«Affido a voi discepoli la buona riuscita della riunione dei responsabili di centro che si svolgerà domani. È giunto il momento in cui vi assumiate la completa responsabilità della Soka Gakkai: il suo futuro si decide adesso. Piuttosto che contare su di me dovete agire voi. Io continuerò a proteggervi, perciò con serenità raccogliete le vostre forze e portate avanti il movimento di kosen-rufu». Dopo aver letto queste parole di Ikeda, il presidente della Soka Gakkai Minoru Harada ha commentato: «Non possiamo più permetterci di appoggiarci al nostro maestro. È arrivato il momento, per noi discepoli, di prendere l'iniziativa in prima persona. Sensei ci ha insegnato a lottare, trasmettendoci tutta la sua esperienza. Attraverso le dure sfide che ha affrontato in gioventù ci ha mostrato fin nei minimi particolari come deve lottare un vero discepolo. D'ora in poi tutto dipende da cosa faremo noi, i diretti discepoli dell'insegnamento essenziale, da come metteremo in pratica le sue indicazioni. È giunto il momento di lottare e agire».
Dal quotidiano Seikyo Shimbun del 9 giugno 2010

La prospettiva di questo speciale è quella del discepolo. Si apre con la storia di Nikko, che alla morte del Daishonin assunse su di sé la responsabilità di perpetuare l'insegnamento del maestro. Una vicenda che ha molto in comune con l'impresa della Soka Gakkai e dei suoi tre presidenti,
che settecento anni dopo hanno lottato strenuamente per ristabilire il vero significato del Buddismo di Nichiren come religione per la felicità dell'intera umanità. Ora tocca a noi. Siamo pronti?

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Affido a voi

Dedicato a Nikko Shonin

Cogliere l'intenzione del maestro e farla propria: Daisaku Ikeda, attraverso il racconto della campagna di Osaka del 1956, trasmette lo spirito e il comportamento di un discepolo autentico

Il racconto della campagna di Osaka del 1956

«Nel corso della campagna del 1956 Josei Toda inviò in varie parti del paese molti dei suoi discepoli, che aveva istruito personalmente per lungo tempo. Per lui questa fu la prima occasione per verificare se i suoi discepoli avessero compreso profondamente il concetto della non dualità di maestro e discepolo. [...] È essenziale che l'intenzione del maestro pulsi nella vita del discepolo, così che egli agisca in modo autonomo, perché soltanto in questa circostanza il legame fra maestro e discepolo è raffinato al punto che le due persone si fondono in una sola. La linfa vitale che scorre fra maestro e discepolo è l'energia fondamentale che lega i due. Per conseguire questa condizione, il discepolo prima di tutto deve cogliere il punto focale da cui deriva l'intenzione profonda del maestro, dopo di che deve farla propria. Questo è un processo difficile, che può essere compiuto solamente attraverso una forte fede. La sorgente del potere di entrambi, maestro e discepolo, ovviamente non risiede altro che nel Gohonzon.
Shin'ichi Yamamoto aveva affrontato risolutamente il compito difficile che lo attendeva e lo portò a termine. Nei mesi precedenti all'avvio della campagna di Osaka si era fatto carico dell'incredibile sforzo necessario per riuscire a manifestare la non dualità di maestro e discepolo nelle sue azioni.
Molti discepoli fuggono davanti a simili difficoltà. Non è che abbiano intenzione di andare contro la volontà del maestro, ma hanno una comprensione superficiale di questo legame. Così, trovandosi a dover affrontare difficili circostanze, alcuni si sentono in preda al panico e si limitano a ripetere meccanicamente le parole del maestro alle altre persone, senza farle prima di tutto cosa propria. Altri invece, sebbene siano perfettamente a conoscenza delle intenzioni del maestro, decidono che si trovano davanti a una circostanza particolare e cercano con impazienza di adattarsi a essa utilizzando mezzi superficiali e avvalendosi di una saggezza che non deriva dalla fede. Discepoli di questo tipo non sono in grado di capire che così facendo distruggono il flusso della linfa vitale che scorre tra maestro e discepolo.
Solo quando il risultato della sincera preoccupazione del discepolo coincide col pensiero del maestro la linfa vitale della fede comincia a scorrere come un torrente inarrestabile. È abbastanza semplice per un discepolo seguire le parole del maestro in modo meccanico, ma è raro che un discepolo consegua la condizione vitale e mentale in cui è in grado di cogliere perfettamente l'intenzione del maestro e di basarsi sulla stessa fonte di motivazione. Tuttavia la non dualità di maestro e discepolo dipende essenzialmente dal fatto di compiere questo difficile processo.
Sette secoli orsono Nikko Shonin continuò a servire il Daishonin con una devozione ineguagliata. Fra tutti i preti anziani fu l'unico capace di manifestare la non dualità di maestro e discepolo e ciò dipese dal fatto di aver dedicato l'intera vita a ricercare questo difficile percorso. In questo risiede l'elemento cruciale: gli altri preti anziani, considerando la relazione fra maestro e discepolo in modo ordinario, alla fine si rivoltarono contro il loro maestro, mentre Nikko coltivò la non dualità di maestro e discepolo e quindi protesse il flusso eterno del Buddismo del Daishonin. Il suo merito è ampiamente dimostrato dalla storia di sette secoli che l'insegnamento del Buddismo di Nichiren può vantare.
Indubbiamente la non dualità conseguita da Josei Toda e Shin'ichi Yamamoto costituì il nucleo intorno al quale la Soka Gakkai è potuta crescere fino a oggi. Nel 1956 quel nucleo era ancora invisibile, celato dal rapido flusso di crescita dell'organizzazione. Ma ii successi conseguiti a Osaka diedero modo di notare che la non dualità di maestro e discepolo effettivamente poteva portare a risultati incredibili» (La rivoluzione umana, vol. 10, pp. 81-83).

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Settecento anni dopo...

Senza discepolo non esiste maestro

In prima persona

In prima persona

È sempre stato difficile, per me, comprendere in che modo concetti astratti come pace nel mondo e felicità dell'umanità, in definitiva kosen-rufu, potessero riguardare la mia vita privata. Con naturalezza, per anni, ho recitato Daimoku e ottenuto benefici realizzando i miei scopi personali, sentendo, però, la mia vita scollegata da questi ideali che a mio giudizio erano poco concreti. All'improvviso poi, dopo anni di pratica, è arrivata un'emozione, una passione, un legame: la relazione tra maestro e discepolo. Ho sentito di volere bene a un uomo che pur non conoscendomi personalmente mi incoraggiava da anni a essere felice, e aveva sempre parole di lode da spendere anche per me. E allora la decisione è sgorgata dal mio cuore: realizzerò tutto quello che mi chiede. Ma cosa mi chiede? «Giovani affido a voi lo sviluppo di kosen-rufu», la pace nel mondo e la felicità di tutta l'umanità, e di nuovo mi ritrovo a dover fare i conti con un ideale che nella mia vita non sente nessuna concretezza. Come faccio a realizzare la promessa che ho sentito scaturire dal mio cuore?
Comincio a cercare negli scritti di Daisaku Ikeda il nesso tra la mia felicità e quella degli altri, le relazioni tra la mia vita e la pace nel mondo, certa che Sensei mi sarebbe stato sempre vicino, che con la sua presenza mi avrebbe indicato sempre la strada. Poi la doccia fredda: Sensei non ha partecipato alla riunione di giugno. Ho sentito un tonfo al cuore. Sono sola, con la responsabilità di kosen-rufu, della pace nel mondo, è troppo per me, senza di lui ce la farò? Non sono pronta per il momento cruciale.
Le sue parole mi tornano alla mente: «Giovani combattete per la giustizia, affermate la verità». Ma che cosa significa? Alla Consulta nazionale, riunitasi il 3 e 4 luglio scorsi, arriva la spiegazione. La verità non è altro che affermare che tutte le persone hanno la natura di Budda, giustizia significa continuare a lottare per affermare questa verità. Tsunesaburo Makiguchi finì in carcere per aver trasgredito agli ordini del governo, ma se Josei Toda non avesse lottato per affermare la giustizia, per difendere l'idea buddista - sostenuta da Makiguchi - del rispetto per la dignità della vita di tutte le persone, il suo maestro sarebbe stato ricordato solo come un trasgressore della legge: questa è la vittoria del discepolo Toda. Ikeda ha lottato per la giustizia, poiché in ogni istante ha fatto in modo che il suo maestro Toda fosse ricordato dal mondo come un grande realizzatore di pace e non cadesse nell'oblio della storia: questa è la vittoria del discepolo Ikeda. Ad oggi non sappiamo se la giustizia di Ikeda sarà affermata, questo dipende solo da me, da quanto io, in ogni istante della mia vita, lotto con Ikeda per dimostrare la mia e l'altrui Buddità.
E allora finalmente kosen-rufu si coniuga con la mia vita privata, con la mia felicità e quella degli altri nella mia famiglia, nel mio lavoro, tra i miei amici. Questa è la mia vittoria. Questa è la lotta di maestro e discepolo. Questo è kosen-rufu.
Alla fine del discorso inviato alla riunione di centro alla quale non ha partecipato, Sensei ci chiede il resoconto delle nostre vittorie. Nel mio cuore il cerchio si chiude: è vero che la mia vita è kosen-rufu!
(F. M.)

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Alla ricerca del nesso concreto

In prima persona

In prima persona

La mia relazione con Sensei ha a che fare con la vita e la morte, col vivere o non vivere; spesso ho paura di parlarne e di sembrare un po' matta. Ho iniziato a praticare a vent'anni e il mio più grande beneficio è stato proprio incontrare Sensei poco dopo; si è trattato di un incontro a livello di vita profonda, durante un corso europeo della Divisione studenti. Fino a quel momento avevo vissuto con la profonda e radicata convinzione di essere fondamentalmente inutile; la mia debolezza e la mia insicurezza rasentavano l'esasperazione e ogni aspetto della mia vita, il lavoro, le relazioni o l'università - alla quale mi ero iscritta poco dopo aver cominciato a praticare - manifestava disprezzo per me stessa, ansia e autodistruttività. In poche parole l'immagine che avevo di me era di una persona di valore poco o nullo e di una perdente cronica, a prescindere dalle vittorie che ottenevo "nonostante" me.
L'incontro con il cuore del mio maestro mi scosse fino al midollo, con la sua fiducia e il suo calore; era come se Sensei mi urlasse: «Giulia, non sei inutile; la tua vita non solo è importante, ma se tu non diventi felice nessun altro potrà diventarlo!». Da quel giorno, in tutti i momenti più duri della mia vita - provata da un disturbo dell'umore che porta alla morte sociale o fisica - nel pieno dell'oscurità lui c'è sempre stato, arrivava e mi diceva: «Alzati Giulia!! Non ti fermare, dai!».
In questo senso io devo "letteralmente" la mia vita a Daisaku Ikeda e per questo mi sforzo costantemente di ripagare il mio debito di gratitudine, consapevole che probabilmente non sarà mai abbastanza. Durante questi anni sento di aver ricevuto un allenamento personale da parte di Sensei, cercando sempre di raddrizzare il tiro quando inizio a giudicare me stessa in base a una sua ipotetica opinione - e mi creo una sorta di Maestro/Super-io - ricordandomi che non esiste al mondo persona che abbia più fiducia in me, senza riserva alcuna. Questo mi ha permesso e mi permette di sviluppare la mia identità, costruendo un "io forte come il monte Fuji", e di dare una direzione alla mia vita, per adempiere alla mia missione di diventare assolutamente felice. Negli ultimi due anni - dalla fondazione dell'Ikeda Kayo-kai - sono riuscita a realizzare cose per me impossibili, dall'agognato equilibrio emotivo fino alla recente conclusione degli studi universitari. In particolare in quest'ultima occasione sono stata in grado di sperimentare la forza costruita in questo tempo, riuscendo a gestire un feroce attacco di un professore in sede di discussione della tesi, intenzionato a umiliarmi e impedire la mia laurea; a differenza di quanto mi potessi aspettare da me, nel momento cruciale non ho vacillato neanche un secondo, il suo disprezzo non ha fatto breccia dentro di me e con estrema calma sono riuscita a difendermi e a conseguire la laurea. In seguito ho ricevuto la telefonata di un altro professore intenzionato, invece, a pubblicare la mia tesi. Sono consapevole che questa vittoria risiede nella mia decisione di andare e discutere la mia tesi come se stessi parlando con Sensei, e in questo senso rappresenta una vittoria condivisa di maestro e discepolo.
Oggi mi sto chiedendo come migliorare me stessa per essere in grado di lottare anche quando Sensei non ci sarà più. È una sfida tremendamente difficile: sento che la possibilità di essere una persona che a qualunque costo porterà avanti kosen-rufu proteggendo la Soka Gakkai e le persone comuni non può risiedere in circostanze favorevoli o in un eventuale carattere adatto, ma solo in una mia decisione.
(G. S.)

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Alzati, Giulia

In prima persona

In prima persona

«Nessuno può insegnare niente a nessuno», «Ho fatto sempre tutto da solo». Ci sono frasi che forse anni fa ho pronunciato con molta convinzione e che non credo avrò cuore di ridire più non senza distrazione e quella residua creduloneria che riserviamo a una pentola che fa prodigi di speciale antiaderenza o a chi c'indovina (tenta) il futuro. Ora penso così: «Tutti cercano di insegnarci qualcosa» (anche noi, a noi stessi e ad altri), «Ognuno è il prodotto di tanti insegnamenti che ha assorbito pur senza averne coscienza».
Recitare Nam-myoho-renge-kyo ha avuto, per me, il senso di un'operazione di orologeria semplice. Regolare sull'ora giusta le proprie lancette, sull'attimo giusto, direi, nella considerazione - sopravvenuta praticando - dell'importanza dell'istante. Prima segnavano orari improbabili e in disaccordo con quelli degli altri. Ne derivava una disarmonia profonda. Da allora si è trattato di registrare costantemente l'orario sull'orario comune. E anche questo l'ho fatto continuando a recitare Daimoku. Regolare l'orologio è la pratica incessante del Buddismo. Direi che è il Buddismo. Ma - ed eccoci al punto - a che mi è servita, a che mi serve e servirà la relazione maestro-discepolo? Nel Buddismo, fuori da ogni convenzione ma nella sua sostanza più intima, l'accordo del Tempo è sancito dalla relazione maestro-discepolo.
Ecco il tema dell'articolo "maestro e discepolo". Anzi il tema è e. La congiunzione. Il tema in definitiva - azzardo - per me è in un refuso. E lo riscrivo: la relazione "discepolo è maestro". Proprio così. La relazione maestro-discepolo funziona, opera, si realizza solo se alla semplice unione/congiunzione dei due campi semantici che percepiamo come separati - uno insegna, l'altro impara; uno più (la radice latina magis sembrerebbe portare qui), uno meno - si sostituisce l'identità cioè la non dualità. La relazione funziona se il discepolo non rimane nella sua confortevole posizione subordinata. Se applicando il senso, a volte profondo e complesso, degli insegnamenti di quello, studiandoli e cercando di farli propri nell'intenzione e nell'azione, non solo nella condivisione, diventa tutt'uno con gli stessi. Se il discepolo è (diventa) il maestro. Non sto proponendo di diventare maestri dei nostri maestri ma maestri di noi stessi discepoli. Si tratta cioè di scegliere di stare dalla parte di chi impara e non di chi ascolta, non di chi condivide e basta ma di chi mette in pratica continuamente. Maestro-discepolo è una relazione, infatti, che va al di là del tempo. Nella Risposta a Sairen-bo Nichiren Daishonin scrive: «Considerando questi passi del sutra e dei commentari, mi domando se non ci leghi un patto di maestro e discepolo da innumerevoli kalpa» (RSND, 1, 274). E ancora: «Poi, quando giungerai nella Terra della Luce Eternamente Tranquilla dove siedono i tre Budda e ti presenterai al cospetto dei Budda Shakyamuni e Molti Tesori, chiedi loro se è vero o no che noi siamo legati dal patto di maestro e discepolo sin dal passato senza inizio» (RSND, 1, 274). La relazione maestro-discepolo, concludendo, è il luogo della crescita, del miglioramento, il riferimento corretto, l'incontro da cui nascono le risposte. Qualcosa che non si può compiere da soli anche se solo noi possiamo stabilire di compiere decidendo che il punto - di arrivo e di partenza - è quello in cui si realizza la non dualità e in cui noi diventiamo maestri di noi stessi. E il tempo non può che essere ora.
(R. C.)

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L'ora giusta

In prima persona

In prima persona

È facile pronunciare orgogliosamente: «Sono discepolo di Nichiren», oppure «Ikeda è il mio maestro». Quante volte, forse un tantino superficialmente, lo abbiamo detto?! Eppure non basta leggere il Gosho o i discorsi di Ikeda, citando a memoria le frasi più famose, per potersi dire propriamente "discepoli". Condividere intellettualmente i principi esposti dal Daishonin e portati concretamente avanti dai tre presidenti della Soka Gakkai ci rende tutt'al più loro ammiratori, loro sostenitori, ma per essere discepoli, realizzando concretamente l'unità con il maestro, occorre fare un passo ulteriore decisamente meno facile. Occorre prendere una profonda decisione e metterla in pratica. Occorre "formulare un voto".
In Il mondo del Gosho Daisaku Ikeda si sofferma a lungo sulla relazione maestro discepolo. «Il Daishonin - spiega Ikeda - incita i suoi discepoli a praticare "esattamente come Nichiren" (GZ, 1859). [...] I discepoli che aspettano che sia il maestro a fare qualcosa per loro in realtà stanno seguendo gli insegnamenti precedenti al Sutra del Loto. I veri discepoli del sutra sono coloro che si impegnano esattamente quanto il maestro» (MDG, 1, 170).
L'espressione "cuore del re leone", che compare negli scritti del Daishonin, è il nucleo della relazione tra maestro e discepolo. "Non dualità di maestro e discepolo" significa portare avanti in prima persona lo spirito di Nichiren Daishonin che è il "re leone". Agendo così diventiamo "i cuccioli del re leone". Ne Le persecuzioni che colpiscono il santo Nichiren scrive: «Ognuno di voi deve raccogliere il coraggio di un leone e non soccombere di fronte alle minacce di chicchessia. Il leone non teme nessun altro animale e così neppure i suoi cuccioli. [...] I seguaci di Nichiren sono come leoni ruggenti» (RSND, 1, 885).
Spiegando questo brano Ikeda sottolinea che «la parola chiave è "raccogliere". Ognuno possiede dentro di sé il cuore del re leone. La via più rapida per ottenere la felicità è tirarlo fuori. Ed è il ruggito del leone che ci permette di tirare fuori il cuore del re leone nella nostra vita personale. Nichiren ci sta dicendo che dovremmo emettere il ruggito del leone per la giustizia, proprio come fa il maestro. È così che discepolo e maestro diventano una sola cosa e i cuccioli di leone diventano re leoni» (MDG, 1, 186).
Riguardo all'espressione "emettere il ruggito del leone" (sa shishi ku, SDL, 252), nella Raccolta degli insegnamenti orali si afferma: «Il ruggito del leone (shishi ku) è la predicazione del Budda. La predicazione della Legge significa la predicazione del Sutra del Loto, o in particolare la predicazione di Nam-myoho-renge-kyo. Il primo shi della parola shishi, o leone, [che significa "maestro"] è la Legge meravigliosa che è trasmessa dal maestro. Il secondo shi [che significa "figlio"] è la Legge meravigliosa ricevuta dai discepoli. Il "ruggito" è il suono del maestro e dei discepoli che recitano all'unisono. Il verbo sa, "emettere" o "ruggire", va interpretato col significato di dare inizio o metter fuori. Si riferisce al dare inizio a Nam-myoho-renge-kyo nell'Ultimo giorno della Legge» (Buddismo e società, n. 116, p. 55). Questo brano - spiega Ikeda - esprime la non dualità di maestro e discepolo. È l'azione di emettere, dare inizio, che è importante, perché implica un atteggiamento attivo. «I discepoli sono quelli che concretamente emettono il ruggito del leone e si battono per kosen-rufu qui e ora. La cosa importante è l'azione» (MDG, 1, 187).
(L. P.)

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Affido a voi

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