approfondimenti e riflessioni

Vita di tutti i giorni.
Vita di uno o una di noi, che proviamo a fare nostro il messaggio profondo del Buddismo, quello che Nichiren ha lasciato scritto, il suo sguardo sul funzionamento profondo della vita.
Il suo esempio.

A farlo nostro praticandolo e diffondendolo.
Studiando, riflettendo, recitando Daimoku, sperimentando.
Sentendo vive quelle parole, cercando di fare come ha fatto lui.

Questo speciale nasce così.
Dal desiderio di mettere a fuoco alcuni aspetti trattati in questo Gosho e provare ad approfondirli dentro di noi per meglio mettere in pratica il messaggio di Nichiren nella nostra vita.
Così come siamo e lì dove ci troviamo.

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Il comportamento del budda

L'esperienza di Nichiren e la storia del suo paese raccontata in questo Gosho

L'esperienza di Nichiren e la storia del suo paese raccontata in questo Gosho

Il comportamento del Budda descrive un periodo molto importante della vita di Nichiren. Per inquadrare meglio i due brani proposti nelle pagine precedenti ripercorriamo qui i tratti salienti dello scritto raccordando i fatti raccontati dal Daishonin alla storia di quegli anni.

All'epoca del Daishonin la situazione generale del Giappone era molto critica. Il paese era flagellato da continui disastri ambientali - terremoti, incendi e inondazioni - che avevano portato penuria di cibo ed epidemie. Si stava inoltre assistendo alla caduta del regime imperiale e al sorgere del governo della classe militare, passaggio che avvenne non senza spargimenti di sangue. Le guerre interne tra l'imperatore e gli shogun videro in campo anche i monaci, con i monasteri delle varie scuole buddiste alleati dell'imperatore o dei samurai.
Tra il 1220 e il 1230 si affermò definitivamente la supremazia degli shogun. La capitale politica divenne Kamakura e il clan Hojo prese le redini del potere.
La gente moriva di fame, di malattia o in guerra. In questa situazione il giovane Zennichimaro, che in seguito cambiò il nome in Nichiren, decise di diventare l'uomo più saggio del Giappone per aiutare i suoi concittadini. Entrò in monastero, fu ordinato prete, studiò e praticò per sedici anni le dottrine buddiste finché a trentadue anni, il 28 aprile 1253, proclamò il suo insegnamento e cominciò a propagarlo.
Il 16 luglio del 1260 mandò a Hojo Tokiyori, ex reggente, il suo trattato Adottare la dottrina corretta per la pace del paese (Rissho ankoku ron) in cui spiegava che quello che stava succedendo in Giappone era la conseguenza delle credenze errate che la popolazione stava seguendo. Esortava quindi il governo ad abbandonare le dottrine delle scuole buddiste in auge e a seguire il suo insegnamento.
Come prima reazione, fu attaccato dai seguaci della scuola della Pura terra in un agguato a Matsubagayatsu, da cui riuscì a mettersi in salvo. Non si fece intimidire e proseguì nella sua opera di propagazione subendo altre due persecuzioni, l'esilio a Izu (1261) e un ulteriore agguato a Komatsubara (1264).
Nei suoi ammonimenti Nichiren voleva dimostrare ai governanti che si stavano avverando le profezie fatte nelle scritture buddiste: le tre calamità - guerra, epidemia e carestia - e i sette disastri, tra cui le crisi ambientali, le guerre intestine e l'invasione straniera. Causa di tutto ciò, ancora una volta, le credenze errate.
Il comportamento del Budda, scritto nel 1276 dal monte Minobu, racconta gli eventi che si susseguirono a partire dal 1268, con l'arrivo di un ultimatum da parte dell'impero mongolo.

Presentiamo di seguito alcuni brani del testo di Nichiren con il richiamo alle date principali degli eventi occorsi in Giappone in quegli anni.
La versione integrale del Gosho si può trovare su Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, pp. 39-72.

1268 Una delegazione mongola inviata da Khubilai Khan, che aveva già conquistato gran parte della Cina e l'intera Corea, chiede la sottomissione del Giappone.

L'ULTIMATUM DEI MONGOLI
Il diciottesimo giorno del primo mese intercalare del quinto anno di Bun'ei (1268), arrivò dal grande impero mongolo una lettera ufficiale con la quale quei barbari d'occidente dichiaravano la loro intenzione di invadere il Giappone. La mia predizione in Adottare la dottrina corretta per la pace nel paese, che scrissi nel primo anno di Bunno (1260), [...] si è perfettamente avverata. [...] Mi aspettavo di essere consultato riguardo ai mongoli, di essere invitato al consiglio di guerra e che mi fosse chiesto di sconfiggerli con il potere della preghiera. Ma poiché questo non avvenne, nel decimo mese dello stesso anno mandai lettere di ammonimento a undici influenti personalità del paese. [...]
Considerando quanto sarebbe tragico se il nostro paese andasse incontro a un simile destino, ho rischiato la mia reputazione e la mia vita rimostrando energicamente con le autorità. Ma [...] il consiglio supremo del reggente si è riunito per decidere se decapitarmi o bandirmi da Kamakura, se confiscare le terre dei miei discepoli e sostenitori laici oppure imprigionarli, esiliarli in luoghi lontani o condannarli a morte.

1271 Il paese è colpito da una forte siccità. Ryokan, prete della scuola Precetti-Vera parola, prega per la pioggia senza ottenere alcun effetto. I mongoli rinnovano le richieste al governo giapponese.

L'ARRESTO E L'INTERROGATORIO CON IL CAPO DELLA POLIZIA HEI NO SAEMON
Il dodicesimo giorno del nono mese nell'ottavo anno di Bun'ei (1271), segno ciclico kanoto-hitsuji, fui arrestato con una procedura insolita e illegale. [...]
Sia il decimo [quando fui convocato] che il dodicesimo giorno io descrissi esaurientemente a Hei no Saemon gli errori delle scuole Shingon, Zen e Nembutsu, nonché il fallimento di Ryokan nelle sue preghiere per la pioggia.
[...] La notte del dodicesimo giorno fui posto sotto la custodia del signore della provincia di Musashi e verso mezzanotte fui portato via per essere giustiziato.

L'ARRIVO DI SHIJO KINGO
Gli dissi: «Stanotte sarò decapitato. Questo è il desiderio che ho accarezzato per molti anni. [...] Ma fino a ora non ho mai dato la mia vita per il Sutra del Loto. Io nacqui per diventare un umile prete, incapace persino di adempiere gli obblighi di pietà filiale verso i miei genitori e di ripagare i debiti di gratitudine verso il mio paese. Ora presenterò al Sutra del Loto il mio capo reciso e ne condividerò il merito con i miei genitori, i discepoli e i credenti laici, come ti ho promesso». Poi Saemon-no-jo [Shijo Kingo] e i suoi tre fratelli, tenendo le redini del mio cavallo, mi accompagnarono a Tatsunokuchi, presso Koshigoe.

LA TENTATA DECAPITAZIONE E L'EVENTO STRAORDINARIO
Infine giungemmo in un posto che sapevo sarebbe stato il luogo della mia esecuzione. Infatti i soldati si fermarono e cominciarono a darsi d'attorno in grande agitazione. Saemon-no-jo, in lacrime, disse: «Questi sono i tuoi ultimi momenti». Io replicai: «Tu non capisci! Quale gioia potrebbe essere maggiore! Non ricordi ciò che hai promesso?».
Avevo appena pronunciato queste parole che una sfera brillante quanto la luna, proveniente da Enoshima, attraversò il cielo da sud-est a nord-ovest. L'alba non era ancora spuntata e faceva troppo buio per potersi vedere in faccia, ma l'oggetto brillante illuminò tutti chiaramente come la vivida luce lunare. Il boia cadde con la faccia a terra, gli occhi accecati. I soldati furono colti dal panico. Alcuni scapparono via, altri saltarono dai loro cavalli e si inginocchiarono in terra mentre altri ancora si rannicchiarono sulle loro selle. Io gridai: «Perché vi allontanate da questo ignobile prigioniero? Venite qui! Accostatevi!». Ma nessuno voleva avvicinarsi. [...]
Ci avviammo seguendo la strada e verso mezzogiorno arrivammo a Echi. Di lì procedemmo verso la residenza di Homma Rokuro Saemon [vice governatore di Sado, n.d.r.] dove ordinai del sakè per i soldati. Quando arrivò il momento della loro partenza alcuni di essi chinarono la testa, unirono le mani come in preghiera e dissero nel modo più rispettoso: «Non avevamo capito che tipo di persona tu fossi. Ti odiavamo perché ci era stato detto che calunniavi il Budda Amida che noi veneriamo. Ma ora che abbiamo visto con i nostri occhi ciò che ti è accaduto e che abbiamo capito che persona degna tu sia, abbandoneremo il Nembutsu che abbiamo praticato così a lungo».

LA COMMUTAZIONE DELLA PENA E L'ESILIO A SADO
Arrivai nella provincia di Sado il ventottesimo giorno dello stesso mese. Il primo giorno dell'undicesimo mese fui portato in una piccola cappella situata in un campo chiamato Tsukahara [...]. Sostenuta soltanto da quattro colonne di legno sorgeva su un terreno in cui venivano abbandonati i cadaveri. [...] Non vi si trovava una sola statua del Budda, le assi del tetto erano sconnesse e le pareti piene di buchi. La neve vi cadeva e si accumulava senza mai sciogliersi. Trascorrevo i miei giorni in quel luogo, seduto su uno strato di paglia o sdraiato su una pelliccia. Di notte grandinava, nevicava e c'erano lampi continui. Persino durante il giorno, il sole splendeva raramente. Era un luogo squallido in cui vivere.

1272 Hojo Tokisuke, fratellastro maggiore del reggente, organizza una cospirazione per impadronirsi del potere. La cospirazione viene spenta nel sangue.

IL DIBATTITO DI TSUKAHARA
I preti Nembutsu e delle altre scuole, accompagnati da preti novizi che portavano sotto braccio e appesi al collo i tre Sutra della Pura terra, Grande concentrazione e visione profonda, i Sutra della Vera Parola e altri scritti, si riunirono a Tsukahara il sedicesimo giorno del primo mese [del 1272]. [...] Li sconfissi con la stessa facilità con la quale una spada affilata taglia un melone, o la tempesta piega i fili d'erba. Non solo erano del tutto impreparati in materia di dottrine buddiste, ma si contraddicevano nei loro ragionamenti. Confondevano i sutra con i trattati e i trattati con i commentari. [...] Mano a mano che dimostravo le falsità e le aberrazioni di ciascuna scuola, alcuni preti bestemmiavano, altri ammutolivano, altri invece impallidivano. Vi furono aderenti Nembutsu che ammisero l'errore della propria scuola, gettarono immediatamente la tunica e il rosario e giurarono che non avrebbero più recitato il Nembutsu.

L'APERTIRA EGLI OCCHI: IL RACCONTO DELL'ESPERIENZA DI NICHIREN
Dopo che tutti se ne furono andati, iniziai la stesura di un trattato in due volumi, intitolato L'apertura degli occhi, [...] in cui intendevo fissare la meravigliosa esperienza di Nichiren, nel caso fossi stato decapitato. Il messaggio essenziale di questo trattato è che il destino del Giappone dipende esclusivamente da Nichiren. Una casa senza pilastri crolla, un uomo senza anima è morto. Nichiren è l'anima del popolo di questo paese. Hei no Saemon ha abbattuto il pilastro del Giappone e nel paese cresce il malumore mentre voci infondate appaiono come fantasmi per creare conflitti all'interno del clan reggente. Inoltre, il Giappone verrà presto attaccato da un paese straniero, come è descritto in Adottare la dottrina corretta per la pace nel paese. [...]
Il diciottesimo giorno del secondo mese, una nave raggiunse l'isola. Portava la notizia che vi erano stati cambattimenti a Kamakura e in seguito anche a Kyoto, che avevano causato sofferenze inaudite. Homma Rokuro Saemon, a capo dei suoi uomini, partì quella notte su navi veloci alla volta di Kamakura. Prima della partenza, mi chiese umilmente con le mani giunte di aiutarlo con le mie preghiere. Disse: «Ho dubitato della verità delle parole da te proferite il sedicesimo giorno dello scorso mese, ma esse si sono avverate in meno di trenta giorni. Ora credo che i mongoli ci attaccheranno sicuramente, così come credo che i seguaci Nembutsu sono destinati all'inferno della sofferenza incessante. Non reciterò mai più il Nembutsu».

1274 L'esercito mongolo attacca le isole di Tsushima e Iki. Le truppe inviate da Kamakura vengono sbaragliate ma una tempesta fa naufragare la flotta degli invasori.

LA GRAZIA E IL RITORNO A KAMAKURA
Il reggente [...] emanò una lettera di perdono il quattordicesimo giorno del secondo mese dell'undicesimo anno di Bun'ei (1274), che arrivò a Sado l'ottavo giorno del terzo mese. [...] Lasciai l'isola di Sado il tredicesimo giorno del terzo mese e raggiunsi Kamakura il ventiseiesimo giorno dello stesso mese.

IL RITIRO SUL MONTE MINOBU E L'ATTACCO DEI MONGOLI
L'ottavo giorno del quarto mese [...] Hei no Saemon, apparentemente a nome del reggente, chiese quando le forze mongole avrebbero invaso il Giappone. Risposi: «Attaccheranno sicuramente entro quest'anno. Ho già espresso la mia opinione al riguardo, ma non è stata ascoltata». [...] Proprio come avevo previsto sin dall'inizio, i miei ammonimenti non furono ascoltati. Se una persona ammonisce tre volte il governante e non viene ascoltata, deve lasciare il paese. Perciò lasciai Kamakura il dodicesimo giorno del quinto mese e venni qui sul monte Minobu. [...]
Nel decimo mese dello stesso anno (1274) i mongoli sferrarono il loro attacco. Furono attaccate e invase le isole Iki e Tsushima e anche le truppe di stanza a Dazaifu, sede del governo a Kyushu, furono sconfitte. Quando i comandanti Shoni e Otomo ne furono informati, fuggirono e i soldati rimasti furono uccisi senza difficoltà. [Benché le truppe mongole si fossero poi ritirate], fu evidente quanto sarebbe stata debole la difesa del Giappone in caso di un'ulteriore aggressione futura. [...]

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Visione d'insieme

Quando il cuore è sgombro da ogni dubbio la Buddità emerge con evidenza, come ha dimostrato Nichiren sulla spiaggia di Tatsunokuchi

Quando la Buddità emerge con evidenza

di Maria Lucia De Luca

«Sebbene io e i miei discepoli possiamo incontrare varie difficoltà, se non nutriamo dubbi nel nostro cuore come conseguenza naturale conseguiremo la Buddità» (L'apertura degli occhi, WND, 283; cfr. SND, 1, 200-201).
Vivere la Buddità, dice il Daishonin, è una "conseguenza naturale", quella condizione di assoluta libertà che lui stesso manifestò sulla spiaggia di Tatsunokuchi, con il cuore sgombro da ogni dubbio che mosse l'intero universo a proteggere la sua vita. «Chi non si preoccupa di se stesso per il bene della Legge non ha nulla di cui aver paura», neanche della scure di un boia innalzata sul collo.
«Nel dodicesimo giorno del nono mese dello scorso anno [...] questa persona chiamata Nichiren è stata decapitata. È la sua anima che è giunta in quest'isola di Sado...» (Ibidem). Così Nichiren racconta il "prodigio" di quella notte.
Fino a qualche tempo fa pensavo che il "prodigio" fosse il passaggio del corpo celeste che abbagliò i soldati e li dissuase dal decapitare Nichiren la notte del 12 settembre 1271. In realtà per il Daishonin quel prodigio è il disvelamento della sua anima, l'hosshaku kempon, il processo di "scartare il transitorio e rivelare il vero" in cui abbandonò la condizione di "comune mortale allo stadio di ascoltare il nome e le parole della verità" (cioè una persona che ha fede nel Sutra del Loto) e rivelò la sua vera identità di "Budda di gioia illimitata illuminato dal tempo senza inizio".
Nichiren a Tatsunokuchi non è più il "devoto del Sutra del Loto", ma è il Budda eterno che si è risvegliato alla Legge fondamentale, la incarna e ne usa liberamente i benefici. Non ha più la necessità di dimostrare la sua Illuminazione, né il bisogno di addurre prove teoriche o documentarie. È il suo stesso esistere che vale, pesa, dimostra. «Se si comprende che il regno del Dharma è identico a se stessi - afferma nella Raccolta degli insegnamenti orali - allora il regno del Dharma è il Budda di gioia illimitata» (vedi p. 53).
È una dimostrazione senza bisogno di prove quella che dà scrivendo da una baracca tra la neve e i cadaveri «io sarò il pilastro del Giappone. Io sarò gli occhi del Giappone. Io sarò il grande vascello del Giappone. Questo è il mio voto, e non lo romperò mai!» (L'apertura degli occhi, SND, 1, 195). Solo un Budda può parlare così.
Ma l'hosshaku kempon riguarda solo Nichiren? Ikeda sostiene che il Daishonin fu il primo a dimostrare «che tutte le persone dell'Ultimo giorno della Legge possono abbandonare il transitorio e rivelare il vero» (Buddismo e società, n. 106, p. 43). Quindi riguarda tutti. Noi sperimentiamo l'assoluta libertà del Budda di gioia illimitata quando usiamo il potere del Daimoku per costruire un cuore che persevera nonostante la paura, che continua a lottare anche quando sembra che tutto sia finito. «Il "transitorio" da gettare via - scrive Ikeda - è la debolezza, la vigliaccheria» (MDG, 1, 254). Il "vero" da rivelare è lo stesso coraggio del Daishonin.
Quello che ci vuole dire Nichiren è che la nostra pratica buddista non è una meditazione da fare al di fuori della realtà ricercando chissà quale sensazione interiore, ma è uno strumento da usare tutti i giorni per stare dentro l'esistenza, per lottare contro l'ingiustizia, per fare in modo che ogni essere umano possa esprimere la dignità della sua vita.
Con questo spirito battagliero, che Ikeda definisce umanesimo combattivo, e che a sua volta trae la forza da un Daimoku combattivo, "conseguiremo la Buddità senza cercarla".
«Per quale motivo - scrive - dovremmo riuscire a conseguire la Buddità anche se non la cerchiamo? In primo luogo, perché le vite di tutti gli esseri viventi sono intrinsecamente entità di Myoho-renge-kyo (la Legge mistica). In secondo luogo, perché la nostra forte fede fa sì che le illimitate funzioni di Myoho-renge-kyo si manifestino senza impedimenti. Quando Myoho-renge-kyo arriva a funzionare liberamente nella nostra vita, conseguiamo lo stato vitale della Buddità. L'infinito potere della Legge mistica comincia a operare senza ostacoli esprimendosi nei vari poteri e capacità dell'essere umano come, ad esempio, il coraggio di lottare, la forza di perseverare, la saggezza per superare le avversità e l'impegno e la compassione per gli altri. Caratteristiche come queste, che sono elencate nel sutra come attributi del Budda, si manifestano in forma appropriata secondo le necessità. Quindi conseguire la Buddità significa essere capaci di esprimere liberamente dall'interno di noi stessi il potere della Legge mistica nella forma dei vari poteri e capacità dell'essere umano» (Lezioni sul Gosho L'apertura degli occhi, sedicesima puntata, di prossima pubblicazione).
La questione non è tanto, quindi, cercare la Buddità, ma individuare e togliere gli impedimenti che la imbrigliano, quelle illusioni del cuore e della mente che ci impediscono di percepirla interiormente. E allora ogni volta che ci tremano le gambe di fronte alle difficoltà, che ci disperiamo, che ci lamentiamo o riteniamo qualcun altro responsabile delle nostre sofferenze, quando proviamo rancore, invidia, impotenza, e anche quando non sappiamo proprio cosa fare, dovremmo avere la lucidità di riconoscere che queste reazioni, seppure umane e giustificate, sono delle trappole che ingabbiano la nostra Buddità.
Ogni situazione, dice il Buddismo, anche la peggiore, può portare alla sconfitta o alla vittoria, al dolore o alla felicità. Quindi catturiamo il cuore e la mente e andiamo a recitare Daimoku davanti al Gohonzon, ricordandoci che è l'Oggetto di culto in cui Nichiren ha concretizzato uno stato vitale così potente da far apparire una cometa proprio nell'attimo stesso in cui doveva essere ucciso. Cerchiamo di lanciarci al di là di quella che sembra l'ultima spiaggia, continuando a credere fino a ottenere una risposta. Come ha fatto Nichiren. E la Buddità si manifesta, senza impedimenti, in quella gioia, in quell'idea brillante, in quel nuovo punto di vista, in quel sereno lasciar perdere che dà modo alla vita di esprimersi liberamente. In quell'essere se stessi come mai.
In quella «sfera brillante quanto la luna, proveniente da Enoshima, che attraversò il cielo da sud-est a nord-ovest...».

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Una conseguenza naturale

Dedicando la vita al Sutra del Loto si "rinuncia" a molto meno di quello che si ottiene, in uno scambio incredibilmente vantaggioso

Uno scambio incredibilmente vantaggioso

di Alessandra Fornasiero

C'è in ogni situazione di "scambio" - per definizione - una reciprocità: se voglio attingere l'oro del Sutra del Loto devo essere disposta a cedere i miei "sassi".
Sembrerebbe dunque ch'io debba essere disposta a rischiare, a perdere qualcosa... Ma di che "sassi" si tratta?
Vediamo. Cerchiamo di declinare questo "scambio" alla luce dell'esperienza che ci è dato farne in quanto discepoli di Nichiren Daishonin. Cosa significa per noi "dare la vita per il Sutra del Loto"?

Per attingere l'oro del Sutra del Loto devo essere disposta ad abbandonare i miei attaccamenti, di qualsiasi natura essi siano. Attaccamento a un'idea, a un punto di vista, a un pre-giudizio per quanto ben argomentato, ai miei beni materiali, al mio tempo prezioso, a tutto ciò che presumo di sapere, di aver già capito.
Ogni volta che riusciamo a sospendere il giudizio su noi stessi, su una persona o su una situazione e ci affidiamo totalmente al Gohonzon, sinceramente disposti a far emergere una verità ulteriore, anche molto diversa da quella alla quale siamo da tempo abbarbicati, stiamo scambiando sassi con oro.
Ogni volta che iniziamo a recitare Daimoku veramente aperti - myo, appunto, "aprire" - predisponendoci a "sacrificare" di buon grado le nostre certezze acquisite, insomma onestamente disposti a metterci in gioco fino in fondo e a migliorare, anche se adesso ci sembra che a cedere su quel punto ne vada della nostra identità... In quel momento stiamo scambiando sassi con oro.
Cosa perdiamo in questo "scambio"? Probabilmente la nostra arroganza, l'orgoglio, i giudizi arbitrari, la superficialità, la paura di metterci in discussione.
Cosa conquistiamo? La serenità che deriva da una visione della realtà limpida, sorgiva, libera dagli attaccamenti, non velata dalle ombre dell'illusione e non deformata dalle lenti del karma.
E così, Daimoku dopo Daimoku, impariamo a spingerci ancora un po' più in là, a spostare il limite attuale della nostra vita, magari ispirati da una frase di Gosho che un giorno prende a risuonarci dentro come un richiamo profondo, una frase ancora non del tutto decifrabile che pure sentiamo ci riguarda, come un invito ad approfondire, a cercare ancora, a recitare più Daimoku per trasformare un altro pezzettino, per comprendere meglio, per illuminare... 
Se proviamo a fidarci senza riserve di quella frase del Gosho, se cerchiamo di avvicinarci a essa quanto più possibile con il nostro sentire, potremo sperimentare fino in fondo la verità di quelle parole, e gradualmente arriveremo a trasformare in modo sorprendente la nostra vita, sintonizzandoci poco a poco con il cuore di Nichiren Daishonin.
«Se riusciamo a incidere nel nostro cuore una singola frase, facendola nostra - scrive Daisaku Ikeda - saremo in grado di capire con facilità gli altri brani del Gosho. Ciò avviene perché la padronanza di una frase porta alla comprensione di tutte le altre» (La nuova rivoluzione umana, vol. 11, p. 97).
Scrive Nichiren Daishonin: «Anche i comuni mortali possono conseguire la Buddità se comprendono il senso di una sola parola: "sincera dedizione"» (L'offerta del riso bianco, SND, 4, 286).
Questa "sincerità" nessuno ce la può insegnare. È una qualità che va cercata scavando ogni volta ancora un po' di più con il Daimoku dentro il proprio cuore. Ne vale la pena, perché la posta in gioco - a quanto afferma Nichiren - è il raggiungimento stesso dell'Illuminazione.
«Dall'indaco, un azzurro ancora più intenso»: non c'è limite alla possibilità di approfondire la nostra dedizione (Inferno e Buddità, SND, 5, 195). A volte ci sembra di aver fatto tutto il possibile e invece scopriamo di poter offrire ancora un po'. È uno scarto sottile, che riguarda spesso più la qualità che la quantità del nostro dare. Eppure in questo margine dall'apparenza irrilevante si gioca un salto di dimensione. Allora ogni pesantezza per incanto scompare, e dalla nostra vita sgorga una gioia mai provata. È la gioia che deriva dalla Legge. La si tocca con mano ogni volta che si attinge a questa purezza del cuore.
Sessen Doji si getta a capofitto nelle fauci del mostro senza esitare. Grazie a questo salto coraggioso il demone si trasforma in Budda.
Sessen Doji rappresenta un paradigma di comportamento per i devoti del Sutra del Loto. Gettarsi con cuore leggero oltre il proprio limite è la chiave per raccogliere i più grandi benefici del Gohonzon.

Questo salto coraggioso della fede nelle situazioni della nostra vita si declina spesso con un "nonostante".
Ad esempio: oggi ho uno stato vitale piuttosto basso, quindi sarei naturalmente portata a chiudermi nei miei pensieri; nonostante ciò mi soffermo a incoraggiare un'altra persona che sembra soffrire più di me. Ognuno di noi "che ci dichiariamo discepoli di Nichiren" lo ha sperimentato più e più volte: grazie a questa azione, il mio stato vitale miracolosamente cambia: sassi con oro.
Cosa ho "sacrificato"? Il mio piccolo io, il mio attaccamento alla sofferenza.
Apro la vita per lodare la Legge, per lodare l'esistenza della natura di Budda nella vita dell'altro... Cosa trovo in cambio? La mia stessa natura di Budda si risveglia. Ciò significa che il potere della Legge mistica inizia a operare concretamente nella mia vita, traducendosi in buona fortuna, stato vitale, coraggio, saggezza, compassione e azioni superiori.
Questo allenamento costante ad aprire il nostro cuore agli altri, rinnovato con pazienza istante per istante, perseverando nel tempo arriva a cambiare in modo radicale la nostra vita. Fino ad accorgerci un giorno che in questo percorso ci siamo completamente trasformati.
Scrive Ikeda: «Come la neve si accumula pian piano, senza rumore, così, continuando a fare attività, stai accumulando la tua fortuna. Questo significa cambiare il proprio destino [...]. Con tranquillità, pensando a far crescere gli altri senza volere nulla in cambio, si ottiene un corpo indistruttibile e pieno di fortuna» (Buddismo e società, n. 111, p. 9).

Infine, semplicemente, scambiamo sassi con oro ogni giorno, ogni volta che apriamo il nostro butsudan per recitare Daimoku. Nonostante a volte ci sembri di non averne voglia.
«Il Gohonzon è la manifestazione del Budda dotato di compassione infinita - scrive Ikeda. - Dovremmo perciò continuare a recitare Daimoku per i nostri desideri, i nostri problemi e le nostre aspirazioni così come sono. Quando soffriamo, ci sentiamo tristi o stiamo affrontando difficoltà, dovremmo semplicemente andare davanti al Gohonzon con il cuore in mano, come un bambino che corre tra le braccia della madre e si aggrappa a lei. Il Gohonzon "ascolterà" ogni nostra parola, perciò dovremmo recitare molto Daimoku come se stessimo portando avanti una conversazione, confidando i nostri più intimi pensieri. Col tempo, anche le sofferenze più infernali svaniranno come rugiada al mattino e sembreranno nient'altro che un sogno» (La nuova rivoluzione umana, vol. 11, p. 95).
Possiamo dunque sentirci del tutto sicuri e non dobbiamo temere nulla. Possiamo godere della nostra vita con completa fiducia, certi nel profondo del cuore della frase del Gosho che afferma: «Poiché non c'è cosa più preziosa della vita, se la si dedica a praticare il Buddismo, si ottiene sicuramente la Buddità» (Lettera da Sado, SND, 4, 73).

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Sassi con oro

Come agire in accordo alla Legge nelle cose di tutti i giorni, quando la vita scorre tranquilla

Mentre la vita scorre tranquilla

di Gianna Mazzini

Io sono come mi comporto.
Non "come vorrei essere" ma come penso, parlo e agisco.
Io sono il risultato dei miei pensieri. Sono la verità che esprimono le mie parole. Sono la somma dei miei gesti, di tutti i miei gesti, giorno dopo giorno.
È una fortuna essere nati come esseri umani.
Ecco: non approfittare di questo immenso onore è la perdita più grande.
Vivere può essere una cosa bellissima. Vivere, e farsi sorprendere: ogni giorno come fosse il primo.
La vita ne contiene tanti di giorni. Ogni giorno contiene centinaia di migliaia di istanti. E in ognuno di questi istanti posso dire sì o no alla vita. Dire sì al fatto che a ogni causa corrisponde un effetto, sì all'idea di usarla per creare valore, sì a cambiare e sentire gli altri nel mio orizzonte di vita. Oppure dire no. Dire no all'idea che la vita è eterna. No, e scegliere i pensieri più bassi, le parole meno rispettose, le azioni più violente.
No perché si può essere buddisti e comportarsi come se non lo fossimo.
Il presidente Ikeda dice che ci troviamo di fronte a un bivio.
«O crediamo che la natura di Budda esista in ogni persona e costruiamo una civiltà della nonviolenza, oppure lasciamo che l'oscurità e l'ignoranza nostra e altrui ci ottenebrino e scegliamo la violenza della barbarie. [...] Io sono convinto che la strada per contribuire alla pace su scala mondiale sia seguire il Buddismo del "comportamento da essere umano"» (MDG, 2, 165).
La fede, nel Buddismo, sta nel comportamento. E non solo il comportamento di fronte alle difficoltà. Ma anche quello nella vita di tutti i giorni. Quando tutto scorre e non ci sono problemi incombenti o questioni difficili che stringono il cuore e lo fanno piccolissimo. Perché la prima cosa che abbiamo imparato è che il Buddismo insegna a trasformare gli ostacoli in opportunità, a trasformare le sofferenze in gioia, e tutto quello che non va diventa un'occasione per vincere. Insegna che le difficoltà sono il motore di ogni cambiamento. E l'attitudine alla lotta, a un atteggiamento attivo di fronte alla sofferenza, è espressione vitale della nostra fede.
Ma quando la vita scorre tranquilla? Cosa vuol dire vivere da Budda?
Nel mondo in cui viviamo sembra prevalere la logica del profitto a ogni costo, la logica che dice che vince il più forte, il più furbo, e guai a essere buoni. Tolleranti, pazienti, educati. Rispettosi.
«La forza di rimanere saldi in mezzo a questa furiosa corrente dei tempi risiede in una fede incrollabile nella natura di Budda, nostra e degli altri, unita ad azioni per mettere concretamente in pratica questa convinzione e dimostrare rispetto per la vita di tutte le persone. Questo perché l'impulso irresistibile che conduce al conflitto sorge dall'"ignoranza". Nel Buddismo ignoranza significa mancanza di consapevolezza o di fede nel fatto che le persone posseggono la natura di Budda» (MDG, 2, 106).
«Quello è antipatico». «Quella si comporta così». Si dice in quelle circostanze. Come fossero giustificazioni.
Ma l'espressione più alta della fede sta nel comportamento.
Il pensiero centrale del Sutra del Loto è il rispetto per ogni forma di vita. L'asse centrale della pratica buddista, dunque, dovrebbe essere comportarsi di conseguenza.
«Il rispetto assoluto per gli altri del bodhisattva Mai Sprezzante significa che non esiste una persona che non possa ottenere la Buddità e l'ignoranza opera per impedirci di comprenderlo. Quando si è preda di questa illusione, anche se ci viene detto che ogni persona possiede la natura di Budda, cioè il potenziale per ottenere la Buddità, noi non riusciamo a crederlo» (MDG, 2, 140).
Il rispetto della natura di Budda degli altri si manifesta anche attraverso cose piccole, come non parlare o non pensare male degli altri. Di ogni fatto, di ogni situazione, di ogni persona si può pensare e dire bene o male. Ecco: il Budda è chi sceglie sempre il pensiero migliore. La parola più incoraggiante. L'azione più compassionevole.
Il Budda quotidiano fa l'esercizio continuo di scegliere il bene.
Scegliere bontà d'animo, pazienza, tolleranza e rispetto non vuol dire essere tonti. Ma sentire profondamente il funzionamento della vita.
Se parlo male di qualcuno apparentemente è lui o lei che voglio colpire ma quelle parole, nella realtà profonda, sono mie. Lui o lei me le tirano fuori, ma sono mie. Se non abitassero dentro di me non riuscirei nemmeno a pensarle, a dirle, a trovarle. Se non fossero mie non incontrerei nessuno che le rappresenta.
Ma con quei pezzi di male che scopro dentro di me che ci faccio?
Non si tratta soltanto di evitare il male, di non essere violenti nei pensieri, con le parole o coi gesti. Ci vuole l'intenzione di trasformare quel buio in una zona di luce. Si tratta di diventare incisivamente attivi: facendo vivere la nostra natura illuminata possiamo risvegliarla negli altri.
Lodare. Scegliere il bene negli altri significa cercarlo dentro di me. Anche questo è "comportamento". Anche questa è un'espressione della fede.
Bontà d'animo, pazienza, tolleranza e rispetto sono poco senza la convinzione assoluta di essere un Budda e che la natura di Budda sta in tutti quelli che mi circondano.
I sentimenti buoni non bastano a cambiare il mondo se non sono accompagnati dalla convinzione profonda del proprio valore come esseri umani e della propria missione nell'essere nati, proprio ora, proprio qui, proprio così come siamo.
È uno stato d'animo forte, attivo: trasformare tutto in valore. Dentro un cuore che sa, che ha scelto di comportarsi come un Budda. E di dedicare la sua vita agli altri. E di lottare con il desiderio della felicità di tutti.
Noi abbiamo la capacità di cambiare le cose, questo ci ha insegnato Nichiren. Non solo nelle circostanze estreme, quelle drammatiche che ci impongono una soluzione ma anche e soprattutto nelle centinaia di migliaia di momenti di vita qualunque. Mentre camminiamo, viviamo e costruiamo quel che verrà.

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Budda quotidiano

Se ci sentiamo lontani e dubbiosi di fronte a uno scritto di Nichiren, impariamo dalla sua fermezza

Se ci sentiamo lontani e dubbiosi...

di Roberto Carvelli

Esistono lettere di Nichiren Daishonin che mettono in crisi la forza della nostra devozione. Prima di crederle distanti, avanti al sentirsi comandati a un atto di fede cieca o di dubbi rimandati forse conviene leggerle e leggerle senza giudicarne la lettera e affrettare conclusioni ma cercando di fare proprio il messaggio, lo spirito, la pratica. È il caso per esempio di quelle in cui il nostro maestro rivela un carattere fermo e combattivo. O, potrebbe sembrare, vendicativo. «Poiché io sono l'inviato del Budda Shakyamuni, il signore degli insegnamenti, la Dea del Sole e il grande bodhisattva Hachiman devono chinare la testa e prostrarsi davanti a me a mani giunte» (SND, 4, 59). Cosa significa? «Il messaggio essenziale di questo trattato è che il destino del Giappone dipende esclusivamente da Nichiren. [...] Nichiren è l'anima del popolo di questo paese» (Ibidem, 57-58).
Come si fa a fare propria questa affermazione? Tempi diversi, biografie dissimili: le giustificazioni plausibili, tranquillizzanti a questa impossibilità di incarnare le affermazioni più decise sono semplici da recuperare. In fondo non è che tutto il Gosho sia oro colato. Io sono io e Nichiren era Nichiren. La nostra religione/filosofia non ha precetti. Le parole per dirselo ci sono ma quella lettera è lì irrisolta, in fondo. Rimandata a una comprensione futura o espunta dal canone dei nostri Gosho preferiti. Qualcuno è legittimato a pensare che esistano Gosho comodi e Gosho scomodi, Gosho morbidi e Gosho duri. Tanto più che, come scrive Nichiren, la sua fermezza era già dissonante ai suoi tempi: «I discepoli intorno a me pensavano che fosse uno scritto troppo provocatorio, ma non riuscirono a fermarmi» (Ibidem, 58). I discepoli di allora. Figuriamoci noi oggi. Ma oggi, per essere devoti in toto di questo maestro di fede come bisogna leggere queste dichiarazioni? Non potendo, e fortunatamente o sfortunatamente non dovendo, incarnare le stesse lotte per la sopravvivenza, tentiamo una strada quotidiana. Quello che sembra emergere da Il comportamento del Budda, come da altre scritture che fanno riferimento alla ostacolata proclamazione del suo insegnamento, è che Nichiren ha una sicurezza incrollabile nella verità di esso. Per incrollabile intendiamo, nel suo caso, che non viene messa alla prova delle persecuzioni o di una sicura condanna a morte. Quindi che è a tal punto temperata come fosse un acciaio da non subire le sollecitazioni dei rigori del ghiaccio né delle fiamme. In poche parole: al mutare delle condizioni esterne, la tempra, il cuore della fede resiste, si adatta, vince. E questa è storia: persecuzioni, condanne, esili in luoghi inospitali come condanne dilazionate negli anni e nella salute. Storia di Nichiren. Qui sì biografia. Eppure se è vero che la nostra concentrazione deve andare alle cause più che agli effetti, bisogna tirare fuori la regola più che cercare l'eccezione come una fuga. E la regola è l'insegnamento: c'è una relazione tra la fermezza della propria pratica e la protezione delle divinità buddiste. La fede è la causa di un effetto, di effetti. Essere buddista vuol dire non indossare la veste sgargiante di una teoria né scimmiottare pensieri e criteri (effetti).
Essere buddista significa essere Budda, cioè recitare innanzitutto, davanti a tutto, prima di tutto, per tutto. Cioè lodare la propria natura di Budda, risvegliarla, rivelarla, attivarla, farla uscire dalla latenza (causa). E non, ancora, come in qualche caso ci accade, pensare mi posso permettere qualsiasi cosa visto che sono un Budda, quanto piuttosto sono un Budda quindi devo attivare questa causa per rivelarne esattamente la natura.

In definitiva questo Gosho pieno di prove difficili è la prova concreta di come affrontare le difficoltà. Circa due mesi fa mi sono trovato a fronteggiare delle prove difficili della mia vita: un incidente con una moto nuova nuova appena acquistata e subito mal ridotta e una macchina rovinata per causa mia, un difficile momento sentimentale, la malattia invalidante e senza cura di mia madre, un momento di crisi nel lavoro, l'esaurimento di energia determinato da sforzi prolungati in altre attività parallele. Anche in presenza di tanti effetti negativi è stato difficile pensare a trovare una causa. Come poteva essere? Ero buddista! Mi stavo sforzando nella mia vita! A ben guardare, facevo appena Gongyo mattina e sera e un po' di pratica (era diminuito il Daimoku - certi giorni zero - a causa dei tanti impegni ma con piene autogiustificazioni) e alle riunioni andavo e cercavo pure di incoraggiare gli altri con tante frasi e vecchie esperienze che mi ricordavo. Insomma a ben guardare ero ancora buddista ma non un Budda. Non più. Non meno di prima, non più: la Legge buddista è severa, non ammette dilazioni.
Dopo aver tentato la strada del vittimismo (capitano tutte a me eppure sono buddista!) ho scelto di riprovare a praticare come se mi fosse stato consigliato per la prima volta con un vademecum semplice. Prima la causa (recitare Nam-myoho-renge-kyo sforzandomi di farne più che potevo nonostante tutto ma non eliminando tutto, cercare di studiare ogni giorno una frase e di fare delle esperienze nuove con quello che mi andava capitando) e poi avrei visto degli effetti nuovi. Le cose si sono subito rimesse in moto - suona un po' ironico visto che la vespa è rimasta due mesi a riparare - e mi sono molto tranquillizzato, rafforzato e ora affrontavo le cose con grande decisione, fermezza. Per cui, quando, appena ripresa la moto, mi è ricapitato un incidente fortunatamente senza conseguenze, ero forte abbastanza per affrontarlo da Budda e non da buddista e da quel momento anche la malattia di mia madre non è stata invalidante anche per me oltre che per lei e sono riuscito a trasmettere a lei e a mio padre, che la cura da vicino, il mio sostegno. Al lavoro solo alcune cose sono migliorate ma quelle ancora in corso non sono frustranti, né mi fanno sentire in predicato di sconfitta. Insomma il lavoro del Budda sono le azioni del devoto. Ecco perché non esistono Gosho di primavera e Gosho invernali come non esistono circostanze difficili o peggio impossibili. Esiste un'unica grande partita col karma che si profila a volte con un terreno ostico e che quindi richiede equipaggiamento più pesante e lentezza e, altre volte, con pianure sconfinate che stimolano alla velocità, al non perdere tempo. Quali che siano i tratti di strada esiste la strada intera, vista in un profilo definitivo e totale. Il suo denominatore comune è detto ancora da Nichiren: «Fintanto che una persona non cerca di uscire dal ciclo di nascita e morte e non aspira al veicolo del Budda, il demone veglierà su di lui come un genitore» (Ibidem, 53-54).

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E io che c'entro con questo Gosho?

Una nuova leggerezza

Quando mia sorella Rita mi convinse a praticare era il 1979, e ventisette anni dopo le sono ancora grata per aver conosciuto la Soka Gakkai. Può suonare retorico ma se non avessi praticato in modo costante il Buddismo di Nichiren, non avrei mai scoperto, per come ero io allora e per come era ormai impostata la mia vita, che si può trovare il lavoro adatto a sé, che si possono ricucire legami familiari interrotti, che nonostante non si fosse mai presa in considerazione l'idea ci si improvvisa in poco più di un anno moglie e madre di due gemelli, che si comincia ad acquistare fiducia, coraggio e speranza proprio nei momenti più difficili e dolorosi, inevitabili quando ci si trova faccia a faccia col proprio karma. Ho soprattutto imparato ad assumermi delle responsabilità, senza paura del giudizio o di sbagliare.
Ma questa è una scoperta recente.

Per molti anni avevo associato all'idea della responsabilità quella di adesione a modelli esemplari, col risultato che l'ansia da prestazione era più forte della compassione per gli altri e sostituivo la qualità del mio impegno con una attività buddista esagerata in termini di tempo, che a volte mi portava a girare a vuoto, senza scopi chiari o meglio con scopi indotti che non erano del tutto miei. C'era più senso del dovere che gioia.
Poi, due anni fa, sono entrata in crisi in modo consapevole. Lo scollamento tra quello che percepivo dentro di me e quello che dimostravo all'esterno era arrivato all'apice. Non condividevo alcune indicazioni che mi arrivavano dai miei responsabili e non potevo fare finta di niente. Avevo provato a tirare fuori i miei veri sentimenti e scambiare parole in sincerità con alcune persone che erano state per me punti di riferimento da anni, ma non ero stata compresa, anzi. Non sapevo più di chi potermi fidare. Leggendo il Gosho, mia unica fonte di incoraggiamento, non trovavo altro che frasi in cui Nichiren diceva di non creare divisioni e disarmonie tra i credenti, di mantenere l'unità evitando di prendere le parti. Non sapevo più cosa fosse giusto fare.
È stato un periodo buio. Dovevo approfondire la mia pratica e il mio essere buddista. Ero sola. Già altre volte mi ero trovata a dover prendere decisioni senza il consenso di nessuno, riguardo alla mia vita personale o in famiglia, e avevo sperimentato che la strada me la faceva vedere il Gohonzon e nessun altro. Ma in questo caso era più difficile perché tutto vacillava. Dovevo ritrovare un legame con il Gohonzon più forte. Così, con fatica, sono andata avanti.
Poi, a un certo punto, il cerchio di relazioni umane si è cominciato ad allargare di nuovo. Mi sono trovata con un piccolo gruppo di corresponsabili a tirare fuori quello che avevo da dire senza paura e senza aspettare approvazioni, eliminando ruoli e gerarchie, scoprendo solo allora che tanti altri avevano condiviso la mia stessa sofferenza. Finalmente mi sentivo di nuovo ascoltata e in grado di ascoltare. Da lì tutto è cambiato. Potevo ricominciare.
Ho iniziato a sentirmi libera di impostare la mia attività secondo quello che ritenevo giusto in termini di tempo, senza sentirmi in colpa - sentimento molto noto fra noi - se dicevo, ad esempio, oggi non posso andare a una riunione perché sto a casa con i miei figli. Fidandomi più di me stessa, non ho più avuto timore di dire quello che pensavo.
L'effetto di questo "scegliere ogni volta" mi ha portato naturalmente a desiderare di stare con gli altri, ma in modo più spontaneo, scoprendo e accettando i miei e i loro difetti, senza più manuali di comportamento cui aderire. L'attività quotidiana è diventata ora una cosa che scelgo io, una cosa assolutamente naturale, che riempie, completa e dà valore a giornate comunque divertenti, interessanti e con grandi progetti per il futuro.
Questa rinnovata leggerezza ha prodotto in famiglia un grosso risultato: infatti l'anno passato in primavera, a un mese di distanza l'una dall'altro, i miei figli hanno deciso di ricevere il Gohonzon e oggi Marta è a Trets e Andrea sabato farà il primo turno di soka-han. Hanno tanti amici fra i giovani e alcuni stanno cominciando a praticare. Mi sembra di essere tornata alla freschezza dei primi tempi della pratica.

In questi giorni si è conclusa la mostra I semi del cambiamento sulla Carta della Terra (il documento approvato dall'UNESCO per il rispetto delle comunità viventi, l'integrità ambientale, la giustizia sociale ed economica e la democrazia della nonviolenza e della pace) che io e Simona abbiamo organizzato insieme agli educatori e ai praticanti del mio quartiere, con l'aiuto di cinquanta persone per l'accoglienza, l'allestimento, la guida all'interno della mostra. Per la prima volta non ho aspettato che altri mi spingessero - o mi autorizzassero - a prendermi pienamente la responsabilità di questo evento, ma lo ho fatto autonomamente, passando dal dover fare al decidere di fare.
Il risultato è stato che, grazie a una meravigliosa collaborazione nata fra tutti, in dieci giorni quasi duemila persone del quartiere hanno conosciuto la Soka Gakkai e le sue iniziative sulla Carta della terra, documento che il presidente Ikeda vuole far conoscere a livello mondiale.
Oggi penso che, se ci si accetta, una pratica costante porti a essere semplicemente se stessi e a vivere con gioia.

(Cristina Satta)

Fino in fondo

Fai Daimoku fino in fondo. Dicono. Non smettere. Non importa cosa succede nel frattempo, se tutto sembra crollare. Ma io non ce la faccio più. Sapevo che quando si cerca di tirare fuori la Buddità qualcosa dentro e fuori di noi fa di tutto per lasciarla dove si trova. Ma questa volta i tempi si sono allungati a dismisura e avere pazienza mi sembra una scusa per non ammettere che il Daimoku funziona sì, ma solo per certe cose. Però continuo, anche se non ho la minima percezione che la mia Buddità sta proprio in questo gesto di continuità. E mentre sono davanti al Gohonzon mi rendo conto che andare fino in fondo non è questione di tenacia ma di fede. Nessuno conosce la profondità del proprio karma. Il tempo che occorre per cambiarlo. Ma so anche che il tempo non esiste, che il karma non è il problema che mi perseguita ma i meccanismi con cui la mia mente lo affronta. So che non si manifesta nell'obiettivo che non riesco a raggiungere ma nel modo in cui batte il mio cuore per realizzarlo.
E allora provo a dimenticarmi del tempo e del karma e mi metto davanti al Gohonzon fino a quando la mente torna a essermi amica, e non ho più paura. Non mi alzo fino a quando sento che ce la posso fare, che sono più grande del problema, i desideri diventano leggeri e il mio cuore riprende a battere, fino a quando le mie strategie si esauriscono e non resta che affidarmi.
Recito fino al momento in cui ciò che voglio si trasforma in una decisione e la decisione in una promessa. Continuo fino a sentirmi bene in mezzo alla tempesta, fino a quando il timone non ritorna nelle mie mani. Non mollo fino a quando non ho trasformato le mie tendenze. Se non sono capace di accettarmi, mi accetto. Se non ho capito cosa significa kosen-rufu, lo capisco. Pratico fino a quando non scelgo la vita, imparo a volermi bene e riesco a toccare il cuore degli altri. È certo che vinco nell'attimo esatto in cui un Nam del mio Daimoku riesce a bucare il fondo dell'oscurità e liberare la mia fragranza. Allora mi accorgo che non esiste nessun fondo ma solo una potenzialità illimitata che mi fa sentire totale e appagata così come sono. Ora il problema non esiste più, l'obiettivo è un dono e per questo si realizzerà. E io sono pronta a riprendere il viaggio sapendo che niente mi potrà più fermare, nemmeno la morte, perché ho sperimentato che il mio personale impossibile può diventare possibile e che la felicità non è uno stato di grazia ma una conquista. E ho provato, molto più banalmente, quanto appagante e incredibilmente leggera sia la fatica. Che per una persona pigra e incostante come me, non è una cosa da poco!

(Elena Gamba)

Cause apparentemente piccolissime ...

Quando a Capodanno del 2005 venni a sapere che i giovani della Soka Gakkai avevano lo scopo di portare almeno due amici a ricevere il Gohonzon entro il maggio di quell'anno, per la prima volta accettai la sfida di realizzare un obiettivo apparentemente impossibile. Misi da parte la paura e decisi di crederci fino in fondo: era un desiderio puro, non poteva non realizzarsi.
Il 26 febbraio 2006 Margherita ha ricevuto il Gohonzon: era la quinta, tra i miei amici, a partire da quel Capodanno. Normalmente sono io a portare dei doni in tali occasioni, invece questa volta è stata lei a farmi un regalo. Nel biglietto c'era scritto: «Questo giorno è arrivato perché ci sei stata tu nella mia vita, perché è guardando e sentendo il tuo sole che ho deciso di risvegliare il mio».
Riflettendo su tutto ciò ho capito tante cose: innanzitutto il bigliettino di Margherita era la prova di quanto è importante la mia crescita personale per riuscire a propagare il Buddismo in maniera "naturale". Inoltre da quando ho smesso di preoccuparmi del fatto che le persone a cui avevo parlato della pratica iniziassero subito a praticare o decidessero di ricevere il Gohonzon, e mi sono fidata della purezza del mio desiderio, gli effetti si sono manifestati immediatamente.
Ho capito che la vera sfida è quella di riuscire a intuire il modo per arrivare al cuore di una persona. Quando grazie al Daimoku mi apro al vero ascolto dell'altro, la sua Buddità si riflette nel mio desiderio sincero e riesco a capire qual è l'azione giusta da fare.
Più che fare vistosi sforzi, ho mantenuto un impegno costante nel mettere cause anche apparentemente piccolissime per coltivare queste amicizie, come un libro o una rivista in regalo, un invito informale o addirittura un sms. E queste azioni hanno prodotto dei risultati straordinari, perché nascendo dal sincero desiderio che le persone diventino felici, hanno ricevuto il sostegno di tutti i Budda dell'universo!
Ora voglio sperimentare questo tipo di pratica in ogni aspetto della mia vita, cioè realizzare tutti i miei obiettivi come conseguenza di una fede libera dal dubbio, dalla paura e dalla preoccupazione.

(Blu Lepore)

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Il comportamento del Budda

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