultimo grido, l'importante è che mi emozioni. Da molti anni mi piacciono le opere che Michio Miyagi ha scritto per il koto (strumento tipico orientale). [...] Spesso di sera tardi ascolto queste musiche per più di un'ora sdraiato nel mio studio, e allora mi ricordo della dolcezza dei suoni di un tipo particolare di koto conosciuto come taishogoto, che ascoltavo da bambino.
La musica è così presente nella mia vita che non dimentico mai di portare con me delle cassette quando sono in viaggio per il Giappone o all'estero. Il viaggio e le sensazioni legate a esso rendono la musica ancora più commovente e vivida, e spesso la combinazione è sorprendente. In qualsiasi circostanza, non c'è niente di più onesto della musica nel rivelare le emozioni più intime. Anche se volesse non potrebbe mentire. Non usa parole, non chiede mai all'ascoltatore di seguire una certa logica, né di "capire". Tutto ciò che possiamo fare è aprire le orecchie, e naturalmente la musica del cuore comincerà a suonare in armonia con quella fuori. Questa risposta, questa eco del cuore, va custodita come un tesoro perché è la prova che il cuore può trascendere le barriere di spazio, tempo e cultura e conversare onestamente con tutti. Forse potremmo chiamarlo il dialogo più sincero di cui gli esseri umani siano capaci. Benché ci siano etnie, lingue e costumi differenti, attraverso il potere della musica è possibile comunicare e rivelare i propri sentimenti. Se, come credo, il compito più grande dell'umanità nel passaggio dal ventesimo al ventunesimo secolo è quello di fare piazza pulita di tutte le ostilità sanguinose che deturpano la Terra oggi, allora la musica, che permette all'essere umano di comunicare i sentimenti più intimi, guadagnerà uno spazio assai maggiore. È certamente il mezzo più potente ed efficace per realizzare questo grande compito.

(Estratto da Glass Children, Kodansha International, Tokyo, 1979, già pubblicato su NR, 93, 14)

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La gioia della musica

Arte, la terza realtà

«L’arte deve essere aperta e accessibile a tutti. Il fondatore della Soka Gakkai Tsunesaburo Makiguchi sottolineava l'importanza della bellezza perché la considerava un patrimonio di tutti gli esseri umani al fine di creare felicità.
Per questo ho dato vita ai musei d'arte Fuji e all'associazione concertistica Min-On» (Daisaku Ikeda)

L'Associazione concertistica Min-On, letteralmente "musica del popolo", è nata nel 1963 con lo scopo di restituire la musica alle persone, dando loro l'opportunità di godere delle arti più raffinate a livello mondiale. Fonda le sue attività sul presupposto che la musica sia una forma artistica in grado di trascendere i confini nazionali e di sviluppare la pace. Ha portato in Giappone compagnie di musicisti e danzatori provenienti da ogni parte del mondo come l'Orchestra di Stato di Vienna, il Teatro alla Scala di Milano e il Royal Ballet. La sede di Tokyo ospita una ricca biblioteca e un'esposizione di pregiati strumenti musicali provenienti da tutto il mondo. (<a href="http://www.min-on.org" target="_blank" rel="noopener noreferrer">www.min-on.org</a>)

Il Museo d'Arte Fuji è, secondo il suo motto, «un museo per costruire ponti di amicizia nel mondo». La prima sede è stata inaugurata a Shizuoka, alle pendici del monte Fuji, nel 1973, e raccoglie dipinti giapponesi, ceramiche e oggetti in lacca. Il museo Fuji di Tokyo, fondato nel 1983, è uno dei più attivi musei giapponesi e, oltre ad avere una nutrita collezione permanente di arte giapponese e di tesori dell'arte europea, promuove scambi culturali a livello internazionale con la collaborazione di musei di tutto il mondo.
(<a href="http://www.fujibi.or.jp/en/index.html" target="_blank" rel="noopener noreferrer">www.fujibi.or.jp/en/index.html</a>)

Riportiamo alcune considerazioni di Daisaku Ikeda sulla funzione di queste due istituzioni da lui fondate, dedicate all'arte.

La musica unisce i cuori dei popoli

Classificare l'arte per i suoi contenuti religiosi o ideologici e rifiutarla su questa base significa rifiutare l'umanità stessa. Inoltre il Buddismo è una filosofia compassionevole che ci permette di portare la nostra umanità a piena fioritura. Dal momento che il movimento musicale della Soka Gakkai è basato sul Buddismo, sarebbe un madornale errore se distinguesse e rifiutasse qualunque musica che sia un'espressione della nostra umanità condivisa.
L'arte non è schiava dell'ideologia o della politica, né della religione. Ha un proprio valore intrinseco e perciò è del tutto naturale riconoscerlo e apprezzarlo. Per di più, io non ho alcuna intenzione di usare le attività dell'associazione concertistica Min-On per propagare il Buddismo del Daishonin o per convincere gli amanti della musica a entrare nella Soka Gakkai. Il mio scopo nel fondare la Min-On è restituire la musica alla gente. È creare una cultura umanistica, favorire le arti. [...] Desidero che la Min-On diventi un'associazione musicale di portata mondiale, che rivitalizzi il mondo musicale, congiunga i cuori dei popoli unendo l'intero pianeta, contribuendo così alla pace mondiale.
(La nuova rivoluzione umana, vol. 8, p. 193)

Per non arrendersi alla violenza 

Condividere attivamente la bellezza è una prova della nostra dedizione alla pace e anzi crea una cultura di pace, perché a livello profondo pace e scambio culturale sono una sola cosa. Quando conflitti e violenza si moltiplicano, la cultura declina e la storia va verso l'oscurità e la distruzione. Credo fermamente, e ho sempre agito in base a questa convinzione, che gli scambi culturali rappresentino un'"arma" spirituale con cui affrontare il muro della brutalità e della negatività.
L'umanità non deve arrendersi alla violenza, sotto nessuna forma.
Come tutti sappiamo, l'11 settembre 2001 un attacco terroristico contro gli Stati Uniti scioccò il mondo. In quel periodo al Museo Fuji di Tokyo si stavano completando i preparativi per una mostra intitolata Muse, madonne e damigelle: cinquecento anni di immagini femminili tra Oriente e Occidente, programmata per il mese successivo. Si trattava di una mostra innovativa per celebrare la nuova epoca delle donne, che comprendeva circa duecentocinquanta dipinti provenienti da cinquantaquattro musei, tra cui il Louvre e la Galleria degli Uffizi di Firenze.
Dopo l'attacco terroristico, però, molti musei espressero preoccupazione perché pensavano sarebbe stato pericoloso inviare le opere d'arte in Giappone. Tutto questo accadeva un mese prima dell'inaugurazione della mostra.
Molti nel mondo furono sopraffatti dalla disperazione e sentivano che l'arte e la cultura erano impotenti e inutili di fronte alla violenza terrorista. È stato grazie alla fede, alla passione e al coraggio di persone che amano l'arte e sono totalmente dedite alla missione di conservare, promuovere e fare tesoro della cultura che quella crisi si risolse fino a trasformarsi in una grande vittoria.
Lo staff del Museo Fuji mandò un messaggio a tutte le istituzioni che avrebbero prestato le opere: «Proprio perché in questo momento della storia il male del terrorismo cerca di dividere i popoli, è cruciale perseverare con decisione nel nostro impegno per avvicinare il cuore degli esseri umani, trascendendo i confini nazionali e le tradizioni culturali!».
Da tutto il mondo i musei risposero a questo appello sincero con sentite manifestazioni di solidarietà. Ci fu chi sostenne con convinzione che non si deve abbandonare la speranza di fronte all'intimidazione della violenza e che i continui scambi tra le culture rappresentano senz'altro l'unica via percorribile.
Pian piano, gli staff dei musei di ogni paese giunsero alle stesse conclusioni e la mostra fu inaugurata secondo i programmi.
(Seikyo Shimbun, 19 novembre 2003; NR, 298)

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La bellezza crea felicità

<h2>Il restauro della Resurrezione di Piero della Francesca</h2>
Paola Ilaria Mariotti, restauratrice e conservatrice presso l'Istituto centrale di restauro del Ministero dei Beni, delle Attività culturali e del Turismo, è stata impegnata dal 2015 al 2018 nell'importante e complessa opera di restauro della Resurrezione di Piero della Francesca, capolavoro dell'arte italiana e patrimonio dell'umanità custodito nel Palazzo del Governo di Sansepolcro, in Toscana. In queste pagine ci fa partecipare all'appassionante esperienza del suo incontro con questa immensa opera, come esperta di conservazione e come praticante buddista.

Un incarico di grande responsabilità e prestigio: come è iniziata l'avventura di questo restauro? 
Potrei dire che è stato un caso, o che il mio curriculum poteva contemplarlo, ma sicuramente fin dai tempi del liceo la Resurrezione di Piero è stata per me una delle opere più amate, una di quelle dal fascino magnetico che ti rapiscono in contemplazione e diventano nutrimento per lo spirito e per il corpo; opere che permettono all'essere umano di sentirsi collegato agli altri esseri umani, ma soprattutto a qualcosa dal significato universale, che va al di là delle culture e del tempo.
Sensei scrive in una sua poesia: «Ed ecco l'Arte, che invita l'anima porgendole la mano... la invita sul palcoscenico nobile della saggezza e la guida verso il lontano orizzonte della civiltà universale» (BS, 190, 12).
Questo è il fascino magnetico della Resurrezione: aiuta chi la guarda a proiettarsi in una dimensione universale che non è riconducibile a una singola religione.

Qual è l'aspetto che più ti appassiona del tuo lavoro?
Mi affascina la possibilità di recuperare ora, nel presente, nozioni e conoscenze che appartengono al passato, nel tentativo di trasmetterle al futuro grazie all'opera di conservazione. Il restauro di un'opera d'arte è l'occasione per approfondirne la conoscenza, per penetrare la materia che la costituisce, per seguirla nel suo passaggio attraverso il tempo, attraverso il suo "tempo-vita", trasmettendola alle generazioni future.
Sono molto grata per aver avuto il privilegio di stare a contatto con un'opera così bella così a lungo. Nello spazio circoscritto e "privilegiato" del cantiere di restauro si crea una relazione di intima compenetrazione con l'opera d'arte e con il suo autore, e si acquisisce una consapevolezza profonda dei valori artistici e umani espressi dall'artista, nonché della responsabilità di tramandare al meglio un "tesoro" dell'umanità.

Perché si è reso necessario questo intervento?
Nel caso di questo affresco alcuni intonaci erano fortemente distaccati dal substrato, la pellicola di colore tendeva a staccarsi dall'intonaco ed era presente un esteso fenomeno di "solfatazione" della superficie. Poiché non esistono documenti d'archivio relativi alla committenza dell'opera, né documenti facili a interpretarsi circa la sua storia conservativa, il restauro è stato un'occasione importante di studio e di conoscenza, non solo dell'opera ma anche delle sue vicissitudini, ricostruite attraverso indagini scientifiche e l'osservazione attenta di tutti i dati in nostro possesso.

Ci sono stati esiti o scoperte inattese?
La delicatissima pulitura effettuata sulla superficie ha consentito il recupero dei valori cromatici e formali oltre che di alcuni particolari, altrimenti nascosti da spessi strati di sporco. Basti pensare al castello e alla torre sul paesaggio del fondo, o alla cromia della fortezza in mattoni che connota la città di Sansepolcro.
Piero utilizza un'incorniciatura architettonica per definire il confine tra lo spettatore e l'evento sacro: l'opera è concepita come una finestra aperta verso un mondo ultraterreno. Dietro alle figure del Cristo e dei soldati addormentati, la campagna di Sansepolcro si staglia su un cielo pervaso da un chiarore mattutino realizzato in pigmento blu azzurrite. Prima del restauro non si aveva sentore che questa scena si svolgesse nella prima luce dell'alba.
Inoltre, le indagini hanno chiarito che l'affresco fu realizzato in un altro luogo e venne trasportato nella sede attuale assieme al suo supporto originale in mattoni. Si tratta di uno dei più antichi e monumentali casi di "trasporto a massello", effettuato tagliando il muro sul quale era stata originariamente realizzata l'opera per spostarla altrove.

Sono stati tre anni di intenso lavoro: con quale atteggiamento li hai affrontati, qual era il tuo obiettivo?
Sentivo profondo il desiderio di creare valore. In particolare ero molto determinata a instaurare buoni rapporti nel team di lavoro, un contesto che di solito è governato da contrasti e protagonismi, da dinamiche che dividono invece di unire. La mia preoccupazione più grande, soprattutto all'inizio, non era tanto la grande responsabilità di ''mettere le mani'' su un'opera così importante, quanto piuttosto riuscire a stare in armonia con tanti colleghi dalla preparazione anche molto diversa dalla mia. Ma ho deciso che questo lavoro doveva essere una gioia perché era la realizzazione di un mio sogno, e che il mio impegno, la mia serietà e il mio senso di responsabilità dovevano avanzare di pari passo con la creazione di valore nelle relazioni che si andavano intessendo. Credo che in molti abbiano dato il meglio di sé in quest'occasione.

Un'opera che ha una forza quasi primigenia... Da dove viene secondo te questo potere di comunicazione?
Credo che la Resurrezione abbia un valore universale. Perché questo Cristo esprime la potenza assoluta di un essere umano, è un uomo illuminato. La scena è immersa in uno spazio e in una luce reali: all'interno del dipinto esistono due fonti di luce, una che proviene da dietro l'orizzonte - è l'aurora e il sole sta per sorgere - e la si può apprezzare sui particolari dei volti e dei corpi; l'altra fonte di luce, più forte, proviene invece dall'ambiente architettonico e dalle finestre del palazzo.
Il protagonista assoluto, il Cristo, non è un essere sovrumano: guarda fisso in avanti, è uno sguardo che appare rivolto a noi e a nessun altro; uno sguardo severo e consapevole, di chi sa che se non ci risvegliamo vivremo una vita ''addormentata'' e inconsapevole come quella dei soldati raffigurati in primo piano in basso, che dormono ai piedi del sarcofago.

La figura di Cristo ha una dimensione quasi eroica in quel suo ergersi sul sepolcro...
Sì, a confronto con la parte bassa della scena, dove è rappresentato il sonno dell'umanità immersa nella sofferenza e nell'ignoranza, sembra l'essere umano che si è illuminato alla legge della vita, consapevole del suo compito e della sua missione, perfettamente dotato e in grado di alzarsi da solo. E con tutto il peso corporeo di un essere umano in carne e ossa, poggia il suo peso sulla lastra del sarcofago nello sforzo di uscire: non è la divinità eterea e senza peso di molte opere del passato, ma un essere umano che risplende in tutta la sua bellezza, fierezza e dignità.

Qual è stato il momento più emozionante del restauro?
La scena naturale sullo sfondo è sempre stata interpretata come una contrapposizione un po' schematica tra la morte, rappresentata dagli alberi spogli a sinistra, e la nuova vita che nasce grazie alla Resurrezione di Cristo, raffigurata nell'albero dalla chioma verde sulla destra.
Durante le operazioni di pulitura dell'albero di sinistra, però, rimuovendo uno spesso strato di sporco che ricopriva il colore originale sono riaffiorati frammenti di malachite e verde rame proprio nei rami secchi: sono le gemme di un albero che nel passaggio dall'inverno alla primavera sta per sbocciare in tutto il suo rigoglio primaverile!
Quella di Piero è quindi un'intuizione molto più profonda e complessa della natura nel suo ininterrotto ciclo vitale che racchiude in sé nascita e morte. L'inverno è solo una pausa, un'attesa che contiene già in nuce la rinascita, lo scorrere di un ciclo vitale che non si esaurisce con il cadere delle foglie. Ho pensato a Sensei quando afferma che le gemme si sviluppano proprio grazie al rigore dell'inverno, a Nichiren Daishonin quando scrive: «Prima della predicazione del Sutra del Loto, le persone dei nove mondi erano come piante o alberi in autunno e in inverno. Ma quando il singolo carattere myo del Sutra del Loto cominciò a risplendere su di loro come il sole primaverile ed estivo, sbocciò il fiore dell'aspirazione all'lluminazione e apparve il frutto della Buddità» (Il Daimoku del Sutra del Loto, RSND, 1, 128).

Ci hai regalato un viaggio nella profondità della vita, e ti ringrazio di cuore. Cosa vuoi dire per suggellare questo incontro?
Per me è stato un grande onore prendermi cura della Resurrezione. E provo gratitudine per quello che, attraverso questo lavoro, ho vissuto e realizzato; ma soprattutto provo gratitudine per Sensei, che sempre ci incoraggia a essere portatori di pace, a creare valore, a essere esempi ''luminosi'' nella società. Che ci incoraggia a condurre la vita di maggior valore possibile, a sbocciare ognuno ''nella propria unica maniera, proprio come un albero di ciliegio, prugno, pesco o susino", perché, come lui dice, ciascuno ''è un eroe del mondo''. Alla fine di questo importante lavoro, infatti, uno dei miei primi desideri è stato dedicare al mio maestro questo mio impegno, per l'immensa gratitudine che provo: desideravo fargli sapere, a lui che ama tanto l'arte, quanto io mi sia impegnata per conservare al futuro questo capolavoro.

(a cura di Alessandra Fornasiero)

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A tu per tu con un capolavoro universale

«Finora, non mi sono mai svegliato in prigione - nemmeno una volta».
Così recita Ahmet Altan, uno dei massimi scrittori turchi, in Con la fantasia rompo i muri della mia galera[ref]La Repubblica, 27 settembre 2017, trad. di Luis E. Moriones.[/ref], un racconto di struggente bellezza scritto in carcere e che ha inaugurato, tra l'altro, il recente Festival delle letterature di Roma.
Eppure Ahmet Altan sta scontando l'ergastolo dal 2016 per un'accusa che, se non fosse vera, sembrerebbe uscita da Finale di partita di Samuel Beckett, giacché l'imputazione di golpismo, come lui stesso dichiara, «si basa sull'asserzione che noi conoscessimo gli uomini accusati di conoscere gli uomini accusati di essere a capo del colpo di Stato»[ref]Ahmet Altan, Ritratto dell'atto di accusa come pornografia giudiziaria, edizioni e/o, Roma, 2017, trad. dall'inglese di Silvia Castoldi.[/ref].
La libertà che Ahmet Altan riesce a raggiungere dall'angustia della sua cella è paragonabile forse solo a quella di Teognide nel celebre distico elegiaco: «A te ho dato le ali, e volerai con esse/ levandoti agile sul mare infinito, e su tutta la terra».
La sua condizione di carcerato, infatti - «Sì, sono detenuto in una prigione di alta sicurezza in mezzo al nulla. Sì, mi trovo in una cella dove la porta viene aperta e chiusa con uno sferragliare di chiavi» - si somma alla sua vera condizione, quella di scrittore, che come «sanguigna arancia rotola»[ref]Ingeborg Bachmann, "Canti lungo la fuga", in Invocazione all'Orsa Maggiore, SE Edizioni, Milano, 1994, trad. di Luigi Reitani.[/ref] spremendo la fantasia in un viaggio immaginario nel quale, per dirla con Ingeborg Bachmann, «entrammo in spazi incantati e illuminammo il buio con la punta delle dita»[ref]Ibidem.[/ref].
È per questo che Ahmet Altan dichiara: «Sono uno scrittore. Non sono né dove sono né dove non sono. Ovunque mi rinchiudano, viaggerò per il mondo con le ali della mia mente infinita».
E i suoi spazi incantati sono «i canti gioiosi degli uccelli, le grondaie del cortile, gli alberghi delle vivaci strade francesi del film Irma la Dolce, la furia dei venti del nord, le rive del Danubio, la dacia con una finestra sul davanti dove si rifugiò il dottor Zivago, le isole della Thailandia, gli alberghi di Londra, le strade di Amsterdam, i labirinti segreti di Parigi, i ristoranti sul lungomare di Istanbul, i piccoli parchi nascosti tra le strade di New York, i fiordi della Norvegia, le piccole città dell'Alaska con le loro strade sepolte dalla neve, i fiumi dell'Amazzonia, le rive del Messico, le savane africane».
Di questi viaggi sono capaci gli scrittori, soprattutto chi, come Ahmet Altan, difensore delle minoranze curde e armene, autore di romanzi quali Scrittore e assassino e Come la ferita di una spada (edizioni e/o, Roma, 2017-2018), dalle sordide sbarre di una cella rimane fedele ai suoi ideali, come un vero Socrate moderno. (Martina Banchetti)

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Con la fantasia rompo i muri della mia galera

Sprigionare la propria potenza creativa è il compito più arduo che riserva l'esistenza. Creatività significa spingere con forza la pesante porta d'ingresso della vita, fino ad aprirla del tutto. 

La creatività

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