Anche quest'anno il 26 gennaio, giorno della fondazione della Soka Gakkai Internazionale, Daisaku Ikeda ha presentato alle Nazioni Unite una Proposta di pace, secondo una consuetudine che risale al 1983.
Quali sono i mali della nostra epoca e, soprattutto, quali i mezzi più efficaci per realizzare una pace mondiale duratura?
Dopo aver ribadito l'importanza primaria dell'abolizione totale delle armi nucleari, Ikeda denuncia il pessimismo e il nichilismo dilaganti, riconoscendoli come effetto del vuoto di valori che regna ai nostri tempi, in cui l'unico metro di giudizio per determinare il valore umano è la capacità economica.
Senza un quadro di riferimento etico, anche la scienza e la tecnologia avanzano guidate soltanto dal profitto e dall'avidità intellettuale e l'umanità, che non ha più gli strumenti per rispondere a tali sfide, corre un grave pericolo.
Parole come virtù, nobiltà, onore, onestà, generosità sono ormai fuori uso, il nostro vocabolario non è più attrezzato a raccontare il "bene": per questo il movimento della Soka Gakkai cerca di dissipare le nubi del nichilismo per rivelare il linguaggio e i valori ormai condannati all'estinzione. È un tentativo di trasformare radicalmente le priorità umane, restando saldamente ancorati nella realtà del "qui e ora", in quello stato di tensione interiore che è fonte della creazione di valore: questa è la via che conduce al conseguimento del bene. Ed è questo che ognuno di noi è invitato a fare, nella convinzione che un cambiamento nel destino di un singolo individuo possa cambiare il destino dell'umanità, e che la religione sia la fonte dell'energia per creare valore e aprire la strada verso una nuova era.
di Daisaku Ikeda
di Daisaku Ikeda
Nel celebrare l'ottantesimo anniversario della fondazione della Soka Gakkai e il trentacinquesimo anniversario della fondazione della Soka Gakkai Internazionale (SGI) vorrei condividere alcune mie riflessioni sui mezzi più efficaci per realizzare una pace mondiale duratura. Ma innanzitutto desidero esprimere le mie più sentite condoglianze per le vittime del recente terremoto che ha devastato Haiti. Prego per tutte le persone colpite da questa tragedia e spero vivamente che la comunità internazionale faccia tutti gli sforzi necessari per offrire assistenza alla popolazione e sostenere l'opera di ricostruzione.
Un anno fa si è svolta la cerimonia di insediamento di Barack Obama, il primo cittadino afro-americano eletto presidente degli Stati Uniti. La sua corsa alla presidenza e poi la sua elezione sono state scandite dalle promesse del cambiamento, creando grandi aspettative in tutto mondo.
Con il protrarsi della recessione mondiale, iniziata con il fallimento della banca di investimenti Lehman Brothers nell'autunno del 2008, è ulteriormente cresciuta nell'opinione pubblica mondiale l'attesa di un segnale di svolta da parte degli Stati Uniti. Il Piano americano di recupero e reinvestimento (American Recovery and Reinvestment Act), varato un mese dopo l'insediamento di Obama alla Casa Bianca, ha ricevuto consensi perché mira alla creazione di nuovi posti di lavoro, puntando in parte sulle energie rinnovabili.
Il pacchetto di misure adottato da alcuni paesi è riuscito per certi versi a stabilizzare il sistema finanziario globale ormai sull'orlo del collasso, ma ha comportato un aumento enorme del debito pubblico e non ha risolto lo spaventoso problema della perdita di milioni di posti di lavoro. Le cause della crisi sono profonde e la ripresa appare ancora lontana. Cresce infatti l'allarme per una possibile recessione a "doppia immersione" [double-dip recession = una recessione caratterizzata da un breve periodo intermedio di ripresa economica, n.d.t], analoga a quella verificatasi ottant'anni fa durante la Grande depressione.
Inoltre Obama ha annunciato una radicale trasformazione del ruolo delle armi nucleari, il prodotto demoniaco della civiltà tecno-scientifica moderna. Nel discorso pronunciato a Praga nel mese di aprile del 2009 ha ammesso la responsabilità morale che hanno gli Stati Uniti per essere stati l'unico paese ad aver concretamente usato un'arma nucleare, e ha espresso la sua determinazione a rendere possibile un mondo senza armi nucleari. Con le sue dichiarazioni Obama ha dato un nuovo e significativo impulso agli sforzi per il disarmo ormai fermi da tempo.
Come erede della missione del mio maestro, il secondo presidente della Soka Gakkai Josei Toda (1900-1958), ho sempre considerato l'abolizione delle armi nucleari una questione di cruciale importanza. L'ho sottolineato in più occasioni, anche durante gli incontri che ho avuto con intellettuali e leader politici nel corso degli anni. L'8 settembre 2009 ho pubblicato una proposta dal titolo Costruire una solidarietà globale per l'abolizione del nucleare (Buddismo e società, n. 138, pp. 29-57) per commemorare la dichiarazione pronunciata oltre cinquanta anni fa dal mio mentore a favore dell'eliminazione di queste armi apocalittiche.
Le armi nucleari incarnano gli impulsi negativi più profondi che si siano mai insinuati nel cuore umano nel corso della storia della nostra specie. Il compito di eliminarle è carico di grandi difficoltà ed è irrealistico aspettarsi facili e rapidi progressi. Come ha osservato il presidente Obama durante il suo discorso di accettazione del premio Nobel per la pace: «La nonviolenza praticata da uomini come Gandhi e King può non essere praticabile o possibile in ogni circostanza, ma l'amore che essi hanno predicato e la loro fede nel progresso umano devono essere la stella polare che ci guida nel nostro viaggio».1
Gandhi diceva: «Il bene cammina a passo di lumaca»,2 perciò è fondamentale mantenere sempre un approccio flessibile e perseverante. Bisogna evitare di dare giudizi affrettati sulle singole decisioni politiche prese allo scopo di perseguire obiettivi più grandi, perché si corre facilmente il rischio di vedere deluse le proprie aspettative. Spero che la comunità internazionale raccolga la sfida e lavori per affrontare le difficoltà che si presentano avendo sempre presente l'ideale che intende raggiungere.
Un vuoto di valori
Il nichilismo e il pessimismo oggi imperanti sono solo in apparenza derivati dalla crisi economica, ma in realtà sono anch'essi un effetto del dilagante culto del denaro. Per uscire da questo vuoto di valori occorre ridefinire le nostre priorità
Ora vorrei esaminare quello che io considero un problema ancora più profondo: il pessimismo, o addirittura il nichilismo, che pervade la società contemporanea.
Generalmente il nichilismo viene associato all'affermazione di Friedrich Nietzsche (1844-1900) sulla morte di Dio. Tuttavia il nichilismo non è un fenomeno esclusivamente europeo, ma è presente in varie forme anche nel pensiero orientale. Qui utilizzerò questo termine per indicare la patologia che, come un'esalazione malsana, incombe sul paesaggio umano lacerato dalle dolorose contraddizioni della globalizzazione. Questa tendenza si avverte chiaramente in Giappone, nella vena di pessimismo che affiora nella comunicazione e nelle relazioni umane in questo paese, le cui cause a mio avviso sono ascrivibili soltanto in parte alla fine di un ciclo di forte e costante crescita economica.
Il senso di decadenza che avvertiamo oggi è caratterizzato da un pessimismo e da un nichilismo che differiscono dall'esperienza vissuta durante la Grande depressione degli anni trenta, quando almeno il socialismo sembrava offrire un'alternativa al sistema dominante. Il pessimismo che domina oggi sembra in apparenza l'esatto contrario dell'attivismo frenetico scatenato da una bolla inflazionistica, ma a un'analisi più attenta scopriamo che sono entrambi aspetti di uno stesso fenomeno.
Emmanuel Todd, noto politologo francese, spiega così "il culmine logico" della globalizzazione incentrata sulla finanza: «Desiderando "liberare l'individuo" dalle costrizioni del collettivo, è riuscita soltanto a creare individui mediocri che, in preda al terrore, si rifugiano nel culto e nell'accumulo del denaro».3
In altre parole, si può dire che l'altra faccia del mammonismo [culto di Mammona, figura biblica che rappresenta la ricchezza materiale idolatrata, n.d.t.] sia il nichilismo. Per quanto possano sembrare diametralmente opposti, essi sono in realtà gli inevitabili gemelli partoriti dalla civiltà. Mammonismo e nichilismo sono il prodotto di un'epoca che potremmo chiamare un interregno senza valori, in cui l'unica unità di misura riconosciuta per determinare il valore è la moneta. Perfino gli aspetti negativi della globalizzazione, come la povertà o la disparità di reddito, vengono affrontati unicamente in termini di valori monetari, rendendo sterile e priva di anima qualsiasi discussione su questi temi.
Le crescenti disparità di reddito sono un fatto innegabile e non possiamo permetterci di chiudere gli occhi di fronte alle tante tragedie, ai delitti e ai suicidi che hanno causato. Da tempo ho sottolineato che c'è una responsabilità politica su cui ricade l'onere di trovare una soluzione a questi problemi. Le misure legali e strutturali adottate per creare e mantenere le reti di sicurezza sociale sono un'espressione necessaria di quei valori etici, quali la giustizia e l'equità, su cui si fonda un ordine sociale stabile. La mia grande preoccupazione però è che gli sforzi tesi a migliorare le condizioni materiali servano solo a curare i sintomi, mentre occorrerebbero misure e rimedi più profondi. Per trovare una soluzione efficace e duratura abbiamo bisogno di un rinforzo spirituale che ci aiuti a ridefinire le nostre priorità.
Nell'epoca moderna la capacità economica - l'abilità ad aumentare al massimo i profitti e la ricchezza materiale - è considerata il solo criterio per giudicare il valore umano. Questa tendenza cronica della civiltà moderna e del capitalismo, alimentata dall'espansione illimitata e senza controllo del desiderio, è rimasta sostanzialmente senza correttivi soprattutto dopo il fallimento del gigantesco e devastante esperimento del comunismo sovietico. Ora, a distanza di quasi quarant'anni dal severo monito lanciato dal Club di Roma nel rapporto I limiti della crescita, ritengo che l'umanità debba finalmente trarre un insegnamento dalla dura lezione che le ha impartito il dissesto globale attuale e riconoscere questa patologia fondamentale.
Dobbiamo renderci conto che il sistema di valori basato sulla capacità economica come unico metro di giudizio del valore umano non è altro che il sistema di valori degli individui mediocri descritti da Todd, e può addirittura rappresentare l'assenza assoluta di qualsiasi valore. Dobbiamo interrogarci sulle ragioni di questo dilagare del pessimismo e del nichilismo nelle società industriali avanzate, nelle quali i cittadini hanno un tenore di vita, in termini strettamente materiali, di gran lunga più alto di quello dei monarchi e degli aristocratici del passato.
Alle redini del desiderio
Dobbiamo arrestare la corsa sfrenata dell'intelletto, la galoppata inarrestabile delle tecnologie spinte solo dall'avidità smodata e dal desiderio di dominare gli altri. Serve la guida di un quadro di riferimento etico
La scienza e la tecnologia sono state le più grandi forze motrici dello sviluppo della civiltà moderna. A questo proposito lo scienziato Yoshiharu Izumi, che da tempo si occupa del rapporto tra la religione - il Buddismo in particolare - e la scienza, ha scritto: «L'umanità ha cercato un modo di vivere stabile e sicuro, servendosi della religione come lo sterzo e i freni di una macchina per guidare e controbilanciare l'acceleratore del desiderio che alimenta il motore dell'intelletto».4
Secondo Max Weber (1864-1920) la civiltà moderna, e in modo particolare il sistema capitalistico moderno, erano caratterizzati da un modo di vivere la cui stabilità veniva in qualche misura garantita dall'influenza dell'etica protestante, che esercitava una funzione regolatrice e di controllo del desiderio, altrimenti privo di qualunque argine. In altre parole, porsi delle domande sul valore dell'agire umano, come ad esempio "qual è lo scopo del duro lavoro, dello sforzo, dell'accumulo?" era parte integrante della vita quotidiana. Ciò garantiva un certo grado di equilibrio allo spirito umano e alla vita degli individui. Quando lo sterzo e i freni smettono di funzionare, rimangono soltanto gli eccessi di quelli che Weber chiama «specialisti senza spirito, edonisti senza cuore».5 Si potrebbe dire che ciò che oggi condanniamo come supercapitalismo, o avidità smodata, rappresenta la fase terminale di questo processo, in cui il desiderio e l'intelletto si sono completamente liberati di qualunque quadro di riferimento etico.
La bolla creditizia che ha innescato la crisi finanziaria attuale è stata generata dall'espansione del mercato altamente speculativo dei prodotti derivati, che sono il frutto delle più innovative tecniche di ingegneria finanziaria. Non ci rimane che chiederci se gli individui che con tanta passione hanno trasformato i mercati finanziari mondiali in un gigantesco casinò siano mai stati sfiorati da un qualche dubbio sullo scopo e sulle conseguenze del loro agire.
Se non si arresta la corsa sfrenata del motore dell'intelletto, ovvero la scienza e la tecnologia, l'umanità pagherà un prezzo altissimo. Gli orrori di Hiroshima e Nagasaki hanno definitivamente minato la fede nel progresso, messa già a dura prova dai tragici accadimenti dei primi decenni del ventesimo secolo. L'incubo scatenato dallo sviluppo delle tecnologie nucleari è la prova lampante degli immensi pericoli generati dall'incontro delle conoscenze tecniche più avanzate con l'intelletto e il desiderio insaziabile, compreso quello di dominare gli altri che il Buddismo definisce mondo di Collera.
Nel corso del dialogo che ho avuto con Joseph Rotblat (1908- 2005), fisico nucleare e attivista per la pace, egli mi ha raccontato il senso di disperazione che lo assalì quando ebbe la notizia che su Hiroshima era stata sganciata una bomba atomica. In effetti pochi altri eventi hanno gettato sul futuro dell'umanità ombre così buie di nichilismo, di annullamento di ogni valore.
Un'altra potenziale minaccia del nichilismo contemporaneo è rappresentata dalla messa a punto di forme estreme di biotecnologia, come ad esempio l'ingegneria genetica germinale.
Francis Fukuyama (L'uomo oltre l'uomo. Le conseguenze della rivoluzione biotecnologica, Mondadori, 2002) e Bill McKibben (Enough: Staying Human in an Engineered Age, È abbastanza. Restare umani in un'epoca tecnologica, Owl Books, New York, 2004) sono fra quelli che ritengono verosimile l'avvento di un mondo post-umano nel quale l'eredità spirituale accumulata dagli esseri umani nel corso dei millenni - la morale e la religione, la cultura e l'arte - verranno svuotate di significato e di valore.
Senza che ce ne rendiamo conto l'ingegneria genetica, con i suoi sotterranei richiami all'egocentrismo (come il desiderio di "perfezione" per se stessi e per la propria discendenza), potrebbe raggiungere livelli di sviluppo difficilmente controllabili. Se da un lato le tecnologie nucleari possono essere considerate una minaccia alla continuità dell'esistenza del genere umano, dall'altro la manipolazione delle cellule della linea germinale può essere vista come una sfida e una minaccia alla nostra integrità di esseri umani. Su queste due minacce tecnologiche si addensa l'ombra buia del nichilismo, che talvolta si manifesta come sfrontata sicurezza di sé e talvolta nasconde fredda indifferenza.
La scienza e la tecnologia, liberate dai vincoli etici, non sono sottoposte ad alcun controllo e mettono l'umanità in grave pericolo. Pertanto non sorprende che in un'epoca in cui l'ingordigia della conoscenza scientifica sembra essere arrivata a un punto di non ritorno, siano state rivalutate le considerazioni di Martin Heidegger (1889-1976) sulla tecnologia, e in particolare la sua riflessione che ciò che veramente lascia sconcertati non è la tecnologia in quanto tale ma la grottesca inadeguatezza della nostra risposta alla sfida che essa presenta.
Le parole e i valori del bene
Per dissipare le nubi del nichilismo ridiamo vita al linguaggio e ai valori del bene, capaci di risvegliare le coscienze al dominio di sé e alla capacità di cogliere le cose per cui vale la pena vivere
In un suo scritto del 1941 la scrittrice francese Simone Weil (1909-1943) denunciava: «La caratteristica fondamentale della prima metà del ventesimo secolo è l'indebolimento, e quasi la scomparsa, della nozione di valore». E proseguiva citando Paul Valéry (1871-1945), il quale evidenziava lo svilimento di un'intera categoria di parole, in particolare quelle che si riferiscono al bene: «Parole come virtù, nobiltà, onore, onestà, generosità, sono diventate quasi impossibili da usare oppure hanno perso il loro significato autentico; il nostro vocabolario non è più attrezzato per lodare a buon diritto il carattere di una persona». La Weil definiva questo stato di cose «l'indebolimento del senso del valore».6
Le profonde intuizioni della Weil, analoghe a quelle di un suo contemporaneo, il filosofo francese Gabriel Marcel (1889-1973), sono verità destinate a durare e si rivelano più che mai attuali. Anzi, la malattia descritta dalla Weil si è addirittura aggravata. L'espressione massima di questa patologia umana è la guerra, che al giorno d'oggi è in grado di generare una violenza pressoché indiscriminata attraverso l'uso delle armi di distruzione di massa e delle tecniche terroristiche. Questa violenza cieca è la manifestazione del nostro rifiuto a far emergere il senso morale di cui siamo dotati, vale a dire la capacità di distinguere il bene e il male e il saper riconoscere il valore delle altre persone come individui unici e insostituibili.
Soka significa letteralmente "creazione di valore". I membri della Soka Gakkai Internazionale sono determinati a rispondere al livello più profondo alla sfida posta dal nichilismo - il vuoto di valori attualmente predominante -, ristabilendo le funzioni che guidano e frenano una civiltà fuori controllo. Per noi si tratta di un'impresa di grande portata, che addirittura si colloca nel contesto più ampio della storia dell'umanità.
Il nostro movimento cerca di dissipare le nubi del nichilismo allo scopo di rivelare il linguaggio e i valori del bene ormai condannati all'estinzione. È un movimento che lavora pazientemente per ravvivare lo spirito umano e risvegliare le coscienze dei cittadini comuni esortandoli a scegliere il bene, ovvero il frutto del dominio di sé, e a resistere alle insidie distruttive del male. Il nostro è un tentativo di realizzare una trasformazione radicale delle priorità umane, sorretto dalla convinzione che un cambiamento del destino di un singolo individuo possa cambiare il destino dell'umanità. Questo è anche il tema centrale del mio romanzo La rivoluzione umana.
Molti commentatori hanno colto con precisione l'essenza del nostro movimento per la creazione di valore, manifestando la loro simpatia e il loro sostegno per gli ideali promossi dalle nostre pubblicazioni, come il quotidiano Seikyo Shimbun. «Senza farsi influenzare dalle correnti dei tempi, il Seikyo Shimbun abbraccia una filosofia chiara e offre ciò che serve alla società». Il nostro giornale infonde coraggio e gioia, e ha un grande seguito perché ha sempre insistito sui temi che la società giapponese dovrebbe maggiormente avere a cuore: la pace, la cultura e l'educazione. «Lev Tolstoj, Wolfgang Goethe e Victor Hugo sono dei giganti della storia spirituale dell'umanità. In quest'epoca segnata da un preoccupante declino della cultura della carta stampata, il Seikyo Shimbun è probabilmente l'unico mezzo di comunicazione che pubblica con regolarità le parole di questi giganti».
I giudizi positivi sul nostro giornale dimostrano che tante persone dotate di buona volontà credono nel nostro movimento e nella sua capacità di rompere l'odierna situazione di stallo, in cui prevalgono il pessimismo e il nichilismo.
Lo scrittore chirghiso Chinghiz Aitmatov, un caro amico scomparso nel 2008, mi ha raccontato un aneddoto che, con la sensibilità unica di cui è capace un romanziere straordinario, rende bene l'idea di quello che sto cercando di dire. Aitmatov è stato uno stretto collaboratore dell'allora presidente dell'Unione Sovietica Michael Gorbaciov, e un testimone della perestrojka. Da scrittore, Aitmatov condusse una lunga lotta contro la censura imposta dalle autorità e dopo il crollo dell'Unione Sovietica denunciò con grande preoccupazione l'emergere di una nuova e forse più temibile forma di censura: l'affarismo.
L'episodio è il seguente. Un giovane giornalista aveva investito tutti i suoi averi nella fondazione di un giornale di qualità, che fallì dopo appena dieci numeri. Un suo amico lo rimproverò, dicendogli: «Il tuo giornale non riporta articoli di cronaca rosa o pettegolezzi. Non racconta omicidi. Chi pensi possa comprare un giornale simile?».7
Facendo un raffronto con il Seikyo Shimbun, Aitmatov mi disse che il nostro giornale non dà spazio né ad articoli di cronaca rosa né alle falsità e i suoi contenuti sono di alto livello culturale, eppure viene letto da diversi milioni di persone. A suo avviso questo era un risultato straordinario.
La nostra immutata convinzione è che la religione sia la forza motrice per creare valore e aprire la strada verso una nuova era. All'umanità serve una religione compatibile con la scienza e attenta alle sue intuizioni, capace al tempo stesso di guidare e controllare quelle tecnologie che, se vengono usate in modo scorretto, possono distruggere l'umanità.
Tutti conoscono la famosa affermazione di Albert Einstein (1879-1955) "Dio non gioca a dadi" e la sua ferma opposizione all'esistenza del miracoloso. Negli ultimi anni della sua vita, tuttavia, manifestando una sensibilità capace di cogliere la natura ordinata e armoniosa del cosmo, Einstein parlò dell'esistenza di una religione cosmica, di un "sentimento religioso cosmico".8 Questo concetto coincide in parte con l'idea di una "realtà spirituale ultima"9 che lo storico britannico Arnold J. Toynbee (1889- 1975) e io abbiamo analizzato nel nostro dialogo. Avventurarsi in questo ambito in modo concreto richiede una sensibilità particolare, un'intuizione filosofica e religiosa capace di relativizzare i concetti di spazio e di tempo che sono alla base della scienza moderna.
Questo tipo di sensibilità non la possiedono soltanto le persone di genio. Se decidiamo di non accontentarci delle tante distrazioni della vita quotidiana e del frastuono della società dell'informazione, che sollecita soltanto le nostre terminazioni nervose, possiamo scoprire di essere capaci di cogliere la realtà autentica e ascoltare il battito del cuore delle cose per cui vale veramente la pena di vivere.
Concentrarsi sul qui e ora
Nell'istante presente c'è la forza vitale più profonda, la tensione da cui sprigiona una nuova speranza per il futuro e nasce il progetto del bodhisattva di "vivere bene" da adesso in poi
Sono rimasto colpito da un'affermazione fatta dal critico letterario giapponese Shozo Kajima in una recente intervista: «Solo il qui e ora è la vera realtà. [...] Dobbiamo appassionarci al qui e ora. Se una persona è invecchiata nei sentimenti è già vecchia, qualunque sia la sua età». Invece di affannarci a cercare la ricchezza materiale e la felicità all'esterno, Kajima ci esorta a «risvegliarci alla ricchezza delle capacità che possediamo dentro di noi e che non sappiamo di avere».10
L'espressione "qui e ora" mi fa venire in mente il proverbio "scava sotto i tuoi piedi e vi troverai una sorgente" e l'affermazione di Einstein: «La mia eternità è adesso. Ho un solo interesse: realizzare il mio scopo qui dove sono».11
Queste frasi hanno una profonda assonanza con la visione buddista del mondo. I concetti chiave del Buddismo mahayana, come la simultaneità di causa ed effetto, la corrispondenza fra l'infinito passato e l'Ultimo giorno della Legge, l'Illuminazione istantanea e il conseguimento della Buddità nella forma presente, sfuggono alla sequenza lineare del tempo storico o fisico di cui si serve la scienza moderna, e si possono comprendere soltanto attraverso una diversa concezione del tempo.
Come ha sottolineato Nietzsche nel suo saggio Sull'utilità e il danno della storia per la vita, (Adelphi, Milano, 2004) la visione di un passato immobile e di un futuro che scorre lungo l'asse del tempo fisico o storico è limitata e non costituisce un fattore decisivo per la vita degli esseri umani. Questo tipo di storia, per quanto abbia a che fare con i fatti reali, è estranea e inadeguata alla realtà della vita umana.
Nell'opera che raccoglie la trascrizione delle lezioni tenute da Nichiren Daishonin sul Sutra del Loto, troviamo la seguente affermazione: «Nella parola "da quando" (irai), l'elemento i ("già", o "essere trascorso") si riferisce al passato, e l'elemento rai ("a venire") si riferisce al futuro. E il presente è incluso in questi due elementi i e rai».12 Apparentemente il presente non è che un istante all'interno del grande flusso temporale dal passato verso il futuro, ma è in questo istante presente che esiste una realtà autentica, che abbraccia l'infinito passato e l'illimitato futuro. La realtà dell'istante presente è la fonte della forza vitale più profonda, una forza che nonostante i lacci del passato sprigiona una nuova speranza per il futuro.
In tal senso, ora è il punto di partenza di tutto. Il qui e ora è il fondamento e il cardine, l'alfa e l'omega di tutti gli aspetti dell'attività umana. Se non rimaniamo saldamente ancorati a questo principio e ci basiamo su un mondo virtuale, finiamo per diventare schiavi di quelle tecnologie che noi stessi abbiamo creato, oscillando in modo incontrollato fra l'euforia scatenata dalla bolla economica e la disperazione provocata dal panico finanziario. La realtà sarà corrosa e distrutta dal suo equivalente virtuale. La funzione autentica della religione è aiutare le persone a ritornare nella realtà del qui e ora, realizzando la necessaria correzione di rotta di una civiltà fuori controllo.
Nella tradizione buddista, percorrere il sentiero del bodhisattva significa dedicare la vita all'impegno sociale. Il bodhisattva vive in comunione con il cosmo vivente e compie azioni coraggiose dedicandosi al progetto di "vivere bene" da adesso in poi.
Nell'affermare la necessità di un sentimento religioso cosmico, Einstein manifestò una coscienza e un carattere universali nel momento in cui si dedicò alle attività per la pace. Analogamente il pioniere che inizia la sua lotta personale per trasformare la storia è concentrato sul momento presente e si impegna con tutte le sue forze per creare valore in questo preciso istante. Mossa dagli impulsi irresistibili della coscienza, e all'interno di un ampio spettro di possibilità spazio-temporali, questa persona sceglie e crea con cura e coraggio il linguaggio e i valori del bene.
Così come imparare richiede sforzo, allo stesso modo la strada per realizzare il bene è irta di ostacoli. Non abbiamo altra scelta che radicarci saldamente nella realtà, raccogliendo deliberatamente le sfide più difficili, allenandoci e forgiando noi stessi senza sosta nella fucina dell'anima dove tutto si fonde. Questo è il sentiero certo che conduce al conseguimento del bene.
Come ha osservato Marcel, c'è sempre una tensione fra «l'individualità delle circostanze e l'universalità della legge». Secondo il filosofo francese questa tensione è il «passaggio chiave, la sorgente del valore».13 Il Buddismo insegna: «Il superficiale è facile ma il profondo è difficile. Il cuore di un coraggioso lascia il superficiale e cerca il profondo».14 Questa frase contiene una verità eterna e un'indicazione per la nostra vita.
Per immergersi in questa tensione, in questa fucina dove tutto si fonde, si deve essere disposti a ricercare il profondo, fortificando e preparando se stessi giorno dopo giorno, mese dopo mese. Questo sforzo alimenta la tensione dentro il nostro cuore, e così riusciamo a sottrarci alla tendenza tipicamente umana di cercare la via facile, e a concentrarci invece sull'ideale da raggiungere, giorno dopo giorno, temprando ed elevando noi stessi.
In definitiva tutto è impermanente. La realtà è una successione infinita di trasformazioni. C'è un'espressione calzante per descrivere questo concetto: se non vedi qualcuno da tre giorni, preparati per il prossimo incontro con un senso di aspettativa. In altre parole, una persona che sta crescendo e si sta sviluppando mostrerà dei cambiamenti anche nel giro di soli tre giorni. Chi è dotato dello spirito di ricercare il profondo non si lascerà sfuggire questi cambiamenti ma li accoglierà con acutezza, senza smettere mai di avanzare verso la creazione di valore.
Parole come speranza, coraggio, sforzo, amicizia e gentilezza descrivono con efficacia le qualità di chi cerca di aprirsi un varco fra le difficoltà del presente per avanzare verso un futuro migliore. Ecco perché in una conferenza che ho tenuto all'Università di Harvard nel 1991 ho sottolineato l'importanza della contemplazione, dell'interrogare se stessi, del ricercare la propria anima per essere certi che le proprie decisioni siano il frutto dei moti e delle convinzioni della coscienza.
Quando le persone che hanno fede cedono all'impulso di delegare la propria responsabilità e si affidano ciecamente a una forza esterna, la religione diventa come un oppio, incapace di aiutare coloro che aspirano a vivere come protagonisti autonomi del cambiamento e della trasformazione della società, quel modo nobile di vivere che il Buddismo chiama la via del bodhisattva.
La fucina della lotta spirituale
Il bene si trova all'interno di uno stato di tensione interiore che non lascia spazio a concezioni immutabili ed è la sorgente della creazione di valore
Il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset (1883-1955) usò il termine "la vita della storia" per rappresentare questa fucina di lotta spirituale incessante, dandone questa vivida descrizione: «Io non credo nell'assoluto determinismo della storia. Al contrario, penso che la vita in tutte le sue manifestazioni, e pertanto quella storica, si componga di puri istanti, ciascuno dei quali è relativamente indeterminato rispetto a quello precedente, di modo che in esso la realtà oscilla, cammina su e giù, e non sa bene se decidersi per l'una o per l'altra delle varie possibilità. È questa esitazione metafisica che conferisce a tutte le manifestazioni vitali quella qualità inconfondibile di vibrazione e trepidazione».15
"L'esitazione metafisica" di cui parla Ortega y Gasset non è sinonimo di mancanza di risolutezza, indica piuttosto la sorgente di energia che ci fa rifiutare tutte le concezioni immutabili e ci permette di ricercare il bene all'interno di uno stato di tensione segnato dalla "vibrazione" e dalla "trepidazione".
Questo concetto mi fa venire in mente la supplica di Brahma affinché Shakyamuni insegnasse il Dharma. Dopo aver ottenuto l'Illuminazione, Shakyamuni era riluttante a insegnare il Dharma perché sapeva quanto fosse profonda e insondabile la natura dell'Illuminazione. Brahma, il signore dell'universo secondo la cosmologia indiana tradizionale, apparve al suo cospetto, scongiurandolo di predicare il Dharma per la salvezza di coloro che erano oppressi dalla sofferenza. C'è una profonda risonanza fra la riluttanza di Shakyamuni e l'esitazione metafisica descritta da Ortega y Gasset.
Questa capacità di "esitare" la possiamo paragonare alla forza che impiega un arciere per tendere il più indietro possibile la corda dell'arco prima di tirare: la freccia scagliata supererà senza alcun dubbio tutti gli ostacoli e centrerà l'obiettivo del bene. Chi manifesta questa capacità è in grado di risolvere i dilemmi della vita in modo flessibile, accurato e tempestivo, scegliendo coscienziosamente il linguaggio e i valori del bene. In tal senso essa è l'essenza e la sorgente della creazione di valore.
In una poesia che ho dedicato ai giovani diversi anni fa, li ho esortati a intraprendere un percorso di rivoluzione individuale che fosse «pacifico, sano e graduale»16 e fondato sulla varietà dei modi di pensare degli individui.
Le scelte e le decisioni di coloro che aspirano al bene potranno differire a seconda dei rispettivi "qui e ora" o, per dirla con Marcel, in base alla "individualità delle circostanze". Ma è lo spirito che ricerca il profondo e si sforza di temprare se stesso che consente a ciascuno di portare avanti la propria determinazione, senza evitare o sfuggire quelle circostanze.
I miserabili di Victor Hugo (1802-1885) è un romanzo che ho amato sin da quando ero giovane. La storia inizia con una accesa discussione fra il vescovo Myriel e un giacobino moribondo, con al centro le rispettive accuse alla rivoluzione francese e alla giustizia della Chiesa cattolica. Quando il vescovo chiede al giacobino cosa pensi di Jean Paul Marat (1743-1793) e del suo inno alla ghigliottina, egli ribatte chiedendo al vescovo che cosa pensi lui di Jacques-Bénigne Bossuet (1627-1704) che aveva cantato il Te Deum quando i dragoni attaccavano i protestanti.
Attraverso la discussione dei due personaggi su quel capitolo della storia francese riusciamo a cogliere il dialogo e il confronto interiore che animavano il loro autore (la contemplazione, l'interrogare se stessi, la ricerca dell'anima). Hugo non prende nessuna posizione, e questo è il segno di quanto fosse cruciale per lui la spinosa questione della giustizia, un problema che da sempre ha tormentato gli esseri umani.
È un nostro dovere resistere alla tentazione di abbandonare il dialogo e ricorrere alla violenza. Dobbiamo rimanere ancorati al processo dell'esitazione filosofica, sostenendo la tensione e calandoci nella fucina della lotta spirituale, poiché questo è il luogo per forgiare la nostra umanità.
L'esistenza degli altri è la premessa necessaria per condurre una vita autenticamente umana. Il processo di rafforzare e allenare noi stessi con pazienza e costanza implica il dialogo e l'incontro con gli altri. Ortega y Gasset considerava la nostra disponibilità e la nostra capacità di coesistere pacificamente con le persone diverse da noi il discrimine tra la barbarie e la civiltà.
Nel dialogo tra me e l'ex presidente sovietico Michael Gorbaciov, l'uomo che ha riportato il confronto e il dibattito nella cultura politica dell'Unione Sovietica, ci siamo trovati d'accordo sull'importanza di imparare a rispettare gli altri, abituandoci e andando incontro alla realtà di chi è diverso da noi. Poc'anzi ho definito il nichilismo come il rifiuto di manifestare quel nostro senso morale che ci spinge a riconoscere il valore dei nostri simili come individui unici e insostituibili. Proprio per questa ragione credo che risvegliare l'attenzione per gli altri e per l'alterità sia l'unico modo per cambiare la nostra società minata dall'indebolimento del senso del valore e ripristinare il linguaggio e i valori del bene. L'imperativo di rafforzare noi stessi giorno dopo giorno, mese dopo mese è perciò un incoraggiamento senza eguali nella lotta per vincere il nichilismo e creare valore.
Un vivere contributivo
Il varco da trovare per superare la cortina delle sfide globali coincide con il cambiamento del nostro modo di vivere: da dipendente o egocentrico a centrato unicamente sul benessere dell'umanità e del pianeta
Vorrei cogliere questa opportunità per avanzare alcune proposte che a mio avviso possono favorire la ricerca di una soluzione dell'attuale crisi mondiale e contribuire alla costruzione di un nuovo ordine di pace e coesistenza per il ventunesimo secolo.
Il dissesto economico globale ha avuto gravi ripercussioni sulla vita dei cittadini di molti paesi, e c'è la preoccupazione che possa investire anche il settore della cooperazione internazionale, con un minore impiego di energie e risorse per far fronte ai tanti problemi del pianeta, fra cui la povertà e il degrado ambientale. Bisogna evitare a tutti i costi di cadere nel circolo vizioso di una crisi che crea sfiducia e pessimismo, sentimenti che a loro volta non fanno altro che alimentare ed esacerbare la crisi.
Per fare un esempio, sebbene i negoziati per la creazione di un quadro di riferimento internazionale per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra dopo il 2013 siano bloccati da tempo, recentemente ci sono stati degli sviluppi che fanno ben sperare. Mi riferisco in particolare alla Campagna promossa nel 2006 dal Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP, United Nations Environment Programme), grazie alla quale sono stati piantati, a tutto il 2009, circa sette miliardi e quattrocento milioni di alberi in tutto il mondo. Questa campagna ha visto la partecipazione di milioni di cittadini - dai bambini delle scuole elementari fino ai capi di stato - e si calcola che sia stato piantato almeno un albero per abitante della terra.
Nel 2008 l'UNEP ha lanciato il Climate Neutral Network (Rete per la neutralità climatica), una rete che promuove un'azione globale che ha l'obiettivo di arrivare nel lungo periodo a "zero emissioni di gas a effetto serra". Alla rete hanno aderito numerosi governi nazionali e regionali, imprese, organizzazioni non governative, università e istituti scolastici. Gli esempi che ho appena citato dimostrano che, anche in assenza di progressi nei negoziati fra i governi, c'è un sforzo costante a produrre dei cambiamenti dando vita a nuove forme di cooperazione internazionale attraverso iniziative portate avanti a livello di base dalle organizzazioni e da singoli individui.
Per quanto riguarda l'individuazione di un percorso da seguire per risolvere le molteplici sfide globali, il 2010 sarà un anno determinante e pieno di appuntamenti importanti, come ad esempio la Conferenza degli stati parti per la revisione del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (NPT, Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons) fissata per il mese di maggio (vedi p. 24), e il summit straordinario di settembre sugli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDGs, Millennium Development Goals).
Non dobbiamo mai dimenticare che esiste sempre una strada, un sentiero per raggiungere persino la vetta della montagna più alta e inaccessibile. Se nel corso del nostro cammino ci imbattiamo in una parete a strapiombo, non dobbiamo scoraggiarci ma continuare a cercare con pazienza un varco per proseguire. Ora più che mai dobbiamo sforzarci di considerare la crisi come un'opportunità per cambiare radicalmente il corso della storia. Raccogliendo la volontà e la determinazione che esistono dentro di noi, possiamo utilizzare le sfide come un carburante per realizzare il cambiamento.
Nel 1930, l'anno in cui fu fondata la Soka Gakkai, il Giappone e il mondo intero erano stretti nella morsa della terribile crisi finanziaria scoppiata l'anno precedente, e le persone vivevano in preda alla paura e alle difficoltà. A quell'epoca il presidente fondatore della Soka Gakkai Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944) nei suoi scritti auspicava la transizione da un modo di vivere dipendente, o anche indipendente, a un modo di vivere che egli definiva "contributivo". Makiguchi considerava inaccettabili sia il modo di vivere passivo e dipendente, che rende le persone facilmente influenzabili e succubi dell'ambiente e degli eventi, sia il modo di vivere di coloro che pensano soltanto a se stessi e non si preoccupano delle sofferenze e dei bisogni degli altri.
Egli voleva far capire l'importanza del modo di vivere "contributivo" descritto dall'insegnamento buddista secondo il quale «quando accendiamo una lanterna per qualcuno, questa illuminerà anche la nostra strada» (cfr. Le tre virtù del cibo, WND, 2, 1060). La sorgente dell'illuminazione necessaria per dissipare l'oscurità e il caos del nostro tempo si trova nelle azioni che fanno scaturire la nostra luce interiore, quando sono dirette ad aiutare gli altri.
Josei Toda (1900-1958), il secondo presidente della Soka Gakkai e l'erede spirituale di Makiguchi, dichiarò: «Desidero che non venga più usata la parola "miseria" per descrivere il mondo, una nazione o un singolo individuo».17 Egli mise in pratica questa sua convinzione dedicandosi alla pace e alla felicità dell'umanità, e sforzandosi di costruire una solidarietà dei cittadini comuni radicata nella filosofia del rispetto per la sacralità della vita e della dignità umana.
Esaminando attentamente le sfide che la società globale è chiamata ad affrontare, sono sempre più convinto che sia venuto il momento di cambiare radicalmente il nostro modo di vivere, mettendo al centro l'impegno per il benessere dell'umanità e del pianeta, come chiedevano Makiguchi e Toda. Invece di starcene in disparte, pensando a come sarà il nostro futuro, dobbiamo concentrarci su quello che ciascuno di noi può fare in questo momento cruciale e su quale può essere il nostro ruolo per cambiare la direzione della storia. Dobbiamo sforzarci di far diventare questo modo di vivere contributivo e impegnato il fondamento spirituale della nostra epoca.
Sulla base di tale convinzione vorrei formulare una serie di proposte programmatiche incentrate su due grandi questioni: la prima è la sfida rappresentata dalle armi nucleari, che continuano a minacciare l'umanità e sono l'espressione più evidente e crudele della negazione dei bisogni e del benessere dei nostri simili; la seconda riguarda le distorsioni strutturali della società globale, in cui la povertà e altre minacce continuano a minare la dignità di milioni di persone.
Verso un mondo libero dalle armi nucleari
Nella proposta che ho scritto lo scorso settembre (vedi Buddismo e società n. 138) ho delineato un piano in cinque punti per gettare le fondamenta di un mondo libero dalle armi nucleari. Nel piano da me elaborato ho suggerito, tra le altre cose, un'intensificazione degli sforzi in favore del disarmo e la costituzione di accordi di sicurezza non basati sulle armi nucleari. In quell'occasione ho anche ribadito una convinzione che ho maturato da tempo: se vogliamo lasciarci alle spalle l'era del terrore nucleare dobbiamo combattere contro il vero "nemico". Quel nemico non sono le armi nucleari in quanto tali, né gli stati che le possiedono o le costruiscono. Il vero nemico da affrontare è il modo di pensare che le giustifica: l'esser pronti ad annientare gli altri qualora li avvertiamo come una minaccia o un ostacolo per la realizzazione dei nostri scopi.
Le mie proposte intendono offrire dei suggerimenti sui passi da compiere per superare e trasformare il pensiero che giustifica le armi nucleari e per rafforzare la spinta in direzione della loro abolizione.
In primo luogo propongo di lavorare, sulla base del Trattato di non proliferazione ancora in vigore, all'ampliamento dei dispositivi che sanciscono un chiaro obbligo giuridico a non utilizzare le armi nucleari, così da creare una base istituzionale per ridurre il loro ruolo strategico nella sicurezza nazionale degli stati (p. 24).
La seconda proposta riguarda la possibilità di inserire la minaccia o l'uso delle armi nucleari fra i crimini di guerra che ricadono sotto la giurisdizione della Corte penale internazionale, così da rendere ancora più esplicita la norma secondo cui le armi nucleari non devono essere usate in nessun caso (p. 27).
La terza proposta riguarda la creazione di un sistema basato sulla Carta delle Nazioni Unite che permetta all'Assemblea Generale e al Consiglio di Sicurezza di lavorare insieme per la completa eliminazione delle armi nucleari (p. 31).
Queste proposte possono sembrare difficili da realizzare, ma vorrei ricordare che sono tutte fondate sugli strumenti e sui dispositivi istituzionali esistenti. Non sono affatto obiettivi irraggiungibili.
Il mio più sincero desiderio è che la Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione fissata per maggio prossimo crei un movimento a sostegno di questi obiettivi, affinché possano essere raggiunti entro i prossimi cinque anni. Tutti gli sforzi in questa direzione dovrebbero culminare in un vertice per l'abolizione delle armi nucleari che dovrebbe svolgersi nel 2015 a Hiroshima e Nagasaki - settanta anni dopo gli attacchi nucleari che hanno devastato queste due città - e che segnerebbe davvero la fine dell'era nucleare.
Ampliare i dispositivi che obbligano gli stati a non usare le armi nucleari
È arrivato il momento che gli stati dotati di armi nucleari giungano a una visione condivisa di un mondo senza armi nucleari e si liberino dal fascino della deterrenza basata sull'equilibrio del terrore
Fino a oggi la creazione di zone denuclearizzate (NWFZ, Nuclear Weapon-Free Zones) ha rappresentato un tentativo di riempire il vuoto lasciato nella legislazione internazionale dalla mancanza di un trattato o di una convenzione che sancisca il divieto generalizzato contro l'uso delle armi nucleari. Nel 2009 sono entrati in vigore i trattati istitutivi delle aree denuclearizzate in Asia centrale e in Africa. Questi trattati seguono accordi simili già stipulati in America Latina e nell'area caraibica, nel Pacifico meridionale e nel sudest asiatico. La decisione da parte di tanti governi di eliminare le armi nucleari da così tante aree del pianeta è veramente significativa.
Sebbene il preambolo del Trattato di non proliferazione nucleare, entrato in vigore quarant'anni fa, inviti i suoi firmatari a «compiere ogni sforzo per allontanare il pericolo di una simile guerra e a prendere le misure atte a garantire la sicurezza dei popoli»,18 è chiaro che gli stati dotati di armi nucleari non hanno rispettato tale obbligo.
Come è ovvio, il Trattato di non proliferazione non concede a questi stati il diritto di possedere armi nucleari all'infinito, eppure la loro ostinata adesione alla dottrina della deterrenza nucleare ha avuto l'effetto di incoraggiare sia la "proliferazione verticale" (aumento e ammodernamento degli arsenali nucleari all'interno degli stati nucleari) sia la "proliferazione orizzontale" (il trasferimento di tecnologie nucleari ad altri stati ed enti). La verità è che con il loro comportamento hanno minato le fondamenta stesse del regime giuridico del Trattato di non proliferazione.
È arrivato il momento che gli stati dotati di armi nucleari giungano a una visione condivisa di un mondo senza armi nucleari e si liberino dal fascino della deterrenza - la convinzione illusoria che la sicurezza possa essere mantenuta con le minacce di reciproca distruzione e con l'equilibrio del terrore. È necessario un nuovo modo di pensare basato sul comune impegno a ridurre le minacce e sulla creazione di anelli di sicurezza fisica e psicologica sempre più ampi, capaci di abbracciare il mondo intero.
Come prova del loro sincero proposito di rinunciare allo strumento della deterrenza chiedo agli stati possessori di armi nucleari di prendere questi tre impegni durante la Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione e di lavorare per la loro piena attuazione entro il 2015:
1. Concludere un accordo legalmente vincolante per estendere le "assicurazioni negative di sicurezza", ovvero l'impegno a non utilizzare armi nucleari contro qualsiasi stato non nucleare che rispetti gli obblighi sanciti dal Trattato di non proliferazione;
2. Avviare i negoziati per la stesura di un trattato che fissi in una norma il loro impegno a non utilizzare le armi nucleari gli uni contro gli altri;
3. Laddove devono essere ancora istituite zone denuclearizzate, e come misura transitoria fino alla loro creazione, compiere dei passi per dichiarare tali aree "regioni esenti dall'utilizzo di armi nucleari".
Non è mia intenzione sottovalutare le difficoltà insite nel processo di attuazione di tali impegni, in particolare del secondo e del terzo, ma vorrei far notare che si tratta di decisioni politiche che gli stati nucleari possono prendere adesso in qualità di paesi possessori di armi nucleari.
Riguardo alle promesse di non impiegare armi nucleari contro altri stati, anche un accordo limitato agli Stati Uniti e alla Russia potrebbe essere un evento spartiacque capace di ridurre considerevolmente le minacce percepite, di cui beneficerebbero in egual misura anche i loro alleati. Un tale accordo renderebbe più concreta la possibilità di rivedere la prassi del dispiegamento extraterritoriale delle testate nucleari e i programmi di difesa missilistici, segnali che costituirebbero un importante passo nella direzione di un graduale smantellamento del cosiddetto "ombrello nucleare".
Il rapporto conclusivo della Commissione internazionale per il disarmo e la non proliferazione nucleare (un'iniziativa congiunta dei governi di Australia e Giappone) pubblicato a dicembre del 2009 rivela che all'interno dei vari paesi appartenenti agli ombrelli nucleari sono aumentati gli appelli in favore di una revisione della dottrina nucleare tradizionale.
La creazione di regioni esenti dall'utilizzo di armi nucleari sarebbe utile sotto molti aspetti; in particolare potrebbe accelerare il processo di denuclearizzazione a livello globale e favorire la messa a punto di un meccanismo complessivo di prevenzione della proliferazione di tutte le armi di distruzione di massa e del terrorismo nucleare. Lo scopo principale sarebbe quello di trasformare l'atteggiamento ostile che prevale in alcune aree - comprese quelle in cui sono presenti gli stati nucleari o i loro alleati - di rispondere alla minaccia con altre minacce. Bisogna incoraggiare l'approccio alla riduzione della minaccia reciproca, come dimostra il Programma cooperativo di riduzione della minaccia (CTR, Cooperative Threat Reduction) concordato dagli Stati Uniti e dagli stati dell'ex Unione Sovietica subito dopo la fine della guerra fredda.
Sfortunatamente, il Trattato di non proliferazione nella sua attuale versione non prevede norme che regolino la riduzione delle minacce e l'offerta di assicurazioni reciproche in grado di aumentare il clima di fiducia fra gli stati. Qualora dei negoziati a livello regionale riuscissero in questa impresa, la partecipazione ad accordi sul disarmo verrebbe chiaramente percepita come molto più vantaggiosa e significativa in termini di sicurezza fisica e psicologica, rispetto a una strategia di rafforzamento dell'isolamento verso l'esterno. Il successo di questi accordi avrà l'effetto di disincentivare la costruzione e l'acquisto di armi nucleari.
Se, come mi auguro, grazie a queste strutture si riusciranno a creare anelli sempre più estesi di sicurezza fisica e psicologica, capaci di abbracciare non solo i paesi appartenenti agli ombrelli nucleari degli stati dotati di armi nucleari ma anche la Corea del Nord e l'Iran e paesi come l'India, il Pakistan e Israele che attualmente non partecipano al Trattato di non proliferazione, avremo fatto un importante passo avanti verso l'obiettivo della denuclearizzazione del pianeta.
I trattati che idealmente dovrebbero essere ratificati dagli stati nell'ambito di una regione esente dall'utilizzo del nucleare sono: il Trattato sulla messa a bando degli esperimenti nucleari (CTBT, Comprehensive Test Ban Treaty), la Convenzione contro il terrorismo nucleare (Nuclear Terrorism Convention), la Convenzione sulla protezione fisica del materiale nucleare (Convention on the Physical Protection of Nuclear Material), la Convenzione per la messa al bando delle armi biologiche (BWC, Biological Weapons Convention) e il Trattato sulle armi chimiche (Chemical Weapons Treaty). In futuro, a questa lista dovrebbe essere aggiunto il Trattato per la messa a bando della produzione del materiale fissile (Fissile Material Cut-Off Treaty) una volta che sarà stato perfezionato.
Negli sforzi per il disarmo è necessario un approccio multilaterale. Il presidente John F. Kennedy (1917-1963) dichiarò: «Non esiste un'unica, semplice soluzione per raggiungere questo tipo di pace, nessuna formula magica o eccezionale adottabile solo da una o due potenze. La pace vera deve essere il prodotto di molte nazioni, la somma di molti atti».19
Nella proposta che ho pubblicato lo scorso settembre ho rivolto a tutti i paesi attualmente impegnati nei colloqui a sei sul programma nucleare della Corea del Nord (Cina, Giappone, Corea del Nord, Russia, Corea del Sud e Stati Uniti) l'invito a dichiarare il nordest asiatico "regione esente dall'utilizzo di armi nucleari" come passo verso la denuclearizzazione dell'intera area, compresa ovviamente la rinuncia della Corea del Nord al suo programma nucleare. Spero fortemente che vengano avviati al più presto dei colloqui per siglare un accordo regionale analogo nel Medio Oriente e nell'Asia Meridionale, due aree in cui c'è stata un'escalation di tensione.
Mettere fuori legge l'uso delle armi nucleari
Anche queste armi devono essere totalmente bandite dalla comunità internazionale come quelle chimiche e batteriologice
La mia seconda proposta riguarda la definizione di norme dove si dichiari in modo esplicito che utilizzare le armi nucleari è illegale.
Fino a oggi sono stati stipulati diversi trattati che proibiscono in modo generalizzato lo sviluppo, la fabbricazione, il possesso, lo stoccaggio, la vendita o l'acquisto di armi di distruzione di massa chimiche e batteriologiche. Il protocollo di Ginevra del 1925, che vieta l'uso di questa tipologia di ordigni, fu adottato alla luce dell'enorme sofferenza provocata dall'uso dei gas tossici durante la prima guerra mondiale, e ha rappresentato un importante passo avanti verso la stesura di questi trattati.
Il Protocollo fa un esplicito richiamo alla condanna espressa dall'opinione pubblica internazionale dell'uso delle armi chimiche, dichiarando di «riconoscere universalmente come incorporata nel diritto internazionale la loro proibizione, che si impone alla coscienza e alla pratica delle nazioni».20 Il protocollo estende il divieto anche alle armi batteriologiche.
Oggi il solo fatto che uno stato sia riconosciuto possessore di armi chimiche e batteriologiche suscita lo sdegno della comunità internazionale; il disonore associato al possesso (in misura maggiore rispetto a un eventuale loro uso) di questi ordigni è ormai consolidato. A mio avviso è necessario attribuire un marchio simile anche alle armi nucleari, che sono indubbiamente le più disumane tra tutti i tipi di armi.
Alla conferenza annuale del Dipartimento per l'informazione pubblica delle Nazioni Unite (DPI, Department of Public Information) tenuta lo scorso settembre a Città del Messico dalle organizzazioni non governative, a cui hanno partecipato alcuni rappresentanti della Soka Gakkai, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha dichiarato: «Le armi nucleari sono immorali e non deve essere accordato loro nessun valore militare».21 È ormai tempo che chi ricopre una posizione di responsabilità riconosca che le armi nucleari sono ripugnanti e inutilizzabili a livello militare.
Come dimostra il processo che ha portato alla totale messa al bando delle armi chimiche e batteriologiche, il primo passo da compiere per porre fine all'era delle armi nucleari deve essere la messa a punto di una norma che ne proibisca l'impiego.
Più di cinquant'anni fa, nel settembre del 1957, il mio maestro Josei Toda pronunciò una dichiarazione di condanna delle armi nucleari definendole un male assoluto, e affermò con forza che non devono essere usate in nessuna circostanza. Negli anni successivi, con una serie di risoluzioni di condanna l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha ribadito che chi utilizza le armi nucleari commette un crimine contro l'umanità e la civiltà. Purtroppo dobbiamo constatare che a oggi non è stata ancora creata una norma giuridica che vada in questa direzione.
Nel 1996 la Corte internazionale di giustizia si è pronunciata con un parere consultivo sulla minaccia di utilizzare le armi nucleari o sul loro effettivo uso: «La minaccia o l'uso delle armi nucleari sono generalmente contrari [...] ai principi e alle regole del diritto umanitario». La Corte si è però astenuta dall'esprimersi sulla liceità della minaccia di usare gli ordigni nucleari o sul loro utilizzo «in una situazione estrema di legittima difesa in cui la stessa sopravvivenza dello stato sarebbe messa in causa».22 Fin quando questo nodo cruciale non verrà sciolto, sarà sempre possibile trovare una motivazione che giustifichi l'uso delle armi nucleari, ed è questa la ragione per cui dobbiamo stabilire una norma chiara che metta fuori legge l'uso delle armi nucleari.
Il giudice Christopher Weeramantry, presidente dell'Associazione internazionale degli avvocati contro le armi nucleari (IALANA, International Association of Lawyers Against Nuclear Arms), era all'epoca uno dei membri della Corte chiamati a pronunciarsi su quello specifico caso. Egli espresse il suo personale dissenso con il parere della Corte, affermando che «l'uso delle armi nucleari o la minaccia di usarle è illegale in qualunque circostanza».23 Nel suo saggio Universalizzare il diritto internazionale egli ha posto l'accento sul fatto che tenere conto delle voci e delle opinioni dei cittadini comuni contribuisce a rendere più universale il diritto internazionale, sottolineando altresì l'importanza delle «opinioni dei popoli come opinio juris». 24
Ripercorrendo la storia delle armi nucleari vediamo che di fronte a situazioni di grave crisi la comunità internazionale si è sempre adoperata per scongiurarle, facendo così importanti passi in avanti. Grazie a questi sforzi gli stati hanno progressivamente abbandonato l'idea di ricorrere alle armi nucleari. Ciò è stato possibile grazie a una confluenza di forze: l'opera di dissuasione, morale e pratica, esercitata dai leader politici, e il crescente peso dell'opinione pubblica secondo cui il ripetersi degli orrori delle armi nucleari deve essere evitato a tutti i costi.
Ad esempio, il primo dispositivo che ha imposto una restrizione parziale alla proliferazione nucleare - il Trattato sulla messa a bando parziale degli esperimenti nucleari del 1963 - fu adottato grazie agli sforzi dei governanti degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica, le due superpotenze che durante la Crisi dei missili di Cuba dell'ottobre 1962 erano sprofondate nell'abisso della guerra nucleare, e grazie alle pressioni esercitate dal movimento pacifista "Ban the bomb" (Metti al bando la bomba) guidato da Linus Pauling (1901-1994) e da altri scienziati.
Analogamente, il Trattato sui missili nucleari a medio raggio (INF, Intermediate-Range Nuclear Forces) del 1987 - il primo vero trattato che ha previsto una riduzione del numero delle armi nucleari - fu concluso dopo una serie di incontri al vertice fra Stati Uniti e Unione Sovietica in seguito allo shock provocato dalla catastrofe nucleare di Chernobyl. Un altro fattore cruciale che ha contribuito a questa inversione di tendenza è stata la decisa opposizione dell'opinione pubblica contro lo spiegamento di armi nucleari tattiche sul suolo europeo negli anni Ottanta.
Per quanto modesti possano sembrare, i risultati ottenuti confermano che nella società internazionale è cresciuta la consapevolezza che le armi nucleari non devono essere usate in nessun caso e che bisogna adoperarsi per contenere la loro potenziale minaccia. Questo dato è ancora più significativo se si pensa che nel periodo immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale le armi nucleari erano giudicate armi convenzionali estremamente distruttive, il cui utilizzo era in gran parte considerato inevitabile.
Per quanto grande possa essere la distanza che separa i nostri ideali dalla realtà, non dobbiamo abbandonare la speranza o rassegnarci. Al contrario, i privati cittadini di tutto il mondo devono unirsi per dare forma a una nuova realtà. Il divieto delle mine e delle bombe a grappolo ottenuto in anni recenti è il risultato di questa solidarietà.
L'anno scorso ho espresso l'auspicio che si dia avvio a un movimento a sostegno di una "dichiarazione per l'abolizione del nucleare da parte della popolazione mondiale" che veda come protagonisti singoli cittadini, organizzazioni, gruppi spirituali e religiosi, università e istituti di ricerca, come anche agenzie interne al sistema delle Nazioni Unite.
Unitamente a questo, propongo che venga modificato lo statuto della Corte penale internazionale, inserendo l'utilizzo delle armi nucleari fra i crimini di guerra.
Dobbiamo fare in modo che il divieto delle armi nucleari diventi una norma condivisa e meta comune dell'umanità entro il 2015, l'anno che segnerà il settantesimo anniversario del bombardamento atomico su Hiroshima e Nagasaki. L'adozione di questa norma servirà a spianare la strada verso la completa abolizione delle armi nucleari - il fervente desiderio dei sopravvissuti degli attacchi nucleari e della popolazione di tutto il mondo.
Molti stati che presero parte ai negoziati per l'istituzione della Corte penale internazionale nel 1998 avevano chiesto che l'uso delle armi nucleari fosse inserito fra i crimini di guerra che ricadono sotto la giurisdizione della Corte. Purtroppo, il testo finale dello Statuto di Roma non ha recepito la loro richiesta. Nella proposta di pace che pubblicai l'anno dopo (cfr. DuemilaUno, n. 75, n.d.t.) chiesi che la questione venisse riesaminata al fine di migliorare l'efficacia della Corte stessa. Nel mese di novembre 2009, nel corso dell'ottava sessione dell'Assemblea degli stati parti dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, il Messico ha proposto di emendare lo Statuto inserendo l'uso delle armi nucleari fra le competenze della Corte. A tal fine è stato creato un gruppo di lavoro con il compito di esaminare tale modifica, oltre alla revisione di altri articoli dello Statuto. Accolgo con soddisfazione questa iniziativa e le importanti opportunità che offre.
Gli stati che non aderiscono alla Corte penale internazionale, in particolare gli stati dotati di armi nucleari, dovrebbero essere invitati a partecipare come osservatori alle discussioni del gruppo di lavoro. È della massima importanza che il maggior numero possibile di rappresentanti degli stati si confronti in un dibattito serio e impegnato sulla natura disumana degli ordigni nucleari e sull'intollerabile minaccia che essi rappresentano. Ovviamente l'obiettivo della revisione proposta non è sanzionare l'uso effettivo delle armi nucleari ma decidere una norma inequivocabile che stabilisca che il loro uso è inaccettabile in qualsiasi circostanza.
Per i membri della Soka Gakkai la dichiarazione del secondo presidente Josei Toda sull'abolizione delle armi nucleari rimane una fonte costante di ispirazione. Guidati dal suo appello, nei cinquanta anni trascorsi da allora abbiamo continuato a denunciare l'orrore delle armi nucleari cercando di sensibilizzare l'opinione pubblica e di raccogliere il sostegno necessario per la loro abolizione. Nel settembre del 2007, in occasione del cinquantesimo anniversario della dichiarazione di Toda, la SGI ha lanciato il Decennio per l'abolizione del nucleare; inoltre abbiamo preso parte alla Campagna internazionale per l'abolizione delle armi nucleari (ICAN, International Campaign for the Abolition of Nuclear Weapons) promossa dai medici internazionali per la prevenzione della guerra nucleare (IPPNW, Physicians for the Prevention of Nuclear War) a sostegno dell'adozione di una Convenzione contro le armi nucleari (NWC, Nuclear Weapons Convention) finalizzata alla totale messa al bando di queste armi. Sono convinto che una revisione dello Statuto della Corte penale internazionale, che classifichi come crimine di guerra l'uso delle armi nucleari, possa rafforzare la spinta per l'adozione della Convenzione.
Dall'inizio del 2010 i membri della Soka Gakkai giapponese, in particolare i giovani, sono impegnati in un dialogo a livello di base per sensibilizzare i loro coetanei sulla questione del nucleare; hanno anche promosso una raccolta di firme a sostegno della Convenzione contro le armi nucleari, che presenteranno alla Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione fissata per maggio prossimo. Caratteristica fondamentale dei giovani è rimanere impassibili davanti alle difficoltà e alle correnti impetuose della realtà, dedicando la vita alla realizzazione degli ideali più nobili. Se la chiave per proibire le armi nucleari consiste nel generare un movimento travolgente di opinione pubblica, è nella solidarietà dei giovani dediti a questa causa che possiamo trovare la forza necessaria per trasformare la nostra epoca.
Finora la mostra Da una cultura di violenza a una cultura di pace: trasformare lo spirito umano, organizzata dalla Soka Gakkai nel 2007, è stata esposta in cinquanta città di ventidue paesi. Con lo stesso fine abbiamo realizzato a scopo educativo un DVD in cinque lingue che documenta le esperienze di alcuni sopravvissuti alla bomba atomica, Testimoni di Hiroshima e Nagasaki. Le donne parlano a favore della pace. Determinati a realizzare la missione che abbiamo ereditato da Josei Toda continueremo a utilizzare questi strumenti educativi come veicolo per generare una corrente inarrestabile di consenso popolare a favore della proibizione e abolizione delle armi nucleari.
Utilizzare l'articolo 26 per accelerare il processo di disarmo
Questo articolo della Carta delle Nazioni Unite impone al Consiglio di Sicurezza di trovare strumenti per mantenere la pace con il minimo delle risorse umane ed economiche da destinare agli armamenti
La terza questione di cui vorrei parlare riguarda gli sforzi di collaborazione fra l'Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza riguardo all'abolizione del nucleare, sulla base del dettato della Carta delle Nazioni Unite.
Attualmente gli Stati Uniti e la Russia sono impegnati nei negoziati per stipulare un nuovo trattato sul disarmo che sostituisca il Trattato di riduzione delle armi strategiche (START I, Strategic Arms Reduction Treaty), tecnicamente scaduto a dicembre scorso. Anche se i due paesi riuscissero a concludere un accordo ambizioso in termini di riduzione degli arsenali, rimarrebbe comunque un ingente numero di testate nucleari sparse sulla terra. [Il nuovo trattato, lo START II, che prevede la riduzione del trenta per cento degli arsenali attualmente in funzione, è stato firmato l'8 aprile da Obama e dal presidente russo Dmitri Medvedev, n.d.r.].
Per portare avanti in maniera efficace il processo di riduzione delle armi nucleari è essenziale coinvolgere nei negoziati sul disarmo anche tutti gli altri stati che le possiedono. A tal fine propongo che venga tracciata e attuata una tabella di marcia di misure da adottare sulla base della Carta delle Nazioni Unite - Carta che tutti gli stati membri sono tenuti a rispettare - per avvicinarci sempre di più all'obiettivo di un mondo libero dalle armi nucleari.
Secondo l'articolo 11 della Carta, «l'Assemblea Generale può esaminare i principi generali di cooperazione per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, compresi i principi che regolano il disarmo e la disciplina degli armamenti, e può fare, riguardo a tali principi, raccomandazioni sia ai membri, sia al Consiglio di Sicurezza, sia a entrambi».
Inoltre l'articolo 26 stabilisce che il Consiglio di Sicurezza ha il compito di formulare piani per l'istituzione di un sistema di disciplina degli armamenti «allo scopo di promuovere lo stabilimento e il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale col minimo dispendio di risorse umane ed economiche mondiali per gli armamenti».
Fino a oggi, l'Assemblea Generale si è occupata attivamente delle questioni legate al disarmo in base alle prerogative che le sono assegnate dall'articolo 11. Al contrario, il Consiglio di Sicurezza non ha onorato gli impegni previsti dall'articolo 26, che è rimasto sostanzialmente inapplicato per tutti questi anni. Viste le premesse, il vertice del Consiglio di Sicurezza sul disarmo nucleare e la non proliferazione che si è tenuto a settembre scorso è un segnale molto incoraggiante.
Per poter mantenere gli impegni presi di «creare le condizioni per un mondo senza armi nucleari»,25 il Consiglio di Sicurezza - i cui cinque membri permanenti sono tutte potenze nucleari - dovrebbe prendere l'iniziativa, fissando un luogo di incontro per svolgere dei negoziati multilaterali per il disarmo attraverso, ad esempio, una serie di riunioni al vertice che prevedano la partecipazione del Segretario Generale.
Contando sull'enorme produzione di risoluzioni dedicate all'abolizione delle armi nucleari, l'Assemblea generale potrebbe cominciare a indirizzare al Consiglio di Sicurezza delle raccomandazioni con cadenza annuale, sollecitandolo ad adempiere le sue responsabilità attraverso il raggiungimento di un obiettivo minimo di riduzione degli armamenti. Per conferire una maggiore autorevolezza morale a questa raccomandazione, l'Assemblea potrebbe corredarla con delle relazioni sulle attività degli stati che si adoperano per ridurre le tensioni e a sostegno del disarmo.
È ovvio che la responsabilità ultima in materia di abolizione delle armi nucleari appartiene agli stati che le possiedono. Ma ciò non significa che gli stati che non hanno armi nucleari debbano stare a guardare e attendere passivamente che i negoziati per la riduzione degli arsenali si concludano. Attraverso le loro iniziative possono esercitare pressioni allo scopo di accelerare il processo di abolizione. Tali sforzi sarebbero perfettamente in linea con il percorso tracciato dal parere consultivo della Corte internazionale di giustizia secondo cui «ogni tentativo realistico di un disarmo generale e completo necessita della cooperazione di tutti gli stati».26
Attraverso queste risoluzioni, che testimoniano la volontà largamente diffusa nella società internazionale di arrivare al disarmo nucleare, l'Assemblea Generale può incoraggiare gli sforzi ambiziosi di quegli stati che lavorano per allentare le tensioni. Come suggerisce l'Appello della repubblica di Costa Rica del 2008, con cui si chiede che venga stabilito un sistema per la disciplina degli armamenti sulla base dell'Articolo 26, questa è la via da percorrere per «uscire dal circolo vizioso della corsa agli armamenti che sta avendo una forte accelerazione in diverse regioni del mondo, dove entra in competizione con le priorità dell'attribuzione delle risorse per fini sociali e degli obiettivi di sviluppo concordati a livello internazionale, compresi gli Obiettivi del millennio, e pregiudica la sicurezza umana».27
In un'epoca in cui le nazioni dovrebbero cooperare per rispondere alle sfide comuni che l'umanità deve affrontare, come per esempio la povertà e il degrado ambientale, la spesa militare ha assorbito una quantità ingente delle limitate risorse economiche e umane. Le armi nucleari sono un male fondamentale e non sono in nessun caso la soluzione ai problemi, al contrario possono solo aggravarli.
Jayantha Dhanapala, presidente del Movimento Pugwash (Pugwash Conferences on Science and World Affairs), e Patricia Lewis, vice direttrice del Centro per gli studi sulla non proliferazione presso l'Istituto di Studi Internazionali di Monterey (Center for Nonproliferation Studies), sono due esperti di fama mondiale in materia di disarmo. In una prefazione comune a un rapporto dell'Istituto delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Disarmo (UNIDIR, United Nations Institute for Disarmament Research), scrivono che in qualunque discussione sul disarmo, che riguardi le armi di piccolo taglio o le armi di distruzione di massa, la sicurezza umana deve essere prioritaria: «È necessario rendere attuale la questione del disarmo e ridarle il posto centrale che le spetta: essere il fulcro del nostro pensiero per la sicurezza basato sulla gente. Il disarmo è un'azione umanitaria».28
Sulla base di questo principio, chiedo con forza che ci si adoperi al massimo per dare piena attuazione all'articolo 26 della Carta delle Nazioni Unite affinché il Consiglio di Sicurezza adempia i suoi obblighi per il disarmo, rafforzando la spinta verso l'abolizione del nucleare e la smilitarizzazione del pianeta.
Il Giappone, come paese che ha sperimentato direttamente gli orrori della guerra nucleare, fonda la sua politica sui tre principi di non possedere, non sviluppare e non consentire l'installazione di armi nucleari sul proprio territorio, oltre che sui tre principi riguardanti la loro esportazione; inoltre ha sostenuto per più di un decennio le risoluzioni dell'Assemblea Generale per l'abolizione delle armi nucleari. Se vuole diventare la forza trainante nella costruzione del consenso dell'opinione pubblica a favore dell'abolizione del nucleare, il Giappone dovrebbe mantenere ferma la sua adesione a questi principi.
Nel mese di novembre dello scorso anno il Giappone e gli Stati Uniti hanno rilasciato una dichiarazione congiunta con la quale si impegnano a creare le condizioni per la totale eliminazione delle armi nucleari. Il Giappone è diventato membro del Consiglio di Sicurezza quest'anno. Credo che questa nazione debba cogliere tale opportunità per incoraggiare fortemente gli Stati Uniti e le altre potenze nucleari ad avanzare in direzione del disarmo. In questo e in altri modi, il Giappone ha il dovere e la responsabilità di lavorare per liberare il mondo dalle armi nucleari.
Verso un'era della dignità umana
Proseguendo, vorrei parlare delle iniziative da prendere per risolvere le distorsioni strutturali della società globale, che minacciano la dignità umana e sono rese ancora più evidenti dalla crisi economica.
L'anno scorso si è registrato un forte rallentamento della crescita economica dei paesi ricchi, e per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale c'è stata una contrazione dell'economia mondiale. La crisi ha colpito in modo particolare le popolazioni più povere del pianeta e, se non verranno adottati interventi mirati e misure appropriate per aiutarle, il rischio è che si vada incontro a nuove crisi umanitarie in diverse parti del mondo.
Come ho già sottolineato più volte, è assolutamente necessario costruire delle reti di sicurezza internazionale per proteggere la vita e la dignità delle persone e rafforzare la sicurezza umana. Al tempo stesso ho insistito sulla necessità di puntare all'empowerment degli individui come risposta a lungo termine. Sulla base di queste premesse vorrei avanzare alcune proposte concrete sull'occupazione, sull'empowerment delle donne e sui bambini.
Il lavoro: una fonte di dignità
Innanzitutto chiedo ai governi di affrontare il problema della disoccupazione e di aumentare le opportunità di lavoro, in particolare per i giovani. La comunità internazionale nel suo complesso deve contribuire a stabilizzare l'economia e promuovere l'occupazione nei paesi in via di sviluppo, come richiesto dal Patto globale per l'occupazione (Global Jobs Pact) adottato dall'Organizzazione internazionale per il lavoro (ILO, International Labour Organisation) nel giugno 2009.
Secondo le stime, nel 2009 il numero dei senza lavoro nel mondo è arrivato a 219 milioni, il livello più alto mai registrato. Penso che sia importante soffermarci sulle innumerevoli tragedie umane che queste cifre sbalorditive rappresentano. C'è un chiaro obbligo politico ad adottare tutte le misure necessarie per alleviare il senso di insicurezza e la povertà che affliggono milioni di persone nel mondo.
Le difficoltà di trovare un'occupazione oppure il licenziamento improvviso subito dopo essere entrati nel mercato del lavoro possono avere gravi ripercussioni sui giovani. Oltre alle inevitabili difficoltà economiche, i giovani disoccupati cominciano a sentirsi privi di valore e a nutrire una grande incertezza sul futuro, al punto di perdere la voglia di vivere. La dignità umana è ugualmente in grave pericolo quando le persone sono costrette a lavorare in condizioni disumane e degradanti, oppure quando la mancanza di un lavoro sicuro impedisce loro di fare progetti per il futuro.
Sulla base della convinzione che il «lavoro non è una merce» e che «il lavoro deve essere una fonte di dignità»,29 l'ILO ha invocato il concetto di lavoro dignitoso per tutti. Al vertice che si è tenuto a Pittsburgh lo scorso settembre, i leader del G20 hanno sottoscritto la seguente dichiarazione: «Non possiamo fermarci fino a quando l'economia globale non avrà recuperato piena salute, e fino a quando le famiglie che svolgono un lavoro faticoso non trovino un lavoro dignitoso».30 Bisogna prendere tutte le misure necessarie per scongiurare il ripetersi della lunga e profonda crisi economica seguita al crollo finanziario del '29 ed evitare che, come accadde allora, il mondo precipiti nel caos e i cittadini siano lasciati soli e privi di protezioni.
I governi devono proseguire nell'azione di contrasto della crisi attraverso misure di assistenza e interventi specifici. L'ILO avverte che interrompere anzitempo quest'azione potrebbe ritardare la ripresa occupazionale ed economica. Ritengo pertanto essenziale che i governi definiscano misure concordate per la creazione di nuovi posti di lavoro, in linea con il Patto globale per l'occupazione.
Propongo l'istituzione di una task-force con il compito di promuovere il Patto globale per l'occupazione e il lavoro dignitoso che operi sotto l'ombrello del G20 e venga ufficializzata durante la prossima riunione dei ministri del lavoro del G20 fissata per fine anno. Con questo strumento il G20 potrebbe assumersi la responsabilità di diventare la forza motrice della ripresa dell'occupazione a livello mondiale, mettendo in campo iniziative che durino fino a quando le persone non percepiranno chiaramente la fine della crisi.
Le donne: costruttrici di un futuro migliore
Ora vorrei fare alcune proposte su come promuovere l'educazione delle bambine e delle ragazze. Favorire il loro accesso all'istruzione è indispensabile per diverse ragioni, ed è il presupposto per assicurare la piena realizzazione degli Obiettivi di sviluppo del millennio, lo strumento con cui si cerca di ridurre in modo considerevole il numero delle persone che soffrono la fame e la povertà e il cui raggiungimento entro la data fissata del 2015 appare assai incerto.
Molti dei paesi in via di sviluppo sono stati finora quelli colpiti più duramente dalla crisi, sebbene ne siano responsabili in misura minore. La crisi non solo ha minato gli sforzi per combattere la povertà ma ha anche spinto molti poveri al di sotto della soglia di povertà. Il sostegno attivo da parte dei paesi sviluppati è diventato improcrastinabile: così si è espresso il Segretario Generale Ban Ki-moon, esortando tutti a fare uno sforzo decisivo per realizzare gli Obiettivi di sviluppo del millennio entro il 2015.31
Nel mese di settembre di quest'anno si svolgerà presso le Nazioni Unite un vertice speciale dedicato agli Obiettivi di sviluppo del millennio. Bisogna cogliere quest'opportunità per rinnovare le strutture della cooperazione internazionale e raddoppiare gli sforzi per creare un mondo in cui tutti possano veder riconosciuta la propria dignità e realizzare pienamente il proprio potenziale.
Vorrei ribadire l'importanza dell'istruzione delle bambine e lo stretto legame che essa ha con tutti i settori dello sviluppo umano. Tutti gli Obiettivi di sviluppo del millennio, compresa la lotta contro la povertà estrema e la fame, riguardano direttamente le donne. In tal senso, la parità di genere e l'empowerment delle donne sono i fattori fondamentali per raggiungerli il più velocemente possibile.
I bambini le cui madri hanno completato il ciclo dell'istruzione primaria hanno una probabilità due volte maggiore di superare i cinque anni di vita, di essere meglio nutriti e di frequentare la scuola. Per questo motivo l'istruzione delle donne è cruciale per spezzare il ciclo generazionale della povertà. Inoltre, i paesi che nel lungo periodo hanno investito nell'istruzione delle bambine hanno costantemente registrato livelli più elevati di sviluppo economico.
Un livello di istruzione adeguato aiuta le bambine e le ragazze a diventare più autonome e responsabili, e consente loro di costruire un futuro migliore per se stesse, per i propri figli e le proprie famiglie, permeando così la società con la luce della speranza. L'educazione possiede un potenziale enorme.
Il numero delle bambine iscritte alla scuola elementare è cresciuto notevolmente grazie all'attuazione di numerosi programmi di scolarizzazione, fra i quali spicca l'Iniziativa delle Nazioni Unite per l'istruzione delle bambine guidata dell'UNICEF. Mirando al traguardo del 2015, dobbiamo impegnarci per creare le condizioni affinché sempre più ragazze abbiano la possibilità di accedere ai livelli di istruzione secondario e superiore.
In questa sede vorrei proporre l'istituzione di un fondo internazionale dedicato a garantire un futuro migliore alle donne: si potrebbe cancellare una parte del debito dei paesi in via di sviluppo e destinare la somma equivalente per finanziare interventi di scolarizzazione a favore delle bambine.
Le donne affrontano molte minacce e sfide. Aumentare il tasso di alfabetizzazione permetterà loro di lottare con fiducia in se stesse per superare le crisi e costruire da protagoniste il futuro migliore che immaginano per se stesse e per la società. Piantare adesso i semi dell'empowerment renderà ciò una realtà.
Cento anni fa, quando in Giappone le donne occupavano uno dei gradini più bassi della scala sociale, il presidente fondatore della Soka Gakkai Tsunesaburo Makiguchi lavorava con passione per accrescere le opportunità educative delle donne, convinto che sarebbero state proprio loro a costruire una società migliore. Egli istituì dei corsi per corrispondenza dedicati alle donne che dopo aver finito le elementari non potevano permettersi di frequentare le scuole medie, compilava lui stesso il materiale didattico e lo pubblicava in un periodico mensile. Makiguchi fu determinante nel creare uno spazio in cui offrire alle donne meno abbienti lezioni gratuite di cucito e di ricamo, che all'epoca erano considerate importanti nella formazione delle ragazze. Animato dal suo stesso spirito di dedizione per l'educazione, ho creato dei programmi di studio a distanza e ho fondato il Collegio femminile Soka.
Le donne sono le capofila del movimento mondiale per la pace della SGI. Il Comitato delle donne per la pace della SGI in Giappone ha allestito la mostra Le donne e una cultura della pace in collaborazione con Elise Boulding, rinomata esperta di studi sulla pace. Inoltre, in diverse località del Giappone sono stati organizzati dei forum per sensibilizzare i cittadini sulla cultura della pace. Il messaggio alla base di queste iniziative è che le donne sono le costruttrici di un futuro migliore e rappresentano la traduzione concreta delle convinzioni di Makiguchi nel contesto contemporaneo.
Al tempo stesso queste iniziative si ispirano alla Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU adottata dieci anni fa, il 31 ottobre 2000. Questo documento riveste una grande importanza perché dichiara al mondo, giunto alle soglie del XXI secolo, che il coinvolgimento delle donne è essenziale per poter creare una pace duratura. Recentemente ho avuto il privilegio di avere uno scambio di opinioni con l'ex-Sottosegretario Generale delle Nazioni Unite Anwarul K. Chowdhury, il quale ha lavorato instancabilmente per adottare questa risoluzione. L'ambasciatore Chowdhury ha sottolineato il fatto che grazie all'impegno delle donne la cultura della pace può mettere radici ancora più profonde.
Nel settembre del 2009, nel quadro di un progetto di riforma volto a migliorare l'efficienza delle Nazioni Unite, l'Assemblea Generale ha adottato una risoluzione che accorpa in un unico organismo quattro agenzie e uffici che si occupano di questioni legate alla vita delle donne: il Fondo delle Nazioni Unite per lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni di vita delle donne (UN Development Fund for Women, UNIFEM), la sezione che promuove una maggiore affermazione del ruolo delle donne nella società (Division for the Advancement of Women), l'Ufficio del Consigliere Speciale del Segretario Generale per le questioni di genere (Office of the Special Adviser on Gender Issues) e l'Istituto internazionale di ricerca e formazione delle Nazioni Unite per il progresso delle donne (UN International Research and Training Institute for the Advancement of Women). Questo nuovo organismo di più alto profilo ha il compito di occuparsi di tutte le questioni legate alla parità di genere.
Mi auguro che fra i compiti principali di questa nuova struttura siano inseriti il monitoraggio dello stato di attuazione della Risoluzione 1325, la promozione dell'empowerment delle donne e il loro accesso all'istruzione.
Le stime sulla partecipazione delle donne ai processi di pace ci consentono di rilevare in che misura sia stata data attuazione ai principi della Risoluzione 1325. Se da un lato la Risoluzione 1325 è stata il riferimento costante per gli interventi di ricostruzione attuati dalla Commissione delle Nazioni Unite per il consolidamento della pace (UN Peacebuilding Commission) in Burundi e Sierra Leone, a livello mondiale la percentuale della partecipazione delle donne è comunque molto bassa: le donne rappresentano meno del due per cento dei firmatari di accordi di pace, e solo il sette per cento dei partecipanti ai negoziati di pace sono donne.32
Quest'anno ricorre il quindicesimo anniversario della Piattaforma d'azione di Pechino (Beijing Platform for Action), che promuove un approccio comune a livello internazionale sulle politiche a favore delle donne e che è stata adottata durante la quarta conferenza mondiale sulle donne; inoltre si celebra il decimo anniversario dell'adozione della Risoluzione 1325. È importante fare del 2010 un anno di svolta, segnato da progressi significativi in direzione di un ulteriore empowerment delle donne su scala mondiale. A tal fine spero che sempre più paesi si uniscano agli Amici della 1325, un gruppo ad hoc creato dagli stati membri delle Nazioni Unite attivamente impegnati per l'attuazione della Risoluzione. In questo e in altri forum ci deve essere un dibattito serio su come potenziare la partecipazione delle donne ai processi di costruzione della pace.
I bambini: tesoro di tutta l'umanità
La mia terza proposta mira a proteggere la vita e le condizioni di vita dei bambini e a creare solide basi affinché il XXI secolo sia un secolo di pace e coesistenza. Sia nei paesi ricchi che in quelli in via di sviluppo sono sempre i bambini a pagare il prezzo più alto della crisi. In una fase in cui l'economia è in recessione e le risorse economiche a disposizione degli stati e delle famiglie sono scarse, si fa strada la preoccupazione per il crescente numero di bambini che sono costretti a lasciare la scuola per andare a lavorare e non hanno accesso a un'alimentazione adeguata e all'assistenza sanitaria.
A tale proposito vorrei proporre che le scuole diventino delle vere e proprie roccaforti della sicurezza umana, degli ambienti in cui i bambini siano al riparo dalle tante minacce che incombono su di loro, che diventino il luogo dove allevare i bambini come protagonisti di una nuova cultura di pace.
Nel 1995 l'Organizzazione mondiale della sanità ha avviato l'Iniziativa globale di salute scolastica (Global School Health Initiative) con l'obiettivo di promuovere la salute a scuola. Questo tipo di approccio è stato poi esteso al progetto FRESH (Focusing Resources on Effective School Health), lanciato nel 2000 con il patrocinio dell'Organizzazione mondiale della sanità, l'UNICEF, l'UNESCO e la Banca mondiale, la cui finalità è fornire un quadro di riferimento e risorse utili per una efficace promozione della salute a scuola. Il progetto intende migliorare il contesto di apprendimento attraverso l'insegnamento delle tecniche e degli accorgimenti necessari per stabilire abitudini salutari lungo tutto l'arco della vita, fornire un'alimentazione scolastica con cibi nutrienti e così via.
I programmi di alimentazione scolastica sono fondamentali per la tutela della salute e del futuro dei bambini, come ha dimostrato l'esperienza più che quarantennale del Programma alimentare mondiale. Come ha chiesto l'UNICEF, le scuole devono essere attente ai bisogni dei bambini e devono essere costruite per resistere alle tempeste e ai terremoti. Seguendo queste indicazioni, le scuole possono diventare un rifugio sicuro in tempi di crisi, un luogo dove i bambini possono recuperare un senso di normalità e guarire dai traumi.
Propongo che tutte le esperienze e le iniziative centrate sulla scuola siano sviluppate e ampliate creando un unico programma finalizzato a rendere le scuole dei centri di promozione della sicurezza umana e della costruzione di una cultura di pace.
Negli ultimi anni è stata posta una grande enfasi sull'empowerment dei bambini come agenti del cambiamento, non limitandosi più a considerarli semplicemente individui bisognosi di protezione, per quanto questa abbia una grande importanza. Dobbiamo creare un ambiente favorevole in cui i bambini, che formeranno la prossima generazione, siano promotori di un movimento di cambiamento capace di trasformare e spezzare il ciclo di sofferenze e tragedie che affliggono l'umanità.
Il 2010 sarà l'anno conclusivo del Decennio internazionale per una cultura della pace e della nonviolenza per i bambini del mondo. Gli sforzi compiuti a livello mondiale per promuovere una cultura di pace devono proseguire anche negli anni a venire, e bisogna fare in modo che le scuole fungano da centri di sviluppo di queste azioni. La Dichiarazione e il Programma d'azione per una cultura di pace, documenti adottati dall'Assemblea Generale nel 1999, invitano tutti gli attori interessati a «garantire che i bambini, sin dalla più tenera età, traggano beneficio dall'educazione a quei valori, attitudini, modi di comportamento e sistemi di vita che li mettano in condizione di risolvere ogni disputa pacificamente e con uno spirito rispettoso della dignità umana, di tolleranza e non discriminazione».33
Ritengo che dovremmo fare nostra questa dichiarazione e utilizzarla come una linea guida per insegnare ai bambini le abilità necessarie per affrontare le minacce alla vita e alla dignità umana, così come lo spirito di risolvere le questioni attraverso il dialogo e non con la violenza. Questo tipo di approccio dovrebbe essere adottato in tutti i contesti di apprendimento: a casa, a scuola e nella comunità. Dobbiamo individuare gli strumenti per favorire la crescita dei bambini come persone capaci di difendere a pieno titolo i propri diritti e la propria dignità, impegnandosi anche a favore dei diritti degli altri. I bambini devono giocare un ruolo chiave per radicare nella società una cultura di pace.
Per ampliare la portata e l'impatto positivo di una cultura di pace sono necessari non solo gli sforzi costanti dell'ONU e dei governi ma anche l'impegno della società civile. Attraverso questi sforzi congiunti dobbiamo risvegliare la consapevolezza circa i valori, i comportamenti e i modi di vita che sono alla base di una cultura di pace.
Come eredi dello spirito di Tsunesaburo Makiguchi i membri della SGI hanno continuamente richiamato l'attenzione sul fatto che il successo di qualunque sforzo teso a risolvere i problemi della società si misura sempre in base al grado di felicità dei bambini.
Per rispondere all'adozione della Convenzione sui diritti del bambino nel 1989, abbiamo creato le mostre I bambini del mondo e l'UNICEF e Quali sono i diritti dei bambini che sono state portate in diverse località del Giappone. La mostra Avere a cuore il futuro: i diritti dei bambini e la loro realtà è stata esposta negli Stati Uniti a partire dal 1996. Nell'ambito delle nostre iniziative a sostegno del Decennio internazionale, la mostra Costruire una cultura di pace per i bambini del mondo ha fatto il giro del globo a partire dal 2004, e la mostra I bambini e una cultura di pace è stata allestita in numerose città del Giappone a partire dal 2006.
I bambini sono gli inviati del futuro e il tesoro comune dell'umanità. Convinti che infondere coraggio e speranza nei loro cuori sia la strada più sicura per realizzare un mondo pacifico, continueremo a impegnarci per creare una società che metta i bambini al primo posto.
Mi vengono in mente le parole del celebre storico britannico Arnold J. Toynbee (1889-1975): «Eppure non siamo condannati a far sì che la storia si ripeta; sta a noi, attraverso i nostri sforzi dare alla storia [...] una svolta nuova e senza precedenti».34
Quest'anno ricorre l'ottantesimo anniversario della fondazione della Soka Gakkai e il trentacinquesimo anniversario della fondazione della Soka Gakkai Internazionale (SGI). La nostra è stata una storia di persone comuni che hanno sempre lavorato con tenacia per creare valore, senza lasciarsi travolgere dalle correnti impetuose dei tempi. Più sono buie le nubi che si addensano sul nostro tempo, più vigorosamente i membri della SGI lavorano per infondere la luce della speranza. Questa determinazione anima i membri che si sforzano di contribuire al benessere della loro comunità in centonovantadue paesi e territori del mondo.
Mantenendoci fedeli allo spirito del nostro fondatore Tsunesaburo Makiguchi, che insegnava a vivere una vita contributiva per il bene nostro e degli altri, e del secondo presidente Josei Toda che promise di sradicare la miseria dalla faccia della terra, noi continueremo a utilizzare il potere del dialogo e dell'impegno per far emergere la parte migliore di ciascuno. Questa è la via più sicura per costruire una rete mondiale di persone impegnate per la pace e per l'umanità.
(Traduzione di Giuseppe Gualtieri)
L'INGEGNERIA GENETICA
L'ingegneria genetica consiste nella modificazione del corredo genetico di una persona attraverso l'aggiunta o la rimozione di specifiche informazioni genetiche presenti nelle cellule viventi. Esistono due principali metodi: quello somatico, che modifica il corredo genetico delle cellule che compongono gli organi e i tessuti di un particolare individuo; e quello germinale, che interviene sui geni degli ovociti, degli spermatozoi e delle cellule indifferenziate durante le primissime fasi di sviluppo di un embrione. L'ingegneria germinale consiste dunque in un intervento i cui effetti sono destinati a trasmettersi a tutte le cellule dell'individuo e anche alla sua discendenza. Nonostante gli indubbi vantaggi di prevenzione delle malattie genetiche, questa tecnica potrebbe alterare in modo permanente il corredo genetico della specie umana, con conseguenze imprevedibili nel lungo periodo. La comunità scientifica e le autorità religiose e politiche si sono pronunciate pressoché unanimemente contro la manipolazione genetica delle cellule germinali e degli embrioni.
LA CONFERENZA DI REVISIONE DEL TRATTATO DI NON PROLIFERAZIONE NUCLEARE
Il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) è considerato la pietra miliare degli sforzi della comunità internazionale per la non proliferazione, ed è basato su tre principi: non proliferazione, disarmo e uso pacifico del nucleare. In base alle disposizioni dell'articolo VIII del trattato, ogni cinque anni viene convocata una conferenza degli stati parti avente come obiettivo l'esame del funzionamento del trattato stesso. L'evidente incapacità degli stati nucleari di attuare il disarmo generale e la corsa alla proliferazione di materiale bellico nucleare da parte degli stati firmatari e non firmatari del trattato ne hanno messo seriamente in dubbio la tenuta; inoltre la conferenza di revisione del 2005 si è chiusa con un sostanziale fallimento dei negoziati per il rafforzamento del regime di non proliferazione. Tutti gli occhi sono puntati sulla conferenza di revisione fissata per maggio 2010, dalla quale ci si attende un rinnovato impegno su tutti i fronti. Questi i temi previsti in agenda: l'emergere di nuove sfide al regime di non proliferazione, la riduzione degli arsenali nucleari esistenti, la promozione dell'adesione universale al Trattato e ai suoi Protocolli aggiuntivi, le sanzioni contro la violazione delle disposizioni del Trattato e il ritiro dallo stesso, l'istituzione delle zone denuclearizzate e l'energia nucleare.
LA RISOLUZIONE 1325
Adottata all'unanimità nella sessione del 31 ottobre del 2000, la Risoluzione 1325 sulle donne, la pace e la sicurezza è stata la prima risoluzione del Consiglio di sicurezza ad aver affrontato l'impatto dei conflitti armati sulle donne. Prendendo atto dello scarso coinvolgimento delle donne nella prevenzione dei conflitti, negli sforzi di mantenimento della pace, nella risoluzione dei conflitti e nel consolidamento della pace, la Risoluzione enfatizza l'importanza della partecipazione in pari misura delle donne e del loro pieno intervento in tutti gli sforzi per il mantenimento e la promozione della pace e della sicurezza. Riaffermando la necessità di incrementare il ruolo delle donne in tutte le iniziative delle Nazioni Unite per la pace e la sicurezza, il documento ribadisce che spetta a tutte le parti coinvolte in un conflitto armato adottare misure specifiche per proteggere le donne e le ragazze dalla violenza di genere, particolarmente dallo stupro e da altre forme di abuso sessuale in situazioni di conflitti armati.
Note
1) B. Obama, A Just and Lasting Peace (Una pace giusta e duratura. Discorso di accettazione del premio Nobel per la pace), 2009, http://nobelprize.org/nobel_prizes/peace/laureates/2009/obamalecture_en.html (ultimo accesso 18 febbraio 2010).
2) M. Gandhi, Hind Swaraj or Indian Home Rule (L'autogoverno dell'India), Navajivan Publishing House, Ahmedabad, 1938, p. 45. 3)E.Todd, L'illusion économique. Essai sur la stagnation des sociétés développées (L'illusione economica. Saggio sulla stagnazione delle società sviluppate), Gallimard, Parigi, 1998, p. 24.
4) Y. Izumi, Kagakusha ga tou. Raise wa aru ka (Gli scienziati si chiedono: c'è vita dopo la morte?), Naigai Insatsu, Hiroshima, 1999, p. 10.
5) M. Weber, The Protestant Ethic and the Spirit of Capitalism (L'etica protestante e lo spirito del capitalismo), trad. di Talcott Parsons, Courier Dover Publications, New York, 2003, p. 182.
6) S. Weil, The Simone Weil Reader, a cura di George A. Panichas, Moyer Bell, Mt. Kisco, NY, 1977, pp. 287-88.
7) C. Aitmatov e D. Ikeda, Ikeda SGI kaicho to Chingisu Aitomatofu (Dialogo tra il presidente della SGI Daisaku Ikeda e Chinghiz Aitmatov), Seikyo Shimbun, 20 novembre 1998, p. 3.
8) A. Einstein, Ideas and Opinions Based on Mein Weltbild (Idee e opinioni. Come io vedo il mondo), a cura di Carl Seelig, trad. di Sonja Bargmann, Crown Publishers, New York, 1954, p. 38; cfr. edizione italiana: Come io vedo il mondo, Newton Compton, 1988).
9) A. J. Toynbee e D. Ikeda, Dialoghi. L'uomo deve scegliere, Bompiani, Milano, 2000, p. 287.
10)S. Kajima, Motomenai kokoro (Il cuore che non cerca), intervista pubblicata in: Nihon Keizai Shimbun, 29 ottobre 2009, p. 13.
11) Einstein, op. cit., Ibidem.
12) Nichiren Daishonin, Raccolta degli insegnamenti orali, cfr. Buddismo e Società, n. 117, p. 44.
13) G. Marcel, The Decline of Wisdom (Il declino della saggezza), Philosophical Library, New York, 1955, p. 33.
14) Ripagare i debiti di gratitudine, Nichiren Daishonin, RSND, 1, 635.
15) J. Ortega y Gasset, The Revolt of the Masses (La ribellione delle masse), George Allen & Unwin, Londra, 1932, p. 85.
16) D. Ikeda, Seinen no uta (Opere complete), vol. 39, Seikyo Shimbunsha, Tokyo, 1991, p. 39.
17) J. Toda, Toda Josei Zenshu (Opere complete), Seikyo Shimbunsha, Tokyo, 1981-90, vol. 3, p. 290.
18) IAEA, Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons (Trattato di non proliferazione delle armi nucleari), 1970, http://www.iaea.org/Publications/Documents/Infcircs/Others/infcirc140.pdf (ultimo accesso febbraio, 2010).
19) J. F. Kennedy, Commencement Address (Discorso alla cerimonia di conferimento della laurea presso l'American University), 1963, http://www.jfklibrary.org/Historical+Resources/Archives/Reference+Desk/Speeches/JFK/003POF03AmericanUniversity06101963.htm (ultimo accesso febbraio 2010).
20) ICRC, Protocol for the Prohibition (Protocollo concernente la proibizione di usare in guerra gas asfissianti, tossici o simili e mezzi batteriologici), Ginevra, giugno 1925, http://www.icrc.org/ihl.nsf/FULL/280
(ultimo accesso febbraio 2010).
21) Ban Ki-moon, For Peace and Development: Disarm Now! (Per la pace e lo sviluppo. Il disarmo ora!), Discorso di apertura della 62esima conferenza annuale del DPI/NGO, Città del Messico, 9 settembre 2009, http://www.un.org/News/Press/docs/2009/sgsm12445.doc.htm (ultimo accesso febbraio 2010).
22) ICJ, Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, (Parere della Corte internazionale di giustizia sulla legalità della minaccia o dell'uso delle armi nucleari), 1996, p. 266, http://www.icj-cij.org/docket/files/95/7495.pdf (ultimo accesso febbraio 2010).
23) C. Weeramantry, Dissenting Opinion of Judge Weeramantry (Opinione dissenziente del Giudice Weeramantry), p. 433, http://www.icj-cij.org/docket/files/95/7521.pdf (ultimo accesso febbraio 2010).
24) C. Weeramantry, Universalising International Law (Universalizzare il diritto internazionale), M. Nijhoff Publishers, Leiden, Boston, 2004, p. 115.
25) UN, Maintenance of international peace and security (Mantenimento della pace e della sicurezza internazionali), 24 settembre 2009, http://www.un.org/Docs/sc/unsc_resolutions09.htm (ultimo accesso febbraio 2010).
26) ICJ, op. cit., p. 264.
27) UN, Strengthening collective security (Rafforzare la nostra sicurezza collettiva), presentato dalla Costa Rica, 2008,
http://www.securitycouncilreport.org/atf/cf/%7B65BFCF9B-6D27-4E9C-8CD3-CF6E4FF96FF9%7D/Disarm%20S2008697.pdf
(ultimo accesso febbraio 2010).
28) J. Dhanapala e P. Lewis, Preface. Disarmament as Humanitarian Action (Prefazione. Il disarmo come azione umanitaria), 2001, http://www.unidir.ch/pdf/ouvrages/pdf-1-92-9045-001-1-en.pdf (ultimo accesso febbraio 2010).
29) ILO, ILO marks its 90th anniversary with global dialogue (L'ILO celebra il suo novantesimo anniversario all'insegna del dialogo globale), 20 aprile 2009, http://www.unidir.ch/pdf/ouvrages/pdf-1-92-9045-001-1-en.pdf (ultimo accesso febbraio 2010).
30) G20, Leaders' Statement: The Pittsburgh Summit (Dichiarazione finale dei leader del G20 al Vertice di Pittsburgh), 24-25 settembre 2009, http://www.pittsburghsummit.gov/mediacenter/129639.htm (ultimo accesso febbraio 2010).
31) Ban Ki-moon, Report to the General Assembly (Rapporto all'Assemblea Generale), 23 settembre 2009, http://www.un.org/apps/sg/sgstats.asp?nid=4089
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32) UNIFEM, UNIFEM Statement (Dichiarazione dell'UNIFEM), 28 maggio 2009, http://www.unifem.org/news_events/story_detail.php?StoryID=881 (ultimo accesso marzo 2010).
italiana, Civiltà al paragone, Bompiani, Milano, 2003).
33) UN, Declaration and Programme of Action on a Culture of Peace, (Dichiarazione e programma d'azione per una cultura di pace), 6 ottobre 1999, http://www3.unesco.org/iycp/kits/53243A.pdf (ultimo accesso marzo 2010).
34) A. J. Toynbee, Civilization on Trial (Civiltà alla prova), Meridian Books, Cleveland, 1958, p. 45; cfr. edizione