La religione del XXI secolo: ogni essere umano è degno di rispetto. Lezione sul Gosho L'apertura degli occhi

La non dualità di maestro e discepolo - Impariamo dai romanzi La rivoluzione umana e La nuova rivoluzione umana

Nel Buddismo l'atteggiamento di "non lesinare la propria vita" è considerato fondamentale. C'è chi lo interpreta come sacrificio o rinuncia a se stessi. Qual è il suo significato corretto? Come possiamo metterlo in pratica e spiegarlo a chi sta iniziando a praticare?

Dedicare la propria vita senza lesinarla è un tema molto importante nel Buddismo.
Bisogna fare una premessa fondamentale: il Daishonin ne parla sempre come di un fatto che lo rende felice. Per lui, prima di tutto, è un atto gioioso. Riportiamo alcuni brani de L'apertura degli occhi che testimoniano quanto detto: «Più le autorità si accaniscono contro di me, più grande è la mia gioia» (RSND, 1, 216); «Attualmente l'uomo più ricco del Giappone sono io, Nichiren. Ho dedicato la mia vita al Sutra del Loto e il mio nome sarà tramandato alle generazioni future» (RSND, 1, 242); «Per quello che io ho fatto sono stato condannato all'esilio, ma è una piccola sofferenza da sopportare nell'esistenza presente. Nelle vite future godrò di immensa felicità, un pensiero che mi riempie di grande gioia» (RSND, 1, 261).
E ancora: «Udendo ciò, mi rallegrai dicendo che da tempo mi aspettavo che saremmo arrivati a questo. Nel passato, il ragazzo delle Montagne Nevose offrì il suo corpo per imparare metà di un verso, il Bodhisattva Sempre Dolente vendette il suo corpo, il ragazzo Buoni Tesori si gettò nel fuoco, l'asceta Colui che aspira alla Legge si strappò la pelle, il Bodhisattva Re della Medicina si bruciò le braccia, il Bodhisattva Mai Sprezzante fu colpito con verghe e bastoni, il Venerabile Aryasimha fu decapitato e il Bodhisattva Aryadeva fu ucciso da un non buddista [tutto a causa della loro devozione al Buddismo]» (Le azioni del devoto del Sutra del Loto, RSND, 1, 678); «Tra tutti coloro che sin dall'inizio del nostro attuale kalpa sono incorsi nella disapprovazione dei propri genitori e dei propri sovrani e sono stati esiliati in terre lontane, nessuno può traboccare di gioia quanto noi» (Risposta a Sairen-bo, RSND, 1, 278).
Perché Nichiren Daishonin, che sta subendo queste grandi persecuzioni e si trova in pericolo di vita, dichiara di essere così gioioso? In tali condizioni sarebbe più che naturale essere infelici.
Nell'espressione fu shaku (non lesinare) non c'è nessuna accezione che rimandi ad "agire a malincuore, controvoglia, con infelicità". Non lesinare significa l'opposto, significa vivere la propria vita basandosi sulla Legge.
Quando, nonostante le preoccupazioni e le sofferenze, gettiamo via l'attaccamento al nostro piccolo io, il nostro essere si apre e comincia a basarsi sul grande io. Questo ci permette di manifestare una condizione vitale vasta come l'universo che permea le tre esistenze di passato, presente e futuro. È una condizione in cui si è sereni e totalmente liberi. E, nella nostra vita limitata, il fatto di poter sperimentare questa condizione di eternità ci rende assolutamente felici.
Dare la vita non significa, quindi, gettare la propria vita o trattarla con superficialità, bensì utilizzarla per proteggere la Legge, cioè vivere per il bene della Legge.
Cosa sta a indicare per i giovani della Soka Gakkai l'atteggiamento di non lesinare la vita per la Legge? Nell'epoca attuale vuol dire continuare ad abbracciare il Buddismo e metterlo in pratica, vivendo il più a lungo possibile per mostrarne la prova concreta. Questo è il significato di non lesinare la vita dal punto di vista dei discepoli. Per tutti noi significa vivere anche un giorno in più e mostrare la grandezza di questo Buddismo. È proprio perché basiamo la nostra vita sulla Legge che dobbiamo vivere con tenacia fino alla fine e provare la grandezza di una simile vita.
Infine, lo spirito di non lesinare la vita non è qualcosa da spiegare agli altri. Possiamo solo esserne un esempio, sperimentandolo in prima persona conducendo una vita gioiosa basata sulla Legge mistica.

Qual è, nel Buddismo, il vero significato di compassione? Cosa significa aiutare qualcuno dalla prospettiva buddista?

La parola giapponese jihi, che traduciamo con compassione, non ha un corrispondente esatto in altre lingue. Alla base della compassione buddista c'è lo spirito di condividere la sofferenza, il dolore, di sentire la sofferenza altrui come propria e affrontarla insieme. Questo è lo spirito del Buddismo mahayana.
Per approfondire il concetto di compassione buddista, la premessa è che non esiste essere umano che non possieda la natura di Budda. La causa fondamentale della sofferenza è il fatto di non essere consapevoli di ciò e di non conoscere il mezzo per manifestare questa natura inerente alla propria vita. Lo spirito fondamentale della compassione è quindi quello di condividere il mezzo per far emergere la natura di Budda.
Tsunesaburo Makiguchi ha parlato di tre tipi di bene: piccolo, medio e grande. Se abbiamo davanti una persona povera e senza lavoro, come prima cosa possiamo offrirle del cibo (piccolo bene, non potremo offrirle da mangiare per sempre). Poi possiamo cercare insieme un lavoro, in modo che possa condurre una vita dignitosa (medio bene, ma non vuol dire che il suo problema fondamentale, che ha causato tale situazione, si sia risolto). Infine possiamo insegnarle a praticare il Buddismo (grande bene). Grazie alla pratica, questa persona riacquisterà la forza di vivere, la capacità di superare le difficoltà e trasformare il suo karma: questo è il punto chiave. Per questo motivo fare shakubuku è condividere il bene supremo.
La nostra funzione compassionevole è aiutare le persone a diventare indipendenti affinché possano costruire un magnifico stato vitale con le proprie forze. Questo stato vitale non viene dato da qualcuno, ma emerge dalla vita stessa.
In questo senso, quando nel Buddismo si parla di "salvare gli altri" non si intende elargire aiuto dall'alto della propria condizione vitale, piuttosto far sì che l'altro diventi in grado di manifestare la forza di vivere che possiede intrinsecamente e così salvarsi da solo. La compassione si esprime nel dialogo cuore a cuore. Noi utilizziamo l'espressione "salvare il genere umano", ma ciò vuol dire in concreto agire considerando un tesoro la persona che abbiamo di fronte. La vera compassione è quella rivolta a una singola persona: è impossibile dedicare la stessa vera compassione a un numero indeterminato di individui nello stesso momento.
E, prima di tutto, dobbiamo partire da noi. Facciamo alcuni esempi. Sull'aereo, in caso di emergenza, gli adulti devono indossare per primi le maschere per l'ossigeno e poi aiutare i bambini a farlo. Durante un'epidemia, il medico deve prima vaccinare se stesso e poi assistere gli ammalati.
La cura degli altri non ha mai fine, per questa ragione è bene che ognuno si prenda cura prima di tutto di se stesso. Il Buddismo non contempla lo spirito di sacrificio.
Quando ci sforziamo di aiutare le persone che soffrono ascoltandole e cercando di condividere la loro sofferenza, a volte finiamo per cadere anche noi nel dolore. In questo caso la strategia fondamentale è recitare Daimoku per elevare la nostra condizione vitale. La nostra condizione vitale indica la misura, la capienza, lo spazio del nostro cuore. Se la mia condizione vitale ha la capienza di un bicchiere non ci posso versare l'acqua contenuta in un secchio! Però, se perseveriamo nella fede elevando sempre di più la nostra condizione vitale, il nostro cuore da piccolo diventa sempre più grande.
Infine, coloro che agiscono per salvare gli altri dalla sofferenza non sono soli: nella Soka Gakkai ci sosteniamo reciprocamente e lottiamo per aiutarci a vicenda. A questo serve l'organizzazione.
L'obiettivo del Buddismo non è creare degli esseri sovrumani. Al contrario, kosen-rufu significa far crescere e sviluppare sempre più persone di valore disposte a dedicarsi a salvare altre persone. Questa è la strada più breve per salvare quante più persone possibili. Va benissimo avanzare un passo alla volta. Ciò che conta è perseverare tutta la vita nel mettere in pratica la compassione del bodhisattva, considerando un tesoro la persona che abbiamo di fronte.
Tutto questo non è nulla di straordinario, è una spiegazione dal punto di vista dottrinale di ciò che i membri della Soka Gakkai mettono in pratica da sempre. Questo è ciò che ci insegna il maestro.

Con riferimento a Shin'ichi, ne "La rivoluzione umana" si legge: «grazie a quella lotta intensa, in cui aveva profuso gli sforzi di milioni di kalpa in ogni singolo istante, era stato in grado di far sbocciare le sue capacità e il suo senso di missione». Cosa si intende per "sforzi di milioni di kalpa in ogni singolo istante?

Nella Raccolta degli insegnamenti orali il Daishonin afferma: «Se in un singolo istante di vita esauriamo le sofferenze e gli sforzi di milioni di kalpa, allora istante dopo istante sorgeranno in noi i tre corpi del Budda di cui siamo eternamente dotati. Nam-myoho-renge-kyo è proprio una tale pratica diligente» (BS, 124, 56).
L'espressione "milioni di kalpa" indica un arco di tempo lunghissimo, incalcolabile. Questa frase significa concentrare gli sforzi di tale periodo di tempo in un singolo istante di vita.
Concentrare in un singolo istante gli sforzi di milioni di kalpa riguarda la profondità e la sincerità della nostra determinazione. Significa mettere tutto il nostro essere nella nostra decisione, nella nostra sfida; non c'è limite alla profondità, alla forza e al potere della nostra preghiera. Significa approfondire la nostra vita oggi più di ieri e domani più di oggi, affrontando questa impresa con il Daimoku, quel Daimoku che non abbiamo mai recitato prima. Attraverso questo tipo di preghiera possiamo dire di star esaurendo le sofferenze di milioni di kalpa in un singolo istante di vita.
Ci potremmo chiedere: se fossimo in grado di concentrarci così, forse ci basterebbe recitare un solo Daimoku. Ma il fatto è che, per riuscire ad avere una preghiera così intensa in ogni singolo istante, è necessario recitare tanto Daimoku. A tale proposito, spesso ci chiediamo se sia più importante la quantità di Daimoku o la qualità. La risposta è: entrambe. Una preghiera profonda è fondamentale, ma dato che ci vuole allenamento per essere in grado di raccogliere gli sforzi di milioni di kalpa, recitando tanto possiamo migliorare la qualità della nostra preghiera e renderla profonda e concentrata in ogni singolo istante.
Quando recitiamo un Daimoku sincero, esprimendo le nostre preghiere davanti al Gohonzon con tutto quello che abbiamo nel cuore, possiamo dire di star esaurendo le sofferenze di milioni di kalpa in un singolo istante.
Questo brano della Raccolta degli insegnamenti orali è citato in vari punti cruciali de La rivoluzione umana e La nuova rivoluzione umana, Sensei lo ha imparato dal presidente Toda all'inizio della sua pratica ed è uno di quelli che ama di più.
È importante fare esperienze in cui possiamo dire di aver recitato con così tanta sincerità da aprire la nostra condizione vitale come se avessimo esaurito gli sforzi di milioni di kalpa in un singolo istante di vita. Quanto più continueremo a fare esperienze di questo genere, tanto più la nostra vita sarà grande e ricca di benefici.

Come dovremmo interpretare l'affermazione di Shin'ichi: «Io adesso esisto per il mio maestro»? Sembra in contraddizione con quanto sottolineato nella lezione, dove si evidenzia l'importanza delle individualità di maestro e discepolo e la separazione delle due entità.

Questa è una domanda inevitabile per comprendere correttamente il concetto di non dualità di maestro e discepolo. Proviamo a sostituire, nella frase sopra citata, a "il mio maestro" l'espressione "il Buddismo, la Legge". Comprendiamo allora che il senso di questa frase è lo spirito di dedicare la vita al bene del Buddismo.
In generale la pratica di una religione, la preghiera in particolare, è un percorso che gli esseri umani intraprendono per creare una connessione tra se stessi e una sfera universale più grande. A seconda delle religioni, questa sfera universale può essere rappresentata come un regno trascendente, al di sopra dell'essere umano, o anche come un luogo specifico.
Nel Buddismo di Nichiren Daishonin questa sfera universale viene identificata con la Legge mistica. Dedicare la vita a questo regno immenso non vuol dire però che l'identità personale si fonda in esso e che la nostra individualità vada perduta. Infatti questo mondo immenso, oltre a essere la Legge dell'universo, esiste anche in ognuno di noi, ne siamo tutti entità. La nostra pratica buddista della recitazione del Daimoku è quindi rivolta simultaneamente al grande universo che trascende la vita e al grande universo insito in ognuno di noi, cioè alla natura di Budda intrinseca nella nostra vita. La recitazione di Nam-myoho-renge-kyo ci permette di risvegliare questo universo infinito inerente alla vita e di manifestarlo come stato vitale.
Sostituiamo di nuovo alla parola "Legge" la parola maestro, perché il maestro, nel Buddismo di Nichiren Daishonin, è una cosa sola con la Legge. Shakyamuni, Nichiren Daishonin e i tre presidenti della Soka Gakkai rappresentano e incarnano lo spirito del Buddismo nella loro vita. Quando viviamo come loro, prendendoci cura di ogni persona affinché possa risvegliare la sua natura illuminata, riusciamo a far emergere la grandiosa vita del Budda insita nella nostra stessa vita. Esprimendo il suo sentimento: «Io esisto per il mio maestro», Sensei stava rivelando questo stato vitale grandioso, così come aveva fatto Toda dedicando la sua vita alla Legge, e sentiva un grande senso di pace.
Bisogna aggiungere che il Buddismo di Nichiren Daishonin non si concentra sulla ricerca di questo io immenso, ma è un processo per aprire la vita a esso. Paragonando il conseguimento della Buddità alla vetta di una montagna possiamo notare che, a differenza di altre discipline che insegnano la strada per salire gradualmente fino alla cima, la pratica del Buddismo di Nichiren Daishonin ci porta subito in vetta, ma poi ci incoraggia a scendere nuovamente nella realtà della vita per lottare insieme agli esseri comuni. Quando recitiamo Daimoku e facciamo emergere la Buddità siamo infatti già sulla vetta della montagna, con una vista meravigliosa, e forse vorremmo rimanerci per sempre. Ma il Buddismo del Daishonin va messo in pratica nella vita reale! Se tutti dovessimo rimanere nel mondo di Buddità sarebbe difficile salvare ad esempio chi sta nel mondo di Inferno: noi non andiamo nel mondo di Inferno per soffrire ma per realizzare kosen-rufu, per creare questa trasformazione lì, nel mondo della sofferenza. Nella lotta per trasformare la realtà ognuno ha la sua peculiare missione, è insostituibile. Lottare nel mondo reale per kosen-rufu vuol dire far risplendere la propria individualità usando tutti i dieci mondi, mobilitando tutto il proprio essere.
Questa citazione de La rivoluzione umana, «Io adesso esisto per il mio maestro», è l'inizio della storia. Sensei si mette nei panni del maestro e inizia a lottare per realizzare kosen-rufu nel mondo reale. E in questo modo fa brillare la sua individualità. La determinazione di dedicare la vita al maestro aprirà la nostra vita in maniera inimmaginabile. Le persone che prendono la decisione di sforzarsi in questo senso stanno lottando al fianco di Sensei.

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Domande

«La grande visione del maestro può rimanere pura illusione se non c'è un discepolo che la realizza» (Daisaku Ikeda).
Come le due rive di un fiume sono diverse ma seguono lo stesso percorso quasi fossero un'unica cosa, così è per il maestro e discepolo: hanno personalità differenti ma camminano sulla stessa strada

Dal Corso estivo europeo di studio 2017

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